Etiopia. L’opposizione estromessa dalle elezioni

di Valentino De Bernardis

EtiopiaIl 29 gennaio durante una conferenza stampa presso l’Hilton Addis Abeba, il capo del Consiglio Elettorale Nazionale dell’Etiopia (NEBE) Merga Bekana, e il capo dell’ufficio di segreteria dello stesso, Nega Dufessa, con un breve comunicato hanno di fatto estromesso i due principali partititi d’opposizione, Unity for Democracy and Justice o Adinet in amarico (UDJ) e All Ethiopian Unity Party (AEUP), dalla competizione elettorale del prossimo 24 maggio a causa di una presunta violazione dello statuto dei partiti.
Caso emblematico appare quello dell’UDJ dove, nonostante le manifestazioni di strada ad Addis Abeba, il logo e il nome del partito è stati assegnati ad un nuovo gruppo guidato da Tigistu Awelu, personaggio che vari analisti interni al paese riconducono ai servizi segreti governatiti, infiltrato nel partito d’opposizione con l’intento di indebolirlo e dividerlo (tattica che sarebbe stata adottata anche nel 2007 contro il movimento politico Oromo di Merera Gudina).
Nonostante la decisione del NEBE fosse quindi alquanto prevedibile, non si può fare a meno di notare come essa rappresenti uno dei colpi più duri inflitti all’impianto democratico del paese dal 2005 ad oggi.
Il peggioramento della situazione politica in Etiopia nell’ultimo anno è altresì testimoniato dal rapporto 2015 dell’Human Rights Watch, in cui viene riportato un intensificarsi nel 2014 degli arresti e persecuzioni per mettere a tacere le voci critiche al governo. Le tre maggiori criticità sottolineate dal rapporto 2015 riguardano: l’arresto il 24 aprile di sei blogger e due giornalisti indipendenti del sito d’informazione Zone 9 accusati di istigare violenza; la dura repressione attuata tra aprile e maggio contro le proteste in otto campus universitari in Oromia, capace autonomamente di espandersi anche alle piazze di varie città, che causarono la morte di una decina di studenti e l’arresto di un centinaio di manifestanti; l’arresto in Yemen e l’estradizione in Etiopia, nel mese di giugno, di Andargachew Tsigee, etiope di cittadinanza britannica e segretario generale dell’organizzazione Ginbot 7, dove pende a suo carico una condanna a morte emessa in contumacia. La denuncia di un deterioramento delle libertà politiche ha trovato flebili voci di protesta da parte dei paesi donatori dell’Etiopia, che nonostante il forte contributo dato in termini economici (l’Etiopia è tra i maggiori riceventi di aiuti internazionali con circa 4 miliardi di dollari nel 2014, che rappresentano circa il 45% del proprio budget), non hanno ancora intrapreso passi ufficiali di rilievo a difesa del rispetto dei diritti umani nel paese.
L’azione di repressione governativa rimane ad ogni modo in linea con quella che si potrebbe definire la democrazia rivoluzionaria etiope. Una struttura di gestione della vita politica in cui gli oppositori al partito-governo vengono messi al bando e tacciati di essere nemici della patria, e che non disdegna la via extra giudiziaria per la sua eliminazione. Sotto questo quadro politico la consistenza di elezioni multipartitiche rimane quindi un traguardo ambizioso da raggiungere, nonostante ufficialmente in vigore con la Costituzione del 1995.
Data l’impossibilità a poter contendere per la vittoria elettorale, per i partiti di opposizione le elezioni di maggio potrebbero quindi rappresentare una sorta di anno zero, in cui ripensare le proprie strategie e provare a riconquistare le piccole porzioni di spazi politici di cui sono stati privati nell’anno appena terminato.
Infine, data l’intenzione dell’EPRDF a conservare lo status quo con qualsiasi mezzo a disposizione, l’unico elemento di interesse che potrebbe uscire dalle urne riguarda la ristrutturazione dei rapporti di forza all’interno della classe dirigente dell’EPRDF dopo la morte di Meles Zenawi. Capire se il primo ministro Hailemariam Desalegn sia riuscito o meno ad unire il partito attorno al suo nome, e quindi ad ottenere un secondo mandato.

@debernardisv