Ucraina. La guerra di Putin: paragonato a Hitler, sembra più un tiranno modello Milosevic

di Gianluca Vivacqua –

Alcuni giorni fa il presidente russo Vladimir Putin, per bocca del portavoce Dmitri Peskov, ha detto che “i russi non abbandoneranno l’Ucraina fino a quando non avranno raggiunto tutti i loro obiettivi”. In realtà si può dire che Putin la sua guerra l’ha già vinta, se il suo scopo era esasperare l’ossetizzazione dell’Ucraina, cioè la contrapposizione tra una popolazione russofila e una popolazione antirussa. Probabile che il risultato finale a cui aspira sia la conferma della situazione creata proprio col suo intervento bellico (creare uno o più ponti territoriali tra il Donbass e la Crimea), al netto di un eventuale piano di spartizione dell’Ucraina con la Polonia (l’est a Mosca, l’ovest a Varsavia e il centro con Kiev territorio libero) di cui parla Maurizio Stefanini su Libero del 4 giugno. Ma ciò che fa veramente paura in Occidente è l’immagine di Putin come brutale conquistatore: in realtà non sembra che la storia mondiale degli ultimi quarant’anni abbia visto altri espansionisti conquistatori all’infuori di Saddam Hussein, l’uomo che rivendicava territori per il suo Iraq sulla base di antiche questioni di confine.
Nel 1990 il tentativo di annettere un emirato indipendente bastò al dittatore iracheno (appena reduce da una guerra quasi decennale con l’Iran, cominciata anch’essa con progetti annessionistici) per scatenare una piccola guerra mondiale: qualcuno preferisce chiamarla neo-crociata, la prima di una serie (continuata con la guerra in Afghanistan nel 2001 e la seconda guerra contro l’Iraq nel 2003), ma è un fatto che era dal ’45 che non si vedeva un evento bellico , a prescindere dall’entità dello stesso, coinvolgere quasi tutto l’occidente e una parte dell’Asia.
A dispetto delle più catastrofiche previsioni formulate fin dal 24 febbraio, e nonostante voci e proclami, la guerra in Ucraina dopo tre mesi non si è allargata, né dal punto di vista degli attori in campo né da quello dello scenario territoriale. E neppure da quello degli obiettivi della Russia, e del suo modus operandi. In mezzo a una tensione internazionale che resta alle stelle, Putin sta procedendo in Ucraina come fosse in Cecenia, in Abkhazia o, appunto, in Ossezia.
Cinicamente si potrebbe dire che è una guerra regionale o interregionale che però le attese internazionali stanno trasformando in uno snodo cruciale per la storia d’Europa: lo si vede dalla reazione durissima dell’Ue (forse più cruciale ancora del conflitto in sé). Nella sostanza però la guerra come fino a ora l’hanno condotta i russi conferma che il modello a cui si possono assimilare Putin e il suo espansionismo sembra essere piuttosto quello di Slobodan Milosevic: un annessionismo di restaurazione giustificato da una certa idea di nazione da difendere. Ciò che realmente accomuna Milosevic e Putin è che entrambi sono prodotti dell’esplosione di mondi. Collassata la Jugoslavia Milosevic, alla guida dello Stato che era sempre stato il cuore di essa, e cioè la Serbia, si impegnò con crudele determinazione in un progetto teso a rinverdire i fasti di un Paese che, prima dell’invenzione federale di Tito, era stato un potente regno capace di assorbire anche Croazia e Slovenia. La priorità era quindi quella di tornare a raccogliere, nello sfascio di un’esperienza federativa che era durata lo spazio di una leadership carismatica, tutte le popolazioni che si riconoscevano nell’identità serba. Analoga missione si è preso in carico Putin, crollata la federazione sovietica e scioltosi il suo Commonwealth, costituito dai paesi firmatari del Patto di Varsavia: ricongiungere alla Russia, il centro di tutta la galassia sovietica, le popolazioni di lingua russa sparpagliate nel territorio dell’ex Urss.
In questi mesi di guerra si sono sprecati i paragoni tra Hitler e Putin, forse storicamente impropri soprattutto se si guarda alla politica di guerra. Ma il legame ideale con Milosevic è stato confermato in fondo dallo stesso Biden che ha apostrofato il suo omologo moscovita con l’appellativo di “macellaio”: lo astesso epiteto che era stato riservato dal suo predecessore Clinton al presidente serbo.