Yemen. Crimini di guerra, persecuzioni, epidemie e bombe sui bambini: dove finisce l’umanità

di C. Alessandro Mauceri –

Non passa giorno che dallo Yemen non arrivino notizie scoraggianti circa la situazione del paese. Ultima quella dei ribelli Houthi e della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, che sostiene l’ex presidente Abd Rabbo Mansour Hadi. È ritenuta quasi certa la condanna a morte di 24 cittadini yemeniti di fede Bahà’ì, tra cui una minorenne. La fede Bahà’ì, nata in Iran a metà del 1800 e che promuove principi come l’unità della razza umana e l’uguaglianza tra uomo e donna, è oggetto di persecuzioni in molti paesi arabi. Dal 2015, anno di inizio degli scontri nello Yemen, la situazione per la minoranza religiosa è peggiorata anche qui: numerosi praticanti della baha’i sarebbero stati arrestati e torturati da parte delle autorità huthi. “Accuse fabbricate e processi clamorosamente irregolari vengono usati per perseguitare i baha’i yemeniti unicamente a causa della loro fede. È particolarmente agghiacciante che alcuni degli imputati rischino di essere condannati a morte solo per la loro religione e per attività del tutto pacifiche“, ha detto Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International. “Gli imputati, tra cui una minorenne, sono accusati di reati gravi, tra cui lo spionaggio per un paese straniero, per alcuni dei quali è prevista la pena di morte. Le autorità huthi devono annullare queste false accuse, rilasciare coloro che sono stati arrestati in modo arbitrario e porre fine all’uso del sistema giudiziario per punire la libertà di fede e perseguitare voci critiche, giornalisti, attivisti e appartenenti alla minoranza baha’i e ad altri gruppi minoritari”.
Della vicenda ha parlato il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Enzo Moavero Milanesi, che ha ricordato l’impegno dell’Italia verso la moratoria delle esecuzioni capitali e la lotta contro ogni forma di discriminazione e intolleranza. Milanesi ha ricordato di aver chiesto all’Unione Europea e al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, di “potenziare le iniziative volte a scongiurare che il Tribunale Penale Speciale di Sana’a condanni a morte i 24 fedeli baha’i” e di aver “co-sponsorizzato” una Risoluzione sulla situazione dei diritti umani in Yemen.
Intanto le forze armate dell’Arabia Saudita (rifornite e aiutate da molti dei paesi “sviluppati” del mondo) continuano a sganciare bombe su obiettivi discutibili, non ultime delle scuole! E cresce il numero dei bambini uccisi o coinvolti negli scontri. L’UNICEF ha parlato di una situazione al limite dell’immaginabile. “Dopo oltre 3 anni di combattimenti, la situazione dei bambini in Yemen continua a peggiorare e non a migliorare. In Yemen si trova il maggior numero di bambini che ha bisogno a livello globale di assistenza umanitaria. Oltre 11 milioni di bambini – l’80% dei bambini del paese – hanno disperato bisogno di assistenza umanitaria”. Sono le parole riportate nel rapporto diffuso pochi giorni fa. “Questi bambini affrontano ogni giorno la minaccia della carenza di cibo, malattie, sfollamenti e grave carenza di accesso a servizi sociali di base. I servizi sociali sono a malapena in funzione e tutto il paese è sull’orlo del collasso. Le già deboli infrastrutture civili – comprese le reti idriche, le scuole e le strutture sanitarie – sono sotto attacco. I beni di base sono gravemente insufficienti”.
Blande le giustificazioni da parte del governo dell’Arabia Saudita. Il ministro di Stato per gli Affari Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Anwar Gargash, ha ribadito che la Coalizione araba sotto la guida saudita lotta contro il terrorismo e al-Qaeda. Il ministro ha ripetuto che l’intervento ha il duplice scopo di ostacolare il colpo di stato degli Houthi e di eliminare al-Qaeda nel territorio yemenita. Per questo, ha detto Gargash, lo Yemen ha bisogno di una soluzione “politica”. Il ministro ha poi ribadito l’impegno degli Emirati Arabi Uniti nella lotta contro il terrorismo e l’estremismo nelle varie parti del mondo come pilastro fondamentale della sua politica estera. A dargli manforte il portavoce delle forze armate degli emiratine, Muslim al-Rashedi, il quale ha spiegato gli sforzi sul campo compiuti dagli EAU nella lotta al terrorismo nello Yemen e ha descritto la città di Mukalla come la capitale del “Califfato di Al Qaeda nello Yemen”.
Il vero problema è che nello Yemen “democrazia” e “pace” (non è un caso se nessuno osa più parlare di “missioni di pace”) non hanno niente a che vedere con quello che sta avvenendo. Quella in corso nel paese è una guerra tra gruppi etnici e religiosi ma che lottano all’ultimo sangue per motivi che con la razza e la fede non hanno nulla a che vedere. Da una parte ci sono gli houthi, apparentati con gli sciiti e sostenuti dall’Iran, che nel 2014 hanno deposto il governo di Sanaa dando inizio alla guerra civile. Dall’altra la coalizione di paesi sunniti il cui scopo non è sconfiggerli ma distruggerli. Questi due gruppi lottano da migliaia di anni fa, ma in questo caso il motivo che spiega (ma non giustifica) la brutalità dello scontro è, come sempre del resto, di natura economica: assumere il controllo dello Stretto di Bab al-Mandeb da cui controlla l’accesso al Mar Rosso e dunque la rotta del petrolio fra il Golfo e l’occidente. Ed è questo che attira gli interessi di questo o quel sostenitore internazionale. Nient’altro. Un interesse per il quale si fa di tutto e in tutti i modi. Recentemente le Nazioni Unite hanno detto che possano essere stati “commessi crimini di guerra” nello Yemen. In un report commissionato dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU sotto accusa sono finite tutte le parti attive nel conflitto. Secondo Kamel Jendoubi, capo esperti dell’ONU nello Yemen, “I membri del governo e la coalizione con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti possono aver organizzato o condotto attacchi in violazione del principio di distinzione, proporzionalità e prevenzione, che potrebbero costituire crimini di guerra”. Entrambi i contendenti e le fazioni che li supportano potrebbero essersi resi responsabili di crimini come stupri, torture, sparizioni forzate e “privazione del diritto alla vita”. Charles Garraway, altro membro degli esperti ONU nello Yemen, ha detto che “Le violenze sessuali documentate nel corso delle nostre indagini sono terrificanti: ci riferiamo a tutte le violenze di genere, compresa la violenza sessuale e gli stupri contro donne e bambini, gli autori dei reati devono essere assicurati alla giustizia.
Gli esperti delle Nnazioni Unite puntano il dito sui bombardamenti condotti contro scuole, ospedali e mercati, in cui hanno perso la vita migliaia di persone. Solo nelle scorse settimane, un bombardamento effettuato dalla coalizione diretta proprio dall’Arabia Saudita ha causato la morte di 22 bambini e quattro donne.
Le conseguenze di questa bramosia di controllo territoriale e di vantaggi economici sono la peggiore epidemia di colera a memoria d’uomo, una crisi umanitaria che conta già oltre 10 mila vittime, 50 mila feriti, 2 milioni di profughi e 22 milioni di persone – di cui la metà bambini (dati ONU) e 8 milioni di persone considerate “a un passo dalla carestia” perché totalmente dipendenti dagli aiuti esterni. Un recente studio della Croce Rossa Internazionale, parla di 15,7 milioni di yemeniti, più id metà della popolazione, che “non hanno accesso ad acqua potabile e servizi sanitari”, cosa che favorisce il diffondersi di epidemie. E un flusso di migranti di proporzioni bibliche che sta causando enormi problemi ai paesi dell’area, primo fra tutti il Libano, ai paesi ospitanti come la Grecia e al mondo intero, con l’impegno per le Nazioni Unite ormai non più in grado di far fronte ai bisogni delle popolazioni in fuga.
Ma di tutto questo nel rapporto della Farnesina non sembra esservi traccia.