Siria. Segnali di un possibile attacco dell’occidente, anche senza le prove sull’uso dei gas. La Russia pronta a rispondere

di Enrico Oliari

Resta alta la tensione nel Mediterraneo orientale, dopo che Usa e paesi occidentali hanno fatto sapere l’intenzione di colpire la Siria di Bashar al-Assad nonostante i veti incrociati al Consiglio di sicurezza Onu. In risposta al “njet” russo gli Usa si sono premurati di far bocciare con 5 voti a favore, 4 contrari e 6 astenuti (ne servono 9 per l’approvazione) la terza bozza di risoluzione presentata dalla Russia che chiedeva l’invio degli investigatori dell’Opac a Douma per indagare il presunto attacco chimico con bombe al cloro.
In altri termini Usa e paesi occidentali vogliono bombardare la Siria senza neppure premurarsi di vedere se il 4 aprile a Douma ci sia stato veramente un attacco al cloro contro i “ribelli” salafiti di Yaish al-Islam (“Esercito dell’Islam, sostenuti dall’Arabia Saudita), ed al limite a chi vada attribuita la responsabilità, dal momento che non è la prima volta che proprio i “ribelli” più estremisti ricorrono alle armi chimiche per far poi ricadere sull’esercito siriano la colpa.
I dati e le testimonianze che si hanno fino ad oggi sono di parte, mentre i tecnici dell’Oiac, l’Organizzazione internazionale sulle armi chimiche, arriveranno sul posto solo nei prossimi giorni: le testimonianze disponibili sono degli stessi miliziani, dei “caschi bianchi” che operano nei territori controllati dai primi, ed dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione questa vicina alle opposizioni e con sede a Londra. Essi hanno parlato in un primo momento di oltre 100 morti, mentre ieri l’ong Syrian American Medical Society ha riferito di 48 morti e di oltre 500 feriti.
Un po’ poco per permettere agli Usa di scatenare una guerra come avevano fatto in Iraq per le armi di distruzione di massa, dimostratesi una fake news, ma sufficiente per sfidare la Russia nelle sue zone di influenza ed accontentare l’alleato turco e quello saudita, anche se ciò dovesse costare una guerra di vaste proporzioni.
Così, mentre gli Usa hanno a 100 chilometri dalla base russa di Tartus il cacciatorpediniere Uss Donald Cook, peraltro ieri sorvolato minacciosamente per quattro volte da due Su-24 russi, ed hanno annunciato la partenza della portaerei Harry S. Truman con il suo convoglio per il Mediterraneo orientale (in realtà prenderà il posto della sorella Theodore Roosvelt), da parte russa si è fatto sapere attraverso l’ambasciatore in Libano, Aleksandr Zasipkin, che “Se gli americani colpiranno la Siria, i loro missili saranno abbattuti, e così pure le strutture da cui saranno lanciati”.
I segnali di un attacco imminente sono diversi, il presidente siriano Bashar al-Assad ha lasciato con la sua famiglia il palazzo presidenziale, ma al momento sembra che ci si limiti a mostrare i muscoli. Anche perché la Russia ha in Siria fin dai tempi dell’era sovietica una fornitissima base militare a Tartus, oltre a quella aerea di Latakia messa in piedi per il conflitto civile: aerei, navi, almeno 15 sottomarini, ma anche i missili anti-missile e anti-aereo S-400 di ultima generazione. Per prudenza ’Easa, l’Agenzia europea di controllo del traffico aereo, ha diffuso un comunicato in cui si legge che “a causa del possibile lancio di attacchi aerei in Siria con missili aria-terra e/o missili cruise nelle prossime 72 ore, oltre alla possibile interruzione delle comunicazioni di navigazione radio, devono essere prese dalle compagnie aeree le dovute cautele nella pianificazione delle operazioni di volo nel Mediterraneo Orientale e area di Nicosia”.
Difficile dire se ci sarà o meno un attacco, forse un lancio di missili cruise più a titolo di mostrativo, come già ci fu un anno fa a seguito dell’attacco con i gas di Khan Shaikun (esperti vi videro poi immagini della strage in realtà ritoccate). Ed anche per il vice ministro degli Esteri e inviato speciale di Putin in Medio Oriente, Mikhail Bogdanov, “Alla fine il buon senso dovrebbe prevalere sulla follia”.