Ucraina: Biden e Putin in un cul-de-sac. Per una guerra che non conviene a nessuno

Per Putin non siamo nel 1997, quando i finanziamenti Usa alle opposizioni servivano per ribaltare i governi e portare i paesi nell’orbita Nato.

di Enrico Oliari

Rifacendosi a fonti della Casa Bianca la Nbc News ha riportato le perplessità che il presidente Usa Joe Biden nutrirebbe nei confronti degli alleati europei sulla crisi ucraina. Biden non avrebbe trovato in Europa quel fronte comune saldo contro la Russia che sperava, con le varie cancellerie, compresa quella francese di Emmanuel Macron e quella tedesca di Olaf Scholz, non abbastanza russofobiche, semmai nella dialettica a traino degli Usa. Neppure gli ucraini sembrano essere allarmati dall’ipotesi di un’invasione russa, ed il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ricordato che la situazione è tale dal 2014, anno della rivolta del Donbass, che il peggior nemico è il panico e che la situazione è “sotto controllo”.
D’altronde non sono gli Usa a confinare con la Russia di Vladimir Putin, ed una guerra per portare la sgangherata Ucraina nell’orbita della Nato e quindi completare l’accerchiamento ad ovest della Russia sarebbe comunque ben lontana dai prati verdi della Casa Bianca.
Per gli Usa e per il loro alter ego britannico la guerra sarebbe “altamente probabile” ed i russi starebbero cercando il “casus belli”, ma al di là dei proclami e degli allarmismi, tra cui l’invito dei paesi occidentali ai propri concittadini di lasciare il paese, continua ad apparire improbabile lo scoppio di un conflitto nel cuore dell’Europa. Più facile che si continui ad alzare la posta, per poi arrivare ad un compromesso di cui a farne le spese sarebbero solo l’Ucraina, magari con la cessione definitiva della Crimea, e gli europei con il caro bollette ed un nuovo membro Ue da ricostruire da zero.
D’altronde quei 140mila russi stanziati al confine e armati fino ai denti fanno paura, ma non va dimenticato che già oggi la Russia è circondata dalle forze Nato e americane, e che Biden ha inviato in questi giorni militari in Polonia e aerei che giorno e notte volano lungo il confine russo.
La posizione della Russia continua ad essere quella espressa dal ministro degli Esteri Sergei Lavrov, il quale è tornato a ribadire che, in barba a quanto era stato stabilito, uno ad uno i paesi europei dell’orbita ex sovietica sono passati alla Nato, e che quindi la “sua linea di difesa si sposta sempre più a est, arrivando oggi all’Ucraina”: incontrando il mese scorso il collega statunitense Antony Blinken, Lavrov ha chiesto il ritiro delle truppe della Nato e di ogni armamento dalla Bulgaria e dalla Romania per tornare alla situazione del 1997, quando i due paesi non partecipavano all’Alleanza Atlantica. E ovviamente il riconoscimento dello statuto autonomistico di Lugansk e Donesk, anche perché Kiev non ha atteso agli impegni presi nel 2014 con il trattato di Minsk sotto l’egida dell’Osce (“Quartetto Normandia”).
Da qui l’incompatibilità delle posizioni, il braccio di ferro tra Russia e occidente e il fallimento di Emmanuel Macron, che ha cercato di acquisire peso incontrando Vladimir Putin per poi passare come il salvatore della pace. Ma anche il fallimento dell’ora di telefonata di Biden con Putin, con il primo che è tornato a minacciare che “se la Russia invaderà l’Ucraina la pagherà cara”, ed il secondo che ha accusato di “isteria”, pur dicendosi disponibile a mantenere aperta la porta del dialogo. Dischi rotti.
Lavrov è invece tornato a parlare con Blinken: secondo la Cnn avrebbe accusato il segretario di Stato di “azioni provocatorie”, ma avrebbe “negato che la Russia abbia intenzione di invadere l’Ucraina”.
Più che un braccio di ferro quello in corso fra Usa e Russia sembra un cul-de-sac in cui si sono infilati entrambi i leader, per una guerra che non conviene a nessuno e che peserebbe tutta su ucraini ed europei.
Quello che Putin sta cercando di dimostrare è che la Russia non è quella del 1997, disposta a chiudere un occhio e anche due sui finanziamenti Usa alle opposizioni per ribaltare i governi filorussi e portare i paesi nell’orbita Nato. Per cui la domanda è: fino a che punto potrà mantenere la sua posizione e i 130mila militari al confine ucraino?
La palla è ora in mano al tedesco Scholz, che si è recato in Usa e Russia per tentare quello che non è riuscito Macron. E che probabilmente neppure lui sarà in grado di fare.