Ue. Scivola ancora la messa al bando del glifosfato

di C. Alessandro Mauceri

Ennesimo rinvio in Ue della decisione sul glifosato. La sua attuale autorizzazione alla commercializzazione e all’uso nell’Ue, già prorogata di un anno e mezzo, scadrà alla fine di quest’anno. Nei giorni scorsi però la Commissione europea è arrivata al tavolo con una nuova proposta: non più rinnovo decennale dell’autorizzazione ma per cinque-sette anni. “Il nostro obiettivo è che ogni decisione in merito sia condivisa dalla maggior parte dei governi”, ha detto il portavoce della Commissione, Margaritis Schinas. Una decisione sorprendente prima di tutto perchè in netto contrasto con la decisione del Parlamento europeo che, con 355 voti favorevoli, 204 contrari e 111 astenuti, aveva chiesto il divieto per l’uso domestico e un divieto per quello agricolo entro cinque anni. Contro la proposta di rinnovo decennale si erano già espressi Francia, Italia, Austria e Lussemburgo.
Se da un punto di vista meramente giuridico è vero che è necessario che affinché la proposta passi venga dato il via libera da almeno il 55 per cento dei 28 stati membri (e almeno il 65 per cento della popolazione), dall’altro la decisione di continuare a rinviare la proibizione del glifosato (e di cedere alle pressioni delle grandi multinazionali produttrici di prodotti agricoli) va palesemente contro la volontà degli europei. Una petizione europea contro l’uso di questa sostanza ha raccolto oltre un milione di firme e un sondaggio pubblicato dall’associazione internazionale di consumatori SumOfUs rivela che l’80% dei tedeschi, il 79% dei francesi, l’84% degli italiani, il 77% dei portoghesi e l’81% dei greci sono fortemente contrari all’utilizzo del glifosato e a favore del suo “divieto immediato”.
Quello dei giorni scorsi è solo l’ultimo di una lunga serie di rinvii ingiustificabili se non pensando alle pressioni esercitate dai grandi produttori mondiali di cereali che fanno grande uso di questa sostanza. L’ennesimo rinvio della Commissione sorprende anche perchè da anni studi scientifici hanno dimostrato la pericolosità di questa sostanza che è l’ago della bilancia tra chi vuole un’agricoltura più pulita e sostenibile e chi, invece, vuole continuare ad avere una agricoltura intensiva a costo della salute delle persone.
Usato principalmente nel periodo che precede la raccolta in molti paesi, tra cui il Canada, consente di esportare i prodotti agricoli a prezzi estremamente competitivi a scapito della produzione di paesi come l´Italia. Non è un caso se buona parte del grano che arriva in Italia proviene proprio dal Canada. Una concorrenza che ha causato danni enormi all’economia locale: negli ultimi dieci anni più della metà delle aziende che producevano grano duro sono sparite nel Sud Italia.
“Hanno vinto le lobby”, ha dichiarato l’eurodeputato Piernicola Pedicini. Il rischio, visti anche i continui rinvii, è che il divieto non divenga mai operativo. Per il Comitato Ue per gli alimenti, i mangimi e le piante, che si è riunito ieri, la decisione non è stata ancora presa perché non c’è accordo tra i paesi Ue.
Alcuni paesi, infatti, cercano di nascondere la propria decisione dietro l’alibi della discordanza tra i risultati degli studi scientifici sulla pericolosità del glifosato. Alcuni sostengono che la sostanza sia sicura (come la National Farm Union o il Concilio britannico per la produzione vegetale). Altri invece, come la Soil Association, da anni si schierano al fianco della corrente scientifica che è contraria al suo utilizzo. “Considerato per quanto tempo si è usato il glifosato, è assurdo che si ignori ancora l’impatto ambientale di questa sostanza. Queste incertezze andrebbero tenute in considerazione in fase decisionale in Unione Europea ed aggiungono peso alle richieste di divieto sulla base della minaccia che il glifosato rappresenta per la salute umana. I nostri terreni sono vulnerabili e minacciati”, ha dichiarato in merito Emma Hockridge, responsabile politico dell’associazione.
I risultati di alcuni di queste “ricerche” a marzo avevano fatto scoppiare quello che alcuni hanno chiamato i “Monsanto Papers”, dal nome della multinazionale di biotecnologie agrarie, con circa 18mila dipendenti e un fatturato di 14,5 miliardi di dollari: alcune ricerche scientifiche sulla cancerogenicità dell’erbicida sarebbero state alterate a seguito causa delle pressioni esterne, ragione per la quale, nei giorni scorsi, la Monsanto aveva preferito non presentarsi al Parlamento europeo per un confronto.
La verità è che il “caso glifosato” non ha più segreti, almeno nell’ambito scientifico serio. Numerosi scienziati hanno dimostrato che il glifosato agisce nella nostra catena alimentare provocando danni ingenti alla salute. Uno studio pubblicato sull’autorevole rivista scientifica The Lancet Oncology e basato su tre anni di ricerche coordinate da 17 esperti in 11 Paesi, rivela che esiste una correlazione tra l’esposizione alla sostanza e il linfoma non-Hodgkin, oltre ad un aumento di leucemie infantili e malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson. Inoltre secondo l’Agenzia internazionale per la Ricerca contro il cancro, questa sostanza potrebbe essere un agente cancerogeno.
Una certezza per molti ma a quanto pare non per la Commissione europea, che continuando a rinviare anno dopo anno la decisione di metterlo al bando, consente alle multinazionali del grano di aumentare i propri profitti. A scapito della salute (e della volontà) dei cittadini europei.