Usa. Trump cancella il bando: via libera alle mine anti uomo

di C. Alessandro Mauceri

“Gli accordi di pace possono essere firmati e le ostilità possono cessare, ma le mine terrestri e i residuati bellici esplosivi sono un’eredità perdurante dei conflitti”. Con queste parole che si sono aperti i lavori per la presentazione del 21mo Rapporto della Campagna internazionale per il bando delle mine (UCBL) e della Coalizione contro le bombe a grappolo (CMC).
La disputa sulla legittimità o meno dell’uso delle mine antiuomo va avanti da decenni. Nel 1999 le Nazioni Unite ad Ottawa, in Canada, presentarono un trattato (da allora noto come Trattato di Ottawa) che prevedeva la messa al bando dell’uso, stoccaggio, produzione e vendita delle mine antiuomo in tutto il mondo e la distruzione di quelle inesplose. Ad oggi 164 paesi hanno ratificato questo accordo. 33 invece non lo hanno fatto e tra questi ci sono molte potenze mondiali e paesi importanti per il ruolo strategico che rivestono a livello globale: Stati Uniti, Cina, India, Russia, Israele, Iran, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e molti altri.
Lo scorso anno aveva destato scalpore negli USA l’annuncio del presidente Donald Trump di stare valutando la possibilità di tornare ad utilizzare questi ordigni. Oggi quelle paure si sono trasformate in realtà. Con un ulteriore passo indietro rispetto ai risultati ottenuti fino ad ora sul piano della sicurezza mondiale, la Casa Bianca ha “annullato la politica dell’amministrazione Obama di vietare alle forze militari degli Stati Uniti di impiegare mine antiuomo al di fuori della penisola coreana”, ha dichiarato in una nota il segretario alla stampa della Casa Bianca, Stephanie Grisha. La quale ha aggiunto che “Il Dipartimento della Difesa ha stabilito che le restrizioni imposte alle forze americane dalla politica dell’amministrazione Obama potrebbero metterle in grave svantaggio durante un conflitto contro i nostri avversari. Il presidente non è disposto ad accettare questo rischio per le nostre truppe”. Le nuove mine antiuomo volute da Trump dovrebbero essere dotate di un dispositivo di autodistruzione entro 30 giorni, una caratteristica progettuale che dovrebbe ridurre, ma non eliminare del tutto, le vittime civili. Il ricorso ad un simile dispositivo però appare poco credibile: passati i trenta giorni chi ha piazzato quelle mine cosa dovrebbe fare? Buttarle via e piazzarne di nuove? Senza contare che i conflitti in atto dimostrano che 30 giorni non bastano per risolvere le controversie tra le forze in gioco e i conflitti si prolungano sempre per anni se non per decenni. Parlando ai giornalisti Victorino Mercado, assistente segretario alla Difesa, ha detto che le mine antiuomo sono un problema “emotivo”. Dimenticando forse che molte delle mine piazzate in conflitti conclusi lo scorso secolo son ancora lì dove le hanno piazzate.
A oltre vent’anni dalla fine della guerra in Bosnia le stime parlano di un 2,2% del territorio ancora cosparso di mine. In Cile, lungo il suo confine settentrionale con il Perù, delle 181.814 mine “piantate” solo 130.497 sono state distrutte o rimosse, il 72 per cento. Le altre restano là in attesa di esplodere. Dove esattamente nessuno lo ricorda più. Ma il paese dove gli eserciti ne hanno lasciate di più è la Cambogia: qui ci sono ancora dai 4 ai 6 milioni di mine ed altri ordigni inesplosi, per la maggior parte sepolti nelle campagne. Secondo alcune stime, tra il 1970 ed il 1975, sarebbero state sganciate 539.129 le tonnellate di bombe in Cambogia. Ordigni ancora maledettamente attivi. In attesa dell’agricoltore o del bambino del villaggio vicino.
É questo il nocciolo della questione: queste bombe possono restare attive per decenni. Anche dopo che i conflitti per cui erano state usate erano finiti. E bonificare e mettere in sicurezza le aree minate comporta quasi sempre costi elevatissimi e tempi molto lunghi. La conseguenza è che nei 60 paesi dove si sa con certezza che esistono aree contaminate da mine antiuomo (Afghanistan, Azerbaijan, Angola, Bosnia Erzegovina, Cambogia, Ciad, Croazia, Iraq, Sahara Occidentale, Thailandia, Turchia, Yemen) si continua a morire.
Solo nel 2018 sono stati almeno 3.059 i morti e 3.837 i feriti, quasi il doppio rispetto al quinquennio precedente. Altro aspetto delicato il fatto che a morire spesso sono civili (71 per cento) di cui quasi la metà, il 45 per cento, bambini. Dal 1990 si stima che questi ordigni abbiano causato 130 mila vittime, di cui 90 mila sopravvissuti, spesso con gravi mutilazioni. Cifre che in alcuni paesi come in Cambogia, dove circa 40mila persone con un arto amputato, un terzo delle quali bambini sotto i 15 anni, hanno fatto fiorire l’industria delle protesi.
Ciò che Trump ha dimenticato di dire è che le mine antiuomo non sono ordigni destinati a distruggere le cose, ma strumenti pensati e progettati per uccidere le persone. Per questo la decisione di un paese sviluppato di tornare ad utilizzarle appare quanto mai grave dal punto di vista geopolitico e sociale.
E come se non bastasse, a rendere la situazione ancora più scottante c’è l’aspetto dei limiti di utilizzo. Premesso che questo tipo di ordigni è stato messo al bando dalle Nazioni Unite da diversi anni, il predecessore di Trump, Barack Obama, aveva ordinato la distruzione di queste bombe, ufficialmente progettate per difendere la Corea del Sud. Ora il tycoon, forse in una incontrollabile brama di voti in vista delle elezioni presidenziali di fine anno, ha dichiarato che le forze armate statunitensi saranno libere di dispiegare mine antiuomo in tutto il mondo “in circostanze eccezionali”. Una decisione che potrebbe costare la vita a decine di migliaia di persone innocenti e scatenare una nuova escalation di violenze dalle conseguenze imprevedibili.