John McCain, il senatore combattente

di Fausto Minonne

Per il senatore americano John McCain, veterano della Guerra del Vietnam e candidato alla presidenza nel 2008, si prospetta una nuova sfida. Questa volta non sarà un conflitto armato, una corsa elettorale o una riforma legislativa, bensì un glioblastoma. Si tratta di un tipo di tumore al cervello maligno e assai aggressivo, rilevato nel corso di un intervento chirurgico, al quale il senatore si era dovuto sottoporre per la rimozione di un coagulo di sangue all’occhio sinistro. A dare comunicazione della diagnosi è stata l’équipe medica del Mayo Clinic Hospital di Phoenix (Arizona) ed in seguito la figlia Meghan ha condiviso un comunicato su Twitter. Oltre all’asportazione chirurgica della massa tumorale, già conseguita, il trattamento del glioblastoma dovrebbe includere la chemioterapia e la radioterapia (dinanzi ad una sopravvivenza media di circa 15 mesi).
Immediata è stata la reazione di solidarietà proveniente da Capitol Hill. In primis il presidente Donald Trump e il vicepresidente Mike Pence, il leader repubblicano al Senato Mitch McConnell, lo speaker della Camera Paul Ryan, i leader democratici alla Camera e al Senato Nancy Pelosi e Chuck Schumer. In diretta dall’Alaska Sarah Palin, candidata alla vicepresidenza in ticket con McCain, ha pubblicato su Facebook una loro foto e gli ha dedicato un pensiero. Non sono mancati messaggi di incoraggiamento da parte di alcuni ex inquilini della Casa Bianca, quali George H. W. Bush, Bill Clinton (come pure la moglie Hillary) e Barack Obama, nonché il suo competitore democratico alle elezioni presidenziali del 2008. Nell’esprimere profonda vicinanza in un momento così difficile, il senatore della South Carolina Lindsey Graham, l’ex vicepresidente Joe Biden e l’ex segretario di Stato John Kerry si sono rivolti con affetto al loro “amico” di lunga data John, prima ancora che al senatore McCain. Per ironia della sorte l’unico commento, ritenuto fuori luogo, è stato quello della repubblicana Kelli Ward, che ha sfidato il veterano alle elezioni primarie per il seggio dell’Arizona (da lui detenuto dal 1986). Kelli Ward ritiene che, data la gravità della diagnosi, il senatore McCain debba farsi da parte per rispetto al popolo che rappresenta. Inoltre la stessa Ward spera che il governatore repubblicano dell’Arizona Doug Ducey possa prenderla in considerazione come sostituto di McCain fino alle prossime elezioni congressuali (2018).
Secondo la legge dello Stato, in caso di morte o dimissioni, il governatore è tenuto a nominare un soggetto appartenente al medesimo partito del senatore uscente. A controbattere ci ha pensato il senatore democratico della West Virginia Joe Manchin, il quale ha dichiarato che “le persone come Kelli Ward sono sbagliate” e “non sono benvenute in Senato” poiché prive di dignità e decenza. Nello stringersi intorno al collega, repubblicani e democratici hanno descritto John McCain come un vero e proprio fighter (ossia un combattente), che durante la sua vita ha saputo dimostrare fegato, coraggio e determinazione nelle situazioni più disparate. Nel campo di prigionia ad Hanoi, nelle commissioni congressuali, nell’aula del Senato, in campagna elettorale e nella corsa alla Casa Bianca.
Classe 1936, cresciuto a pane e servizio militare in una famiglia di ammiragli, John McCain ha indossato l’uniforme della Marina militare americana (da alfiere a capitano) dal 1958 al 1981. Ė stato prigioniero di guerra in Vietnam per oltre cinque anni ed ha subito torture atroci, che gli hanno arrecato disabilità fisiche permanenti. Negli Stati Uniti gli aficionados amano il suo passato eroico, quando in Vietnam l’allora tenente comandante McCain rifiutò l’opportunità di essere rilasciato, in quanto figlio di ammiraglio, per onore alla patria e rispetto ai camerati. C’è chi ha avuto modo di conoscere il suo lato più umano e autentico, specie nel corso delle elezioni primarie del 2000, quando ha girato per il paese a bordo di un autobus denominato “Straight Talk Express”. All’epoca, per tenere testa a George W. Bush, appoggiato dall’establishment repubblicano, McCain ha condotto una campagna elettorale da outsider, cercando di instaurare un rapporto diretto con il pubblico nelle assemblee cittadine. In seguito all’esito deludente del Super Tuesday ha preferito ritirarsi dalla competizione (il suo endorsement al vincitore Bush è giunto a distanza di due mesi), ma di certo quella è stata un’occasione preziosa per guadagnare terreno nell’arena politica e partitica. Otto anni dopo, alle nuove elezioni primarie, è partito come candidato sfavorito, soprattutto a causa del suo sostegno ad un progetto di riforma dell’immigrazione non gradito alla base repubblicana. In quella tornata ad osteggiarlo vi era l’ex pastore battista e governatore dell’Arkansas Mike Huckabee assieme al self-made-man ed ex governatore del Massachusetts Mitt Romney. Puntando su una campagna faccia a faccia e sul suo inseparabile autobus, è riuscito a rimontare ed in occasione del Super Tuesday ha conquistato un notevole vantaggio, che gli ha spianato la via verso la nomination. Conservatore in economia e sul piano sociale, falco dell’interventismo militare in politica estera, da sempre il senatore McCain è considerato un maverick (cane sciolto) per via delle sue prese di distanza dalla linea del Partito Repubblicano. In sintonia con Ronald Reagan, tanto in politica interna quanto in politica estera, ma spesso in disaccordo con George W. Bush su varie questioni (dalle armi al riscaldamento globale). Si è distinto per aver votato contro i Bush tax cuts (una serie di tagli alle imposte federali) sia nel 2001, convinto che non avrebbero favorito la classe media, che nel 2003, ritenendoli imprudenti in tempo di guerra e necessità di spesa militare. Per lui ciò ha significato opporsi ad uno dei capisaldi dell’agenda repubblicana, quale l’abbassamento della pressione fiscale, per giunta quasi in completa solitudine (oltre a lui solo l’ex senatore del Rhode Island Lincoln Chafee e l’ex senatrice del Maine Olympia Snowe). Nel 1998 aveva persino proposto l’innalzamento delle accise sui prodotti del tabacco, in modo da destinare i proventi alla ricerca, all’assistenza sanitaria e alle campagne contro il fumo per i giovani. Sebbene fosse sostenuta dall’amministrazione Clinton, la proposta di legge non passò il vaglio del Senato, data l’opposizione di buona parte dei repubblicani, che all’epoca detenevano la maggioranza in Congresso.
I suoi cavalli di battaglia sono il contrasto ai pork barrel (marchette elettorali) e la riforma del finanziamento delle campagne elettorali. Porta il suo nome, assieme a quello dell’ex senatore del Wisconsin Russ Feingold, il Bipartisan Campaign Reform Act, una legge che prevedeva particolari restrizioni per le corporation e le organizzazioni sindacali in materia di donazioni alle campagne elettorali. Anche questa è stata una battaglia che McCain ha condotto con determinazione e perseveranza dinanzi alla contrarietà della maggioranza del Partito Repubblicano, compreso il presidente Bush. A distanza di otto anni, con la controversa sentenza Citizens United v. FEC la Corte Suprema ha dichiarato la legge incostituzionale, per violazione della libertà di espressione, spianando la strada agli ormai noti Super PAC. Si tratta di comitati indipendenti (non possono contribuire in maniera diretta alle campagne elettorali dei singoli candidati o ai comitati dei partiti) e impegnati nella propaganda politica, ai quali la Corte Suprema ha riconosciuto la possibilità di raccogliere fondi da individui, corporation, sindacati e altri gruppi senza alcun limite. All’indomani della pronuncia, il senatore McCain non ha esitato a definire la sentenza “arrogante” e forse “la peggiore decisione del XXI secolo” per non aver difeso l’indipendenza della politica dagli interessi di trincea e limitato il peso del soft money (denaro donato alla politica senza alcuna regolazione). Di certo egli è altresì una delle voci più autorevoli in materia di difesa, sicurezza nazionale e politica estera. Ė stato un fermo sostenitore dell’intervento militare in Iraq (2002), così come dell’incremento delle truppe americane per fornire sicurezza nella capitale Baghdad e nella provincia di Anbar (2007). In quel periodo l’azione militare ha riscosso una certa impopolarità anche fra le fila del Grand Old Party, ma il senatore dell’Arizona aveva dichiarato che avrebbe preferito perdere un’elezione, piuttosto che una guerra. Un anno dopo, nel 2008, è giunta la sconfitta alle elezioni presidenziali, in cui ha influito molto il peso della guerra in Iraq (tanto nel dibattito quanto nel voto). Ciò nonostante, McCain ha proseguito a sollecitare la linea dura anche su altri fronti, quali la Libia e la Siria, la lotta all’ISIS, i rapporti con l’Iran e la Corea del Nord. Nel 2013 ha criticato le spinte non interventiste di alcuni membri del Partito Repubblicano, persino definendo wacko birds (uccelli pazzi) i senatori Rand Paul e Ted Cruz per l’ostruzionismo sull’uso dei droni. Diretto, libero di coscienza, ma anche stratega. Dapprima ha condotto un’opposizione ortodossa nei confronti dell’amministrazione Obama, sia per le questioni estere che per quelle domestiche (dallo stimolo economico alla riforma sanitaria). Un’impostazione insolita al fine di contenere l’avanzata del Tea Party (liberista, conservatore e populista), ma allo stesso di recepire alcune istanze avanzate dal movimento ed essere rieletto alle elezioni di medio termine (2010).
In seguito, dinanzi ad un clima politico sempre più polarizzato, ha ripreso un atteggiamento da mediatore nell’affrontare questioni molto sensibili, e non solo in sede di discussione delle leggi di spesa e bilancio. A distanza di quattro mesi dal massacro alla Sandy Hook Elementary School di Newtown (Connecticut), è stato uno dei soli quattro senatori repubblicani a votare a favore di un emendamento che avrebbe esteso la verifica delle referenze alle vendite di armi aventi luogo nelle fiere o sul web (fallito per mancato raggiungimento della maggioranza richiesta). In quello stesso anno ha fatto parte della Gang of Eight, un gruppo di otto senatori (quattro democratici e quattro repubblicani) che si è interessato di stendere una riforma esauriente dell’immigrazione. Il progetto di riforma prevedeva un percorso verso l’acquisizione di uno status legale e della cittadinanza per buona parte degli immigrati irregolari ed un incremento della sicurezza al confine con il Messico. Nonostante fosse stato approvato dal Senato a larga maggioranza (68-32), il bill non è mai approdato alla Camera. Quella di McCain è stata una mossa strategica, consapevole del fatto che in Arizona gli ispanici rappresentano circa il 30% della popolazione. Seppur contrario al matrimonio fra persone dello stesso sesso, due anni fa ha preso le distanze da un disegno di legge in materia di libertà religiosa (approvato dal Parlamento dell’Arizona), che di fatto avrebbe consentito comportamenti discriminatori nei confronti della comunità LGBT. A distanza di poco tempo l’allora governatrice repubblicana dello Stato Jan Brewer ha deciso di porre il veto. Nello scorso anno McCain si è ritrovato ad affrontare un duro scontro da parte del Partito Repubblicano dell’Arizona, deluso dalla sua deriva considerata liberal, e dai club più conservatori, disposti ad una “guerra civile” per farlo fuori dal Senato. Anziché cavalcare la stessa onda, lui ha saputo domarla e ha fatto leva sul voto degli indipendenti (linfa vitale del suo elettorato), aggiudicandosi così prima la vittoria alle primarie e poi la rielezione al Senato. Nel burrascoso 2016 McCain non ha risparmiato critiche alla retorica aggressiva di Donald Trump, come pure ai suoi rapporti molto opachi con la Russia, alle invettive contro la stampa e alla presa di posizione in favore del waterboarding, una forma di tortura consistente nel legare un individuo ad un’asse inclinata (con i piedi in alto e la testa in basso) e versargli acqua sulla faccia in sede di interrogatorio. Da assiduo franco tiratore di tweet, quale si è rivelato, Trump non è mancato al contrattacco, affermando di non considerare McCain un eroe di guerra “perché fu catturato”.
Pur rispettando appieno l’esito delle primarie, McCain ha dichiarato di non aver votato per Trump alle elezioni presidenziali. In virtù delle pari opportunità e della meritocrazia, senza alcuna sorta di distinzione, il veterano non ha condiviso l’ultima decisione del presidente Trump, ossia il bando delle persone transessuali dal servizio militare. A detta del presidente Trump, tale decisione sarebbe motivata dal fatto che le Forze armate non possano essere “gravate dagli enormi costi medici e dai disagi che la presenza dei transgender comporterebbe”. Forse alcuni suoi punti di vista saranno poco condivisibili, ma è difficile non cogliere lo spirito da combattente del senatore McCain.
Combattente, in quanto uomo che prende posizione, partecipa in maniera attiva e si impegna a raggiungere uno scopo cercando di oltrepassare ostacoli e difficoltà. “The Country First” (la nazione al primo posto) non è stato solo lo slogan della sua campagna presidenziale, bensì è la causa che persegue da una vita. Colleghi, assistenti, familiari e supporter sono convinti che affronterà il glioblastoma con lo stesso coraggio e la stessa determinazione con cui ha affrontato in precedenza altre sfide, fra cui un melanoma nei primi anni duemila. Martedì John McCain ha fatto ritorno al Senato e in una votazione assai contesa (50-50), che ha richiesto il tie-breaking vote (voto decisivo) del vicepresidente Pence, il suo Aye è stato determinante per aprire il dibattito sulla revoca dell’Obamacare nella Camera alta. A tal proposito il Partito Repubblicano vive una fase cruciale, in cui il dilemma è quale “r” debba prevalere fra repeal (abrogare), replace (rimpiazzare) o repair (riparare). Nella stessa seduta McCain ha votato dapprima a favore di una proposta di legge, volta ad abrogare ed in parte a rimpiazzare l’Obamacare, e poi contro un’altra proposta, che si limitava ad abrogare buona parte della riforma sanitaria. Sia la prima (43-57) che la seconda proposta (45-55) sono state bocciate, date le defezioni in seno allo stesso Partito Repubblicano, che può contare su una maggioranza risicata di 52 senatori. Nel suo discorso sul floor del Senato (lo spazio fra il tavolo della presidenza e i banchi dei senatori), McCain ha ribadito la necessità di un “ritorno all’ordine regolare” dei lavori, tenendo audizioni nelle Commissioni ed ascoltando il parere dei governatori per garantire al popolo americano “l’accesso ad un’assistenza sanitaria conveniente e di qualità”. Quello del senatore è stato un monito ad una dialettica bipartisan, in senso opposto all’intransigenza di certi repubblicani e alla “politica del tweet” di Trump, da lui contestata in più occasioni. Da due anni presidente della Commissione Forze armate, McCain ha già annunciato che intende supervisionare il completamento della legge di bilancio della Difesa (uno dei pochi passaggi congressuali rimasti bipartisan). Malgrado la sua fama di guerrafondaio, in passato McCain ha criticato alcuni programmi di armamento del Pentagono e da sempre la sua preoccupazione è che la spesa militare finisca nelle mani di una cerchia ristretta di appaltatori, i quali sfruttano le loro reti di influenza per aggiudicarsi la maggiore quantità di denaro federale. Potrà sembrare paradossale, ma di fatto il presidente Trump ha bisogno del contributo di uno dei suoi più sinceri contestatori per garantire insurance for everybody (assicurazione sanitaria a tutti), drain the swamp (prosciugare la palude di Washington) e make America great again (rendere di nuovo grande l’America). Tutte promesse, che Trump si è impegnato a mantenere e che, dal canto suo, anche il senatore combattente McCain condivide.