Siria. Mosca propone di fermare l’attacco con la consegna delle armi chimiche: l’idea piace. Perché…

di Enrico Oliari –

lavrov grandeLa proposta russa di fermare l’attacco degli Stati Uniti alla Siria con la messa delle armi chimiche di al-Assad sotto il controllo internazionale perché vengano distrutte, piace.
Piace perché permette il mantenimento degli equilibri internazionali: la Siria è territorio esclusivo degli interessi strategici di Mosca, poiché a Tartus vi è la l’unica è fornitissima base russa ad di fuori dei territori dell’ex Unione Sovietica, in un panorama che va dal Marocco al Kirghizistan (con la sola esclusione dell’Iran) che ospita basi statunitensi; è territorio commerciale dei cinesi, che con Damasco hanno stipulato importanti contratti per la costruzione di infrastrutture e progettato di utilizzare i porti siriani come appoggio logistico per le proprie merci destinate alla distribuzione nel Mediterraneo ed in Europa; è fornitore di gas per Israele, poiché proprio a Homs si raccolgono le diramazioni che portano l’energia ad Ashkelon, oltre la Striscia di Gaza, lungo il gasdotto Arabico, che arriva fino ad Aqaba, in Giordania, e risale il Sinai fino ad al-Arish, dove entra in mare; sempre con Israele la Siria ha aperta anche la questione del Golan, importante zona strategica e ricca di risorse idriche occupata con la Guerra dei Sei giorni del 1967, “cessione” che ha trovato un atteggiamento morbido da parte degli al-Assad.
Piace perché un attacco alla Siria avrebbe certamente surriscaldato tutta l’area mediorientale, di per sé già teatro di uno scontro silenzioso fatto di primavere arabe e di radicalismi, dietro al quale si nascondono importanti interessi geopolitici: da tempo il Qatar sta cercando di assumere la leadership del mondo arabo e di porsi come mediatore per l’Occidente a scapito della dinastia saudita e dell’Egitto; i dissapori fra l’Arabia Saudita ed il Qatar sono accesi al punto che in una recente riunione della Lega Araba è stata tolta la luce per far smettere di litigare i rappresentanti dei due paesi. Il Qatar, che è il bancomat dei Fratelli Musulmani, ha già finanziato con 3 mld di dlr le opposizioni al regime, mentre l’Arabia Saudita ha inviato mezzi ed armi.
Piace alle Nazioni Unite, perché sarebbero state nuovamente scavalcate da una decisione arbitraria della Casa Bianca; ieri il Segretario generale Ban Ki-moon non si è lasciato sfuggire l’occasione ed ha dichiarato che “E’ urgente riunire il Consiglio di Sicurezza per avviare il trasferimento immediato delle armi chimiche stoccate nel paese dalla Siria ad un luogo in cui potranno essere immagazzinate e distrutte”.
Piace all’Unione europea, che ha sempre spinto perché ogni azione dovesse prima essere approvata dall’Onu, dove però Russia e Cina hanno diritto di veto.
E soprattutto piace al presidente degli Stati Uniti, che così esce dall’empasse, dal momento che era rimasto solo con Hollande a minacciare un intervento armato in Siria con un’opinione pubblica nettamente sfavorevole, dopo che in parlamento inglese aveva risposto votato contro l’interventismo di Cameron: il presidente Obama, che ha definito la proposta russa “certamente uno sviluppo positivo” ed un’idea che “può avere una chance di successo”, ha manifestato un certo scetticismo di facciata, ma ha fatto sapere che “si confronterà con i russi e la comunità internazionale per vedere se si può arrivare a qualcosa di serio e verificabile”, in quanto vuole “essere certo che la norma contro l’uso delle armi chimiche sia rispettata. Questo è il nostro interesse nazionale. Se possiamo farlo senza un attacco militare – ha detto in un’intervista alla rete televisiva Abc – questo è un modo assolutamente preferito”. Obama ha quindi concordato che se i siriani consegneranno le armi chimiche, “se ciò accadrà davvero”, l’attacco sarà sospeso: chiederà comunque il sostegno del voto parlamentare, in quanto “Non penso che saremmo arrivati a questo punto se non avessimo mantenuto credibile la possibilità militare e non penso sia giunto per noi il momento di farla cadere”.
Ed ovviamente piace a Damasco, da dove il ministro degli Esteri Walid al-Muallim ha fatto sapere che “Accogliamo con favore la proposta russa di mettere l’arsenale siriano di armi chimiche sotto il controllo internazionale”.
La questione delle armi chimiche, tuttavia, è assai complessa: la Siria ne detiene il maggior arsenale al mondo ed alcuni depositi sono caduti nelle mani degli insorti e dei gruppi jihadisti che combattono con loro: l’ex Procuratore del Tribunale penale internazionale ed attuale membro della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani in Siria, la svizzera Carla Del Ponte, aveva affermato che nel conflitto già erano state utilizzate armi chimiche, ma non dalle truppe del regime di al-Assad, bensì dagli insorti. “I nostri ispettori sono stati nei Paesi vicini a intervistare vittime, medici e negli ospedali da campo – aveva spiegato in maggio la Del Ponte all’emittente svizzera italiana – . In base ai loro resoconti della scorsa settimana ci sono sospetti forti e concreti, ma non prove inconfutabili, dell’uso di gas sarin”; tuttavia ad “oltrepassare la linea rossa” indicata dal presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, “sono stati i ribelli, l’opposizione, non le autorità del governo siriano”.
La cosa essenziale è che al momento sia stato scongiurato un attacco esterno al paese, perché, come giustamente è stato sostenuto in modo caparbio dal Vaticano, ne sarebbe uscita un escalation dagli esiti imprevedibili: ora è possibile per le diplomazie internazionali tornare ad occuparsi della crisi siriana per fermare una guerra civile che ormai ha provocato oltre 100mila morti. Magari rispolverando il progetto del “Ginevra 2”, cioè il mettere attorno ad un tavolo parti e le varie potenze.