Afghanistan. Dopo il pasticcio di settembre Trump vuole trattare con i talebani

di Enrico Oliari –

Procedono, seppure in modo ufficioso, le trattative tra i talebani e l’amministrazione Trump. Trattative che è difficile definire come “di pace”, dal momento che dopo 18 anni di guerra voluta dagli Usa di George W. Bush, 6.500 militari alleati morti (48 italiani), 68mila miliziani uccisi ed oltre 300mila perdite fra i civili gran parte del paese continua ad essere sotto il controllo talebano, mentre il governo fantoccio di Kabul non va oltre la capitale e pochi altri territori delimitati.
Si tratta quindi di un “disimpegno” per gli Usa, necessario a causa degli alti costi e degli scarsi risultati, una scelta obbligata che ha riportato gli americani al tavolo di Doha per discutere con la controparte, nonostante il pasticcio commesso dal capo della Casa Bianca lo scorso settembre. Allora Donald Trump aveva reso noto via Twitter di aver annullato l’incontro con i vertici dei talebani previsto a Camp David, nel Maryland, appuntamento al quale sarebbe seguito, in modo separato, quello con il presidente Ashraf Ghani. Trump aveva motivato tale decisione a seguito dei due attacchi terroristici del 3 e il 5 settembre costati la vita a 1 militare Usa e a 11 civili.
La notizia era stata scioccante per due motivi: in primo luogo perché sarebbe dovuto essere un incontro segretissimo, si pensi al significato di una delegazione dei talebani negli Usa, paese che aveva scatenato nel 2001 il conflitto a seguito degli attentati dell’11 settembre. Poi perché la decisione del numero uno della Casa Bianca aveva di fatto mandato in fumo anni di incontri e di trattative, un torto nei confronti dei talebani i quali avevano fatto sapere che gli Usa “pagheranno un caro prezzo”.
Tornando ad oggi appare evidente che tutti hanno interesse a che nel paese mediorientale, martoriato da sempre da un conflitto dopo l’altro vi sia la pace.
A sbloccare la situazione dopo il marasma di settembre sono stati, almeno da quanto ci raccontano i media, gli stessi talebani, ed il loro portavoce Zabihullah Mujahid ha riferito che il gruppo, additato per decenni come terroristico ed oggi come la controparte, è pronto a “riprendere i colloqui”, e che “se riprenderanno, ripartiranno da dove si sono fermati”.
Trump, che nei giorni scorsi ha compiuto una visita a sorpresa alle truppe Usa in Afghanistan, ha incontrato a Kabul il presidente afgano Ashraf Ghani, al quale ha detto che “sono in corso trattative con i talebani, che sarebbero pronti a un cessate-il-fuoco”. “Vogliono – ha aggiunto – un accordo, e ci stiamo incontrando con loro”.
Più probabilmente a cercare la ripresa delle trattative sono stati gli stessi americani, per quanto a seguito del pasticcio di settembre Trump avesse licenziato il consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, il quale aveva lavorato anni per intessere la tela. Difatti Zabihullah Mujahid ha commentato: ”Speriamo che la visita effettuata da Trump (a Kabul) dimostri che è serio sulla riapertura dei colloqui”.
Prima di settembre le trattative erano giunte a buon punto, per quanto le violenze nel paese mediorientale non si fossero affatto attenuate, questo sia per la presenza di gruppi talebani autonomi, sia per le operazioni dell’Isis, che combatte i talebani per prendere il controllo di parte del territorio al fine di istituire l’emirato del Khorasan. Il negoziatore Usa Zalmay Khalilzad aveva annunciato che si era pressoché alla conclusione dei colloqui, dal momento che era venuto meno il rifiuto dei talebani di interloquire con il governo fantoccio di Ghani. A garanzia dell’accordo Washington avrebbe fatto rientrare 5.400 militari in 20 settimane sugli attuali 14.500, mentre avrebbe mantenuto sul territorio due basi con oltre 8mila soldati, che era poi uno degli obiettivi del conflitto. La presenza militare Usa va infatti dal Marocco al Kirghizistan, ma fino a poco fa erano 5 i paesi che non la ammettevano, e cioè l’Afghanistan (guerra), l’Iraq (guerra), la Libia (guerra), la Siria (guerra) e l’Iran.