Ucraina. La guerra delle contraddizioni e la virtù del doppiopesismo

di Dario Rivolta * –

Per capire e descrivere i grandi eventi storici è doveroso che storici e analisti coscienziosi non si limitino a descrivere il fatto più eclatante, cioè l’ultimo che ha dato inizio agli eventi di cui si occupano. È ovvio che si ricerchino le cause che hanno portato a quell’avvenimento e ciò che ne è derivato in modo praticamente ineluttabile. Ad esempio gli analisti superficiali si limiteranno a considerare l’assassinio a Sarajevo del principe ereditario d’Austria Francesco Ferdinando come causa dell’inizio della Prima Guerra mondiale, ma in realtà sappiamo che quello fu solo il detonatore e che dietro la carneficina che ne seguì c’era una lotta di potere politico ed economico tra le potenze centrali e Francia e Gran Bretagna. Altrettanto si può affermare per la Seconda Guerra Mondiale: il fattore detonante fu l’invasione della Polonia da parte dei tedeschi e dei sovietici, ma nonostante ne’ Francia ne’ Gran Bretagna confinassero con la Polonia invasa, il patto di mutua difesa sottoscritto da Parigi e Londra con Varsavia non fu deciso per caso. Allora, dietro quell’accordo c’era la legittima preoccupazione verso una Germania in continua espansione e apparentemente senza limiti.
Venendo ai nostri giorni, se si guarda alla guerra in corso in Ucraina non sarebbe esaustivo cominciare a considerare l’evento solo a partire dal 24 febbraio 2022, come purtroppo fanno molti dimenticando cosa sia accaduto prima. È indiscutibile che quel giorno uno stato sovrano membro dell’ONU ha aggredito e invaso un altro stato sovrano aderente alla stessa organizzazione. Questo è ciò che è accaduto, ma far partire solo da quella data ogni considerazione storica e politica in merito alla carneficina in atto è limitante e finisce con l’essere fuorviante per ogni valutazione che pretenda di essere oggettiva.
Qualunque analista serio sa che, tra alti e bassi, i fatti odierni hanno preso avvio già nel 1991 e gli attori protagonisti non sono stati solamente l’Ucraina e la Russia, ma molto più che a loro la responsabilità va attribuita agli Stati Uniti e ad alcuni stati europei. Qualunque avveduto ricercatore può trovare nei documenti storici, nelle dichiarazioni ufficiali, nelle prese di posizione dei vari governi la prova inconfutabile che Stati Uniti e Gran Bretagna insieme a Polonia, Paesi Baltici e Svezia hanno volutamente costruito tutte le premesse che hanno portato poi la Russia a fare ciò che ha fatto. È da quel momento di ben trent’anni orsono che è cominciato un assedio contro Mosca (il famoso “contenimento”) che puntava a far sì che l’Ucraina (e gli altri stati ex-sovietici) abbandonasse tutti i suoi legami storici, culturali e politici con Mosca. Le varie ONG cresciute in loco come funghi, formalmente indipendenti ma spesso finanziate dalla CIA o dal Congresso Usa, hanno pervaso la società ucraina con lo scopo dichiarato di “formare la futura classe dirigente”. Di là dalle loro intenzioni ufficiali, il malgoverno (sia dei filo-russi che dei filo-occidentali) è continuato: le inefficienze e la corruzione non sono mai diminuite e gli oligarchi hanno continuato a dettare il bello e il cattivo tempo alle spalle della maggioranza della popolazione costretta ad emigrare per mantenere i familiari. Dopo la discutibile ripetizione delle elezioni del 2004 (vinsero i filo-russi ma la replica dette il potere ai politici sostenuti dall’occidente), nel 2010 vinse Yanukovich (presunto filo-russo) e si arrivò così alla “necessità” del colpo di stato del 2014 (Maidan). Questo fu organizzato fin nei dettagli da americani, inglesi e polacchi con iniziale aiuto dei tedeschi e riuscì nello scopo: il presidente democraticamente eletto fuggì, e anche grazie ai gruppi armati di estrema destra poté insediarsi un nuovo governo con i ministri scelti dagli USA (a scanso di dubbi, sentire in internet la conversazione di Victoria Nuland con il suo ambasciatore) e con grande soddisfazione dei locali oligarchi, loro mentori e complici.
L’Ucraina è da sempre un Paese multietnico, con diverse minoranze. Una parte della popolazione è molto più vicina sia culturalmente che storicamente ai polacchi che ai russi. Un’altra al contrario si è sempre sentita russa e più del 50 percento di tutti gli attuali ucraini usa la lingua russa anche nei rapporti familiari. Esistono poi anche minoranze ungheresi, romene ed altre. Pensare dunque all’Ucraina come una sola nazione è quindi fuorviante. Non va comunque dimenticato che, durante il periodo staliniano, la collettivizzazione forzata delle terre aveva suscitato una spontanea ribellione dei contadini contro il potere moscovita nella maggior parte del territorio ucraino. La brutalità della risposta sovietica fu senza limiti, e oltre agli espropri ci furono assassinii e deportazioni. Non pago, il georgiano Stalin fece morire di fame qualche milione di pacifici coltivatori lasciati volutamente senza più alcun mezzo di sussistenza: il nome con cui si ricorda quel massacro è Holodomor. Fu in quei frangenti che presero piede le prime bande armate nazionaliste che, quando le truppe tedesche invasero l’Unione Sovietica, si unirono ai nazisti contro i comunisti sovietici e anche contro i vecchi “occupanti” polacchi. Ne fecero le spese anche gli ebrei, presenti in gran numero in quelle regioni. Decine di migliaia di loro furono consegnati dai nazionalisti e deportati nei lager tedeschi ove la maggior parte morì.
Stephan Bandera fu il massimo leader di quelle bande e, nonostante sia stato filo-nazista e antisemita, dal 1 gennaio 2019 la sua data di nascita è diventata festa nazionale.
Pur in mezzo alle varie vicissitudini, una larga parte degli abitanti dell’attuale Ucraina (almeno il 35% del totale) ha continuato a vedere in Mosca e San Pietroburgo il proprio naturale punto di riferimento e trovare nella Russia la propria naturale radice storica. Tuttavia dalla presidenza di Poroshenko in poi la loro lingua è stata abolita da ogni ufficio o documento pubblico, sono state chiuse le scuole, i giornali e le televisioni in russo ed emarginati coloro che non si dichiaravano ufficialmente come “ucraini”.
Il filosofo politico ultra conservatore Leo Strauss ha scritto che ogni governo o classe dirigente deve trovare e, ove necessario, instillare forzosamente nelle coscienze di tutti i cittadini qualche “parola l’ordine” che li aiuti a sentirsi appartenenti a quella comunità. Questa “parola d’ordine” deve essere il più possibile credibile e condivisibile ma non importa se corrisponda o meno alla realtà: ciò che conta è che appaia verosimile. Altrove è la religione, qui il “nazionalismo ucraino” è uno di questi strumenti. Per giustificare il sostegno che Paesi estranei danno al governo di Kiev contro la Russia si è dovuto però inventare anche qualcos’altro, utile a convincere le opinioni pubbliche occidentali del perché si stia con l’uno e non con l’altro. La “lotta delle democrazie contro gli autoritarismi” è stata giudicata utile a questo scopo.
Durante la Guerra Fredda tutto era più semplice e meglio definito: era una guerra tra il “mondo libero” e il “comunismo”. C’erano anche i “non allineati”, ma il confronto tra le due ideologie era vero e basato su filosofie politiche reali e contrapposte. Oggi tutto è molto più confuso: che la Russia sia un Paese tendenzialmente autoritario è lapalissiano, ma che il fronte “democratico” sia tutto proprio tale è molto più discutibile. Prendiamo la stessa Ucraina. Chiunque conosca minimamente quel Paese sa che a Kiev la sovranità popolare è puramente fittizia, più o meno come a Mosca se non addirittura peggio. Dove sta la differenza con la Russia? L’unica visibile è che a Mosca è il presidente a decidere chi può diventare ricco e chi no, a Kiev, oltre agli americani, sono i ricchi locali a decidere chi avrà il potere politico. E la popolazione? Dove sta il rispetto delle minoranze? Paradossalmente sono più tutelate e rispettate in Russia che in Ucraina. Nonostante entrambi i paesi siano ricchi di risorse naturali, la maggioranza della popolazione vive poco sopra il livello di sussistenza e a Kiev come a Mosca il “diritto” è soggetto a interferenze di ogni tipo da parte di chi “può”. In nome di quale “democrazia” dovremmo parteggiare per l’uno anziché per l’altro? Non si invochi il “diritto internazionale”: dove stava nella gurra contro la Serbia e in quella contro l’Iraq?
Ma, si dice, la Russia è aggressiva e vuole imporre ad altri paesi il proprio sistema autoritario. Chi lo sostiene evidentemente non ha guardato le carte geografiche: chi si è espanso di là dei propri iniziali confini? La NATO o la Russia? Anche se Mosca coltivasse una tale ambizione non potrebbe comunque permetterselo. Pure senza le sanzioni, Mosca è una belva senza denti: il suo PIL è inferiore a quello della minuscola Corea del Sud e il reddito pro-capite viene dopo l’ottantesimo posto nel mondo. Sicuramente da ex grande potenza ambisce a mantenere un ruolo internazionale e il desiderio di qualunque regime ci sia a Mosca è quello di poter, in qualche modo, fungere da punto di riferimento insostituibile per quegli stati, ancora più poveri della Russia, che fecero parte della defunta Unione Sovietica. Tuttavia, che ciò non possa tradursi in una qualche forma di occupazione “militare” è dimostrato dall’inadeguatezza che l’esercito russo ha dimostrato nei recenti combattimenti contro la più piccola Ucraina. Se poi qualcuno, mentendo sapendo di mentire, allude al rischio che Mosca possa voler invadere Paesi vicini come i Baltici o addirittura la Polonia, siamo totalmente fuori dalla realtà. La classe dirigente moscovita non è così pazza, a meno che non gli si lasci altra scelta, dall’immaginare un confronto militare contro le truppe dell’intera NATO. Il solo bilancio militare annuale degli Stati Uniti è più di dieci volte quello che i russi vi investono o possono permettersi.
Infine un altro degli slogan usati per giustificare la giustezza nel parteggiare per l’Ucraina contro la Russia risiede nel fatto che gli ucraini avrebbero “democraticamente” e “liberamente” deciso voler aderire alla NATO. Su quanto questa decisione sia stata presa in modo veramente libero e democratico dai cittadini di quel Paese ci sarebbe da discutere a lungo chiudendosi occhi e orecchie nei confronti di tutte le mene americane nel corso degli anni e del loro desiderio ufficializzato di voler “contenere” la Russia. Comunque sia, a questo proposito va ricordato che la stessa OSCE statuisce che ogni Paese sovrano ha diritto di fare ciò che è necessario per “tutelare la propria sicurezza” purché ciò non avvenga a spese della “sicurezza altrui”. È assurdo ricordare che il presunto desiderio ucraino, così come quello cubano negli anni sessanta, mette proprio a rischio la “sicurezza altrui” (allora quella americana, oggi quella russa) tutelata anche dall’OSCE?

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.