Ucraina: tempo di bilanci

La guerra russo-ucraina, entrata nel terzo anno, ci ha reso più chiaramente consapevoli che i rapporti fra i Paesi europei non sono soltanto disomogenei per comprensibili ragioni storiche e differenze culturali nell’interpretazione della democrazia, ma si sono anche pericolosamente alterati.

Siamo ormai entrati nel terzo anno di guerra russo-ucraina essendo, lo scorso 24 febbraio, trascorsi due anni dall’inizio dell’invasione militare russa contro Kiev.
La prima cosa da osservare è che in questo biennio di “operazione speciale”, come definiscono tuttora questo conflitto a Mosca, ne escono piuttosto alterati i rapporti e gli equilibri internazionali, tanto che diversi analisti concordano nell’affermare che si stia vivendo oggi la più grande e grave crisi delle relazioni internazionali del ventunesimo secolo.

Intanto, però, la crisi in Medio Oriente, che ha fatto irruzione sugli scenari mondiali dall’ottobre del 2023, ha messo palesemente in ombra il conflitto russo-ucraino, le cui origini, non bisogna dimenticarlo, si erano manifestate nel 2013-2014 con le manifestazioni filoeuropee a Kiev del cosiddetto Euromaidan e la conseguente annessione della Crimea da parte russa.

Le contromisure messe in atto dall’Unione Europea, concretizzatesi soprattutto in un intricato sistema di sanzioni contro Mosca, non si sono rivelate efficacemente risolutive, così come l’accordo sul grano tra Russia e Ucraina, andato quasi a vuoto.

Alle soglie del terzo anno di guerra, perciò, vediamo che i russi avanzano nei territori occupati in Ucraina, non senza pesanti perdite in termini umani e di mezzi militari, tuttavia la macchina militare russa riesce a spostare in avanti la linea del fronte, dove si combatte, ammassando truppe su truppe, con le modalità di un lungo assedio.

Nel frattempo, in Europa, l’adesione a sostenere la causa ucraina, con l’invio di munizioni e armamenti, subisce un rallentamento fisiologico e anche da Washington non viene affatto nascosta la “Ukraine fatigue” (stanchezza) di continuare a supportare così tanto Kiev.

In questo contesto, alcuni Paesi europei continuano ad avere fattive relazioni con Mosca e tutto ciò suscita una evidente contraddizione rispetto alle dichiarazioni di Bruxelles quando, oltre due anni fa, scoppiò il conflitto. L’Ungheria, la Slovacchia, l’Austria, infatti, non rispecchiano più quella compattezza di sostegno corale che l’Europa euroatlantica auspicava nei confronti dell’Ucraina. Per non parlare degli Stati Uniti che, anche per motivi di campagna elettorale in vista delle presidenziali del prossimo novembre, dimostrano di rallentare la loro disponibilità nei confronti degli aiuti militari richiesti incessantemente da Kiev all’unica potenza che finora glieli ha effettivamente consegnati in grande quantità. A detta di Zelensky, infatti, l’Unione Europea ha contribuito finora soltanto per il 30 per cento di quanto promesso.

Si potrebbe osservare, perciò, che Mosca stia lavorando sui tempi lunghi, nella speranza che il fronte occidentale, in particolare quello europeo, si sfaldi ulteriormente, poiché, come come abbiamo già detto, non è affatto granitico e compatto verso l’Ucraina.

Se gli americani dovessero scegliere nuovamente Donald Trump, questione verosimile con tutto quello che comporta, sappiamo già che le sue posizioni nei confronti della guerra russo-ucraina saranno meno radicali di quelle dell’attuale amministrazione Biden e che, peraltro, la volontà di Trump è più smaccatamente orientata a disimpegnarsi sui fronti esterni, Medio Oriente compreso, avendo maggiormente in alto, nella lista delle priorità, la questione dell’immigrazione dalla frontiera con il Messico.

Per Trump, cui non interessa ingaggiare guerre infinite, è chiaro che l’Ucraina sta affrontando un impero, quello russo che, oltretutto, è anche una potenza nucleare. Il cambio di passo della presidenza americana potrebbe quindi farsi sentire, il che non significherà l’abbandono degli ucraini al loro destino, però una rimodulazione del sostegno militare americano fornito finora a Kiev potrebbe essere assai probabile con Trump. Qualche analista ha parlato anche in termini di “congelamento del conflitto russo-ucraino” in caso di vittoria trumpiana.

Nel frattempo bisogna registrare il successo dell’Ucraina nel Mar Nero, anziché nella controffensiva sul terreno che, a livello mediatico, era stata enfatizzata per tutta una serie di ragioni.
L’Ucraina recentemente sta infatti variando le tattiche, ingaggiando altri tipi di azioni, di simil guerriglia o vero e proprio sabotaggio, verso le navi russe nel Mar Nero. Un colpo riuscito di recente è stato l’affondamento di un’altra nave militare russa nel Mar Nero, azione che dal punto di vista strategico riveste la sua importanza.

Per l’Ucraina il passare del tempo, con l’allungamento senza fine del conflitto, è un elemento di svantaggio per la capacità di questa nazione di sopportare le perdite, sia umane sia di mezzi militari, mentre la Russia sembra essere in grado di reggere meglio un intero altro anno di guerra.
Tutto questo, forse, spingerà l’Europa a fare quel passo che ancora non ha fatto verso la difesa comune mediante un esercito europeo. Un qualcosa che potrebbe essere complementare al sistema di difesa Nato.

Ma bisognerebbe riflettere più in grande, perché c’è tutto un pezzo di mondo che vede la questione russo-ucraina in una prospettiva diversa dalla nostra. Cina e India in primis.
Nella Federazione Russa, ovviamente, si guarda con simpatia alla Palestina, anche in virtù delle sue consistenti composizioni demografiche, etniche e religiose, rappresentate da milioni di persone che vivono nelle repubbliche, regioni e distretti della Federazione. Ne consegue che la politica estera russa vada in quella direzione.

D.B.