Ue. L’incognita dei rifiuti pericolosi

di C. Alessandro Mauceri

Pochi giorni fa la Commissione europea ha pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Comunità europea la sesta relazione di attuazione del regolamento sulla spedizione di rifiuti speciali.
Diverse le considerazioni da fare. La prima riguarda il periodo di riferimento: la nota pubblicata è relativa ai rifiuti esportati dai paesi Ue dal 2016 al 2019. Nessuno ha saputo spiegare come mai ci sia voluto così tanto tempo, quasi quattro anni (!), per pubblicare questi dati. Tanto più che i paesi dell’Unione sono obbligati a trasmettere alla Commissione i propri resoconti con cadenza annuale.
L’Unione Europea, infatti, è parte contraente della convenzione di Basilea (22 marzo 1989) sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento. Obiettivo di questo documento dovrebbe essere proteggere la salute umana e l’ambiente dagli effetti nocivi dei rifiuti pericolosi monitorandone gli spostamenti.
Nel 2006 è stato approvato il regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, che ha recepito la Convenzione nel diritto UE. In base a questo accordo, ogni tre anni la Commissione europea, basandosi sui questionari dell’Ue, stila una relazione sull’attuazione. Ma anche questo aspetto dovrebbe far riflettere: la relazione appena pubblicata non è riferita ad un triennio ma ad un quadriennio. Copre il periodo dal 2016 al 2019.
Altro aspetto degno di nota, dal documento di lavoro dei servizi della Commissione che accompagna la relazione e che contiene informazioni dettagliate sulle relazioni degli Stati membri si evince che, nel periodo esaminato, le esportazioni di rifiuti pericolosi sono aumentate esponenzialmente: sono passate da 3,9 milioni di tonnellate nel 2001 a 8,1 milioni di tonnellate nel 2019. Un dato, questo, particolarmente importante se si considera che la quantità di rifiuti segnalati è rimasta praticamente invariata durante il periodo in esame.
Da sottolineare anche che, secondo il documento, la maggior parte di queste spedizioni sarebbe avvenuta all’interno dei confini dell’Ue. Il volume esportato dall’Ue verso paesi terzi riguarderebbe paesi dell’OCSE. Un dato questo che lascia perplessi: secondo i dati diffusi dal Parlamento europeo, le esportazioni di rifiuti nel 2020 (non inseriti nella relazione) al di fuori dei paesi OCSE avrebbero raggiunto la stratosferica cifra di 32,7 milioni di tonnellate! Un dato questo che fa a pugni con la valutazione della normativa in vigore, pubblicata dalla Commissione nel gennaio 2020, che conteneva la proposta della Commissione di rivedere le regole attuali sulle spedizioni di rifiuti con tre obiettivi principali: far sì che l’Ue non esporti in paesi terzi i propri problemi legati ai rifiuti, facilitare il trasporto dei rifiuti a fini di riciclo e riuso nell’UE, e fronteggiare meglio le spedizioni illegali di rifiuti.
A seguito di questa proposta, a novembre 2021, la Commissione aveva suggerito di sostituire il vecchio regolamento con uno nuovo. Purtroppo, altra anomalia degna di nota, da più di due anni questa proposta è all’esame del Parlamento europeo e degli Stati membri dell’UE, ma senza essere mai essere giunta ad un punto fermo.
Tutti numeri che cozzano terribilmente con il New Green Deal tante volte sbandierato dalla presidente della Commissione europea.
La conclusione di tutto ciò è che oggi non è possibile conoscere la quantità esatta, aggiornata e ufficiale dei rifiuti pericolosi esportati dai singoli paesi dell’Ue all’interno dell’Ue stessa, verso un altro paese OCSE o al di fuori. L’ultimo dato disponibile (ma non grazie alla relazione appena pubblicata dalla Commissione europea) è quello relativo al 2020. Secondo questi numeri, l’Italia sarebbe lo stato dell’UE che riesce meno degli altri a gestire sul proprio territorio tutto quello che non è riciclabile (soprattutto gli scarti generati dal trattamento meccanico dell’indifferenziato urbano e dei rifiuti differenziati, che finiscono all’estero per essere quasi sempre trasformati in calore ed energia negli impianti altrui). Secondo i dati Eurostat, nel 2020 l’Italia ha esportato quasi 529mila tonnellate di rifiuti classificati con il codice 191212, quantità che rappresenta la fetta principale (25%) dei 2,1 milioni di tonnellate esportati dagli Stati membri dell’UE e finiti per il 73% in impianti di recupero energetico o in co-incenerimento in impianti produttivi al posto di combustibili fossili.
E anche questo dovrebbe far riflettere.