Libia. Ecco come la Francia contribuisce a peggiorare la situazione

di Vanessa Tomassini

Quartetto, Commissione Europea & Co.: tutti nei comunicati e nelle interviste sostengono di supportare il lavoro dell’inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamè. Eppure incontri a porte chiuse in occidente e andirivieni degli esponenti della scena politica libica quali ambasciatori, membri delle commissioni della Camera e dell’Alto consiglio di Stato, nonché lo stesso presidente del governo di Tripoli lasciano intendere tutt’altro. Uno sforzo che, secondo i libici, se fosse stato utilizzato per l’emanazione di leggi e riforme, probabilmente lo stallo politico-istituzionale sarebbe terminato da tempo.
Dopo le informazioni trapelate sui media in lingua araba come le edizioni di RT, Routers ma anche sul russo Sputnik, il ministro della Difesa russo Sergey Shoigu ha dichiarato di aver avuto venerdì una lunga conversazione in videoconferenza con il capo dell’autoproclamato esercito libico Khalifa Haftar. Stando al comunicato stampa della Difesa del Cremlino i due avrebbero discusso di questioni riguardanti la sicurezza in Medio Oriente e Nord Africa minacciata dal fenomeno del terrorismo. Eppure secondo fonti vicine all’esercito orientale, Haftar e Shoigu avrebbero affrontato soprattutto la situazione politica nel paese nordafricano, malgrado il signore della guerra non abbia raggiunto – ancora per il momento – lo status di leader politico. A tale proposito è opportuno ricordare che il generale Khalifa Haftar è appena tornato in Libia dopo un’assenza di due settimane durante le quali sarebbe stato ricoverato in una clinica parigina dopo essere transitato dal Cairo, assenza dalla quale sarebbe ritornato, a vedere le immagini diffuse dall’esercito nei giorni scorsi durante la preparazione delle operazioni a Derna, più in forma di prima.
È in questa assenza che molti libici e non solo vedrebbero un ulteriore segnale di ingerenza francese. Al suo ritorno infatti il capo dell’esercito libico ha fatto recapitare degli inviti ad esponenti del passato regime per un incontro delle forze nazionali in programma a breve a Bengasi. La Francia avrebbe chiesto al generale Haftar di conquistare le simpatie dei nostalgici. La Francia nella sua politica in Libia, dove agisce silenziosamente e in modo sempre più torbido, è molto più vicina alla Russia rispetto al resto dell’Unione Europea, la quale sta con il governo “di Tripoli”: nella zona meridionale infatti fornisce armi alle tribù Tebù, Suleiman e Touareg e ai ciadiani al confine con il pretesto di combattere terrorismo e criminalità, ma di fatto alimentando il conflitto. Fatti confermati dal ritrovamento di armi e fucili provenienti proprio da Parigi in mano a combattenti ciadiani come testimoniato da enti internazionali attivi sul posto. In Cirenaica invece starebbe cercando di trasformare il signore della guerra in un punto di riferimento per la comunità internazionale affiancandolo da tecnocrati e personaggi esperti nelle relazioni diplomatiche. Era il febbraio del 2015 quando Khalifa Haftar dichiarò a France24 di ricevere supporto “morale e dal punto di vista della sicurezza” dall’Eliseo. Supporto che venne ufficialmente rivelato dal governo parigino soltanto nel 2016, dopo la notizia di tre soldati francesi rimasti uccisi nella caduta di un elicottero nei pressi di Bengasi, dove ha sede il quartier generale di Haftar.
L’opinione pubblica francese, provata dagli attacchi terroristici degli ultimi anni, vede di buon occhio una politica estera che va a favore di regimi o governi che non si preoccupino molto della tutela dei diritti umani, senza che la cosa crei troppo scalpore. In questo quadro, la figura di Haftar si sposa perfettamente con le visioni interventiste del ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, già ministro della Difesa del presidente Francois Hollande, il quale non ha mai messo in discussione pubblicamente la decisione di Sarkozy di rovesciare Gheddafi nel 2011; Le Drian è stato uno dei primi sostenitori dell’intervento occidentale contro il regime del presidente Basharal-Assad in Siria. Con la salita all’Eliseo del giovane Emmanuel Macron la diplomazia interventista francese si è fatta ancora più esplicita con i rafforzamento della collaborazione con Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania, Niger e soprattutto Egitto, principale alleato di Haftar, creando così un’ampia zona d’influenza francese e provando, invano almeno in Libia, a mettere all’angolo l’Italia, a partire dalla tanto chiacchierata missione G5 Sahel che ha subìto, almeno sembrerebbe, una misteriosa battuta d’arresto.
Il riconoscimento esplicito del generale Khalifa Haftar come attore politico legittimo è stata una delle prime mosse del neoeletto presidente Macron, con il meeting di Parigi del 25 luglio durante il quale l’uomo forte ha concordato il cessate il fuoco con il presidente del Consiglio del Governo di Accordo Nazionale, Fayez al-Serraj, spianando la strada ai meeting per l’unificazione dell’esercito al Cairo, accordi che tuttavia non hanno dato fino ad oggi i risultati sperati. È per questo infatti che dietro tali manovre, coloro che seguono la scena libica sospettano che tra Haftar e il governo di Tripoli ci sia tutt’altro che un’inimicizia, bensì accordi segreti da celare affinché il cirenaico non perda quel poco di credibilità rimastagli. Successivamente la Francia ha lavorato in silenzio fino a suggerire con l’intermediazione di Egitto ed Emirati Arabi Uniti (dove sono attivi alcuni esponenti dell’entourage di Saif al-Islam Gheddafi) alad Haftar l’alleanza con il Movimento libico Popolare di Mustafa Zayedi, chirurgo plastico sospettato di aver ucciso gli oppositori del rais in passato. Alla luce di queste informazioni fa riflettere la grossa propaganda mediatica innescata dai quotidiani francesi sul caso Sarkozy, accusato di aver ricevuto finanziamenti alla sua campagna elettorale del 2007 proprio da Gheddafi. Un invito a nozze per i nostalgici del regime, che non hanno perso un secondo per festeggiare, salvo poi ritrovarsi davanti il vero piano francese. Ma non è tutto. È infatti di questi giorni la notizia di un cittadino libico-canadese che avrebbe presentato un dossier sui crimini di guerra del generale Khalifa Haftar, come a convincere l’Eliseo a cambiare strategia.
Ancora una volta le potenze straniere, la Francia con i suoi contratti milionari tra Total e Noc, e la Russia che proprio ieri avrebbe discusso con il Governo di Accordo Nazionale la costruzione del sistema ferroviario, continuano ostinatamente a portare avanti i propri interessi con ogni mezzo, a discapito del popolo libico e del suo unico alleato storico l’Italia, che sta davvero supportando il processo di riconciliazione, ma soprattutto provando a lenire le sofferenze dei libici seppur con le difficoltà incontrate, problematiche che i cugini d’oltre alpe non si sono fatti sfuggire per usarle a loro tornaconto. Così come non perdono occasione per ricordare il passato coloniale che anche lo stesso Muammar Gheddafi ci aveva perdonato con il Trattato di Amicizia e Partenariato, firmato a Bengasi nel 2008, come se la Francia non avesse nel proprio passato ben più scheletri nell’armadio.