Trump fa saltare il Tpp. E intima ai produttori di auto a non delocalizzare

di Guido Keller –

Lo ha detto e lo ha fatto. Il vulcanico presidente Usa con un tratto di penna ha annullato il Tpp, il Trans Pacific Partnership, il trattato commerciale trans Pacifico sottoscritto con Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam.
Al progetto avevano lavorato intensamente le amministrazioni del predecessore Barak Obama e del premier giapponese Shinzo Abe, ed aveva lo scopo di contenere l’espansionismo commerciale cinese disegnando un’area di libero scambio che interessava ben il 40% del Pil mondiale in un’area da cui transitano la metà dei prodotti commerciali.
In realtà il Ttp non era mai entrato in vigore in quanto mancava il via libera del senato Usa, dove la maggioranza repubblicana era riuscito a bloccarlo, ma prevedendo la decisione di Trump, che così intende proteggere la produzione interna, la Cina si è già fatta avanti con i sottoscrittori del Ttp (esclusi gli Usa) per proporre un trattato commerciale con loro dentro, il Rcep (Regional comprehensive economic partnership).
La linea di Trump è quella di discutere trattati con i singoli stati, “poiché – ha affermato – dobbiamo proteggere i nostri confini dal saccheggio degli altri Paesi che fanno i nostri prodotti, rubando le nostre aziende e distruggendo i nostri posti di lavoro”.
Ma nelle mire di Trump c’è anche il Nafta (North American Free Trade Agreement, Accordo nordamericano per il libero scambio), che interessa oltre agli Usa il Canada e il Messico, per cui sulla tv Cnbc ha annunciato di aver già preso contatti con Enrique Pena Nieto e con il premier canadese Justin Trudeau al fine di ridiscutere l’intesa.
Oggi Trump ha anche riunito gli amministratori delegati dei principali gruppi automobilistici che operano negli Usa, dalla Fca alla Ford alla General Motors: il presidente ha ringraziato Sergio Marchionne per il proposito di creare 2mila posti di lavoro negli Usa investendo, come ha annunciato in occasione del Salone dell’Auto di Detroit, un miliardo di dollari in nuovi stabilimenti, mentre ha fustigato quelli di Ford e General Motors intimandoli a investire negli Usa, ovvero a produrre lì le auto destinate al mercato automobilistico del paese, senza delocalizzare laddove la mano d’opera costa di meno, specialmente in Messico.