Usa. Casa Bianca: si va verso la sfida tra due donne?

di Giovanni Ciprotti

Fiorina claryTra poco più di un anno i cittadini statunitensi voteranno per eleggere il loro 45mo presidente. Sarà democratico o repubblicano? Prevarrà l’apprezzamento per le realizzazioni della amministrazione Obama oppure la delusione dopo le molte aspettative suscitate dalla elezione del primo presidente afroamericano della storia?
Nella seconda metà degli anni Ottanta Arthur M. Schlesinger jr scrisse “The Cycles of American History” (pubblicato in Italia nel 1991 con il titolo “I cicli della storia americana”), in cui spiegava come la storia politica Usa fosse caratterizzata dal “continuo alternarsi, nell’impegno nazionale, di bene pubblico e interesse privato”. Tale alternanza si rifletteva, sul piano istituzionale, nei successi elettorali di un partito progressista o di un partito conservatore.
Anche restringendo l’osservazione a quanto è accaduto dagli anni Ottanta in avanti, gli inquilini della Casa Bianca sono rimasti ciascuno per due mandati consecutivi, al termine dei quali ha prevalso il candidato del partito all’opposizione (con la sola eccezione della presidenza repubblicana di George Bush senior, il cui unico quadriennio si pose in continuità con i due di Ronald Reagan).
Se volessimo applicare il “teorema del pendolo” di Schlesinger, il prossimo presidente degli Stati Uniti dovrebbe quindi essere repubblicano.
Si tratta naturalmente di una previsione assai azzardata. Mancano ancora tre mesi all’inizio delle primarie e nove alle nomination dei due partiti. In questo periodo può accadere di tutto: candidati dati per vincenti potrebbero essere scavalcati da qualche outsider, magari per via di qualche piccolo scandalo scoppiato in campagna elettorale; alcuni candidati potrebbero ritirarsi, stravolgendo così l’equilibrio tra gli altri concorrenti dello stesso partito; nuovi accadimenti di rilievo nazionale potrebbero indurre una quota consistente degli indecisi ad orientarsi verso un candidato inizialmente sottovalutato.
Tuttavia, l’incertezza non riguarda entrambi gli schieramenti allo stesso modo.
Se nel 2008 le primarie del partito democratico si sono ridotte ad una sfida a due tra Hillary Clinton e Barack Obama, oggi non sembra quasi esistere competizione tra la ex first lady e l’unico che ha qualche lieve chance di contenderle la nomination, Bernie Sanders. Al di là del divario finora confermato dai sondaggi, 20 punti in più per la Clinton, a sfavore del senatore del Vermont giocano la sua età (74 anni, un po’ troppi per la tradizione americana) e la sua dichiarata fede socialista.
Il campo repubblicano è molto più affollato e nessuno dei candidati ha fin qui sovrastato gli altri. I segnali provenienti dai sondaggi e dagli esiti dei tre dibattiti televisivi svoltisi finora restituiscono una fotografia poco nitida. Nel primo e nel terzo confronto pubblico tra i dieci sfidanti ha brillato la stella di Marco Rubio, il quarantacinquenne senatore della Florida, mentre il secondo dibattito è stato dominato da Carly Fiorina, l’ex Chief Executive Officer di Hewlett-Packard. Stando ai sondaggi, invece, questa prima fase della sfida appare quasi monopolizzata dal magnate Donald Trump e dall’ex neurochirurgo Ben Carson, con gli altri concorrenti che devono accontentarsi di percentuali di consenso ad una cifra. Se poi la graduatoria venisse stilata sulla base di altri criteri, quali la capacità di raccogliere fondi o il numero di sostegni da parte delle elite del partito, le posizioni potrebbero variare nuovamente. Al momento i repubblicani sembrano avere soltanto una certezza: il loro candidato dovrà vedersela con Hillary Clinton.
Una donna la cui ascesa non è stata frenata né dagli scandali in cui, a volte incolpevolmente, è stata coinvolta né dagli insuccessi collezionati, a partire dalla fallita applicazione della riforma sanitaria che suo marito Bill le aveva affidato negli anni Novanta. Anche l’audizione di pochi giorni fa in Senato sulle vicende dell’ambasciata americana a Bengasi ha confermato la sua straordinaria lucidità e il suo autocontrollo.
Elettori, finanziatori e gli stati maggiori del GOP potrebbero concludere che per battere Hillary sia necessario un candidato che sappia trasmettere una immagine sicura, rispettabile e non troppo aggressiva; che riesca a reggere un confronto televisivo senza rischiare di soccombere come accadde a Nixon con Kennedy nel 1960; che catturi l’attenzione del pubblico anche indipendentemente dalle soluzioni che propone in politica economica, negli affari esteri o in ambito fiscale. Potrebbero inoltre convincersi che il loro candidato non debba neanche correre il rischio che la questione di genere alteri il confronto elettorale e che Hillary riesca a trarre beneficio dal fatto di essere donna, sebbene questo tema non sia stato ancora utilizzato nell’agone politico.
Scopriremmo forse che l’identikit del candidato repubblicano prescelto non può essere Donald Trump perché troppo irruento e sanguigno per la presidenza; non può essere Ben Carson, l’altro outsider per di più afro-americano, perché la carta “black” è stata già giocata con successo da Obama; non possono essere gli altri politici di professione scesi in campo, troppo ordinari per sperare di scalfire Hillary. E a sorpresa potremmo assistere alla proclamazione di Carly Fiorina come candidato del GOP. Perché è senza alcun dubbio conservatrice; perché non è compromessa con amministrazioni precedenti; perché rappresenta pur sempre la perpetuazione del mito americano di chi si “fa da sé”, essendo passata dal ruolo di segretaria a quello di CEO di una delle multinazionali di punta nel mondo ICT; perché donna, anche se nessuno lo ammetterà esplicitamente.
Gli Stati Uniti sono un Paese che ha sempre stupito il mondo con le sue enormi contraddizioni ma anche con i suoi exploit. Nel 1960, con Kennedy, si è assistito alla prima elezione di un presidente cattolico. Nel 2008, a poco più di 40 anni dalla legge sui diritti civili voluta da Johnson per combattere la discriminazione razziale, alla Casa Bianca giungeva per la prima volta un presidente nero. Potrebbe essere arrivato il momento del primo Presidente donna.

Nella foto: Carly Fiorina.