Arabia Saudita. Incredibile: lavori in corso per il First International Humanitarian Forum

di C. Alessandro Mauceri

Ennesimo scandalo che riguarda l’Arabia Saudita. Il paese arabo che più di ogni altro è discusso per lo scarso rispetto dei diritti umani ha deciso di ospitare First International Humanitarian Forum. A Riyadh, la capitale dell’Arabia Saudita, sono in corso i lavori del Primo Forum internazionale “umanitario”.
I lavori sono iniziati pochi giorni dopo la condanna da parte delle Nazioni Unite per il comportamento proprio del paese arabo. Secondo un gruppo di alti esperti delle Nazioni Unite per i diritti umani infatti l’Arabia Saudita ha “continuato a praticare il silenzio, arrestare arbitrariamente, detenere e perseguitare i difensori dei diritti umani e i critici”. E questo nonostante la nomina a membro del Consiglio dei diritti umani alla fine del 2016, decisione che sollevò un polverone e un grande scandalo, ma che non ebbe seguito. “Stiamo anche cercando il chiarimento del governo su come queste misure siano compatibili con gli obblighi dell’Arabia Saudita ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani, nonché con le promesse volontarie e gli impegni assunti quando si è iscritto al Consiglio per i diritti umani”, avevano detto gli esperti. Figure religiose, scrittori, giornalisti, accademici e attivisti civici sono presi di mira, insieme ai membri dell’Associazione dei diritti civili e politici sauditi (ACPRA), in un “modello preoccupante di arresti e detenzioni arbitrarie diffuse e sistematiche”.
“Stiamo assistendo alla persecuzione dei difensori dei diritti umani per aver esercitato pacificamente i loro diritti alla libertà di espressione, riunione, associazione e credo, nonché per rappresaglia per il loro lavoro. Il governo ha ignorato le ripetute richieste degli esperti delle Nazioni Unite e di altri di fermare queste violazioni, correggerle e prevenirne il ripetersi “, hanno detto gli esperti dei diritti umani in una dichiarazione congiunta a gennaio scorso.
Pochi giorni fa anche i Queen’s Counsel e avvocati dei diritti umani britannici Lord Ken Macdonald e Rodney Dixon avevano sottoposto un’opinione legale formale al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), in merito al deterioramento della situazione dei diritti umani in Arabia Saudita al fine di richiedere il ritiro del Paese dal Consiglio. Secondo i dati forniti dai legali britannici, dal settembre 2017 a oggi, in Arabia Saudita, sarebbero state arrestate più di 60 persone, tra le quali noti politici e attivisti dei diritti umani. Gli avvocati hanno dichiarato: “Coloro che sono stati arrestati non sono stati accusati di nessun reato e le informazioni sulle ragioni e le circostanze degli arresti sono molto limitate” e avevano aggiunto: “C’è motivo di preoccuparsi seriamente per il trattamento di molti di questi detenuti, tra i quali il signor Salman al-Ouda, che, recentemente, è stato ricoverato in ospedale, e altre due persone, che sono scomparse”. 11 membri, tra permanenti e provvisori, avevano votato a favore mentre Cina e Kazakistan si erano astenuti, ma la risoluzione è stata bocciata per il veto della Russia.
Non è la prima volta che il nome dell’Arabia Saudita finisce sotto accusa nel palazzo di vetro. Il 5 ottobre scorso, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aveva deciso di inserire la coalizione araba nella lista nera di coloro che violano i diritti dei bambini nelle aree di conflitto. Il paese mediorientale è stato accusato di aver ucciso e mutilato i bambini in Yemen e di aver distrutto edifici civili, quali scuole e ospedali. Poi, a dicembre 2017, l’organizzazione umanitaria Human Rights Watch aveva denunciato formalmente il principe dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, e chiesto alle Nazioni Unite di imporre sanzioni per gli abusi in Yemen nella lotta contro gli Houthi.
Ma, come dovrebbe essere ormai chiaro, i petrodollari valgono più delle buone azioni. Per questo le Nazioni Unite non hanno avuto niente da obiettare e hanno concesso che il First International Humanitarian Forum si svolgesse nel paese che, con i suoi bombardamenti sullo Yemen ha creato una delle più grosse crisi umanitarie del mondo. Bombardamenti che hanno causato la morte di decine di migliaia di persone, tra cui moltissimi civili. Dal 2015 l’Arabia Saudita continua a bombardare lo Yemen incurante e insensibile alle richieste di tregue per fornire aiuti alla popolazione civile (lo stesso modo di intervento dell’Arabia Saudita avrebbe violato numerosi accordi internazionali e sarebbe assolutamente arbitrario – ma anche in questo caso nessuno aveva avuto il coraggio di dire nulla). La situazione nel paese vittima degli attacchi sauditi incessanti e immotivati è ormai così grave che lo scorso anno una coalizione di 57 organizzazioni non governative internazionali tra le più importanti aveva chiedere alle Nazioni Unite di aprire un’inchiesta internazionale indipendente sugli abusi compiuti.
Invece l’Arabia Saudita, il paese governato da Mohamed bin Salman, il sovrano al quale non importa altro se non mostrare al mondo il “risveglio sunnita” e il proprio potere anche sui propri parenti (è diventato il principe ereditario dell’Arabia Saudita a giungo scorso “cambiando” l’ordine di successione a proprio favore e dando luogo ad una epurazione storica), ha deciso di presentarsi agli occhi del ondo come paladino dei diritti umani.
Incurante delle conseguenze dei bombardamenti nello Yemen che hanno impedito l’accesso alle risorse idriche e causato quella che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è la peggiore  epidemia di colera della storia: il numero di casi di colera ha raggiunto il milione di contagi e sono oltre duemila i morti. Un numero che potrebbe aumentare ancora: secondo gli esperti, la situazione peggiorerà con l’arrivo della stagione delle piogge, come ha detto il vice direttore per le Emergenze dell’OMS, Peter Salama, in Yemen “il vero problema è che stiamo entrando nella stagione delle piogge”, nel corso di una conferenza stampa proprio a Riyadh. “Generalmente i casi di colera aumentano in corrispondenza di queste stagioni, quindi prevediamo un aumento dei casi in aprile e un altro possibile aumento in agosto”.
Ma non basta, a causa della guerra, lo Yemen, che fa molto affidamento sulle importazioni di cibo, sarebbe sull’orlo della carestia. Secondo le Nazioni Unite, più di 22 milioni di abitanti tra i 25 milioni totali avrebbero bisogno di assistenza umanitaria, con 11,3 milioni in grave stato di necessità.
Un assoluto bisogno di aiuto umanitario al quale non si capisce in che modo l’Arabia Saudita possa dare una risposta (dopo averlo causato). Certamente non ospitando il First International Humanitarian Forum. Nessuno a Ginevra o a New York ha avuto il coraggio di impedire che il Forum si svolgesse forse nel paese meno meritevole di ospitarne i lavori. Anzi sono andati tutti a Riyadh a recitare la propria parte. Anche il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, che ha lanciato i soliti appelli: “La comunità internazionale deve intervenire con maggiore rapidità nelle crisi umanitarie e in modo volto anche a sostenere gli agricoltori, i pastori, i pescatori e gli altri produttori colpiti dalle crisi. La comunità internazionale non è stata sufficientemente efficace nel rispondere alle crisi umanitarie. Per migliorare i risultati, dobbiamo combinare meglio l’assistenza umanitaria con le azioni di sviluppo sul terreno. Per fare questo in modo efficace abbiamo bisogno di forme di finanziamento che incoraggino una più solida collaborazione tra partner del mondo umanitario e del mondo dello sviluppo”. Dimenticando che chi gli sedeva accanto è lo stesso che ha impedito agli aiuti umanitari di raggiungere i civili nello Yemen.
Da Silva ha parlato di “circa 815 milioni di persone soffrono oggi la fame”: un’ammissione degli insuccessi della FAO. Ma invece di concentrare l’attenzione dei visitatori (e del paese ospitante) sulle vere cause della fame, ha preferito parlare di “insicurezza alimentare acuta legano la propria sopravvivenza a diversi settori dell’agricoltura: coltivazione di cereali, pesca, allevamento, silvicoltura”, e dell’importanza degli investimenti nella resilienza rurale “Investire in agricoltura non solo salva delle vite, e protegge i mezzi di sussistenza, ma mette le basi per il ritorno alla normalità e per costruire la resilienza”.
Lui come tutti quelli che non hanno avuto il coraggio di disertare l’invito del paese causa di così tante morti e di così tanta fame nello Yemen (e non solo), non sembra aver capito che non è possibile coltivare la terra quando le bombe continuano a cadere, le fonti idriche sono infette a causa dei cadaveri che nessuno riesce più a seppellire e che non sono gli agricoltori a mietere i campi, ma il colera che continua a mietere vittime. Nell’indifferenza di tutti i paesi del mondo i cui rappresentanti in questi giorni sono ospiti del lusso dell’Arabia Saudita.