Al via in Polonia la Cop24. Tra disillusione e disinteresse

di C. Alessandro Mauceri

“Quella del clima è già oggi una questione di vita o morte”. Con queste parole Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha dato il via ai lavori della Conferenza climatica COP24 che si è aperta oggi a Katowice, nel sud della Polonia.
Dal canto suo il presidente polacco Andrzej Duda ha sottolineato che la responsabilità politica sul clima deve essere basata sullo sviluppo equilibrato fra natura e tecnologia nonché il rispetto della dignità umana. Un’affermazione ambigua, specie considerando che proprio la Polonia è stata più volte accusata di voler abbattere l’ultima foresta millenaria d’Europa, ed il ministro Jan Szyszko ha chiesto pubblicamente la revoca del titolo di sito protetto dall’Unesco, che vieta le attività umane per ampliare l’area soggetta a disboscamento. Il governo polacco ha cercato di presentare Katowice come una città “green”, ma sono stati in molti a sorridere guardando le ciminiere della centrale elettrica: la città sorge al centro della Slesia, l’area di estrazione del carbone in Polonia, paese di cui l‘80% dell’energia proviene da questa fonte fossile che è tra le più inquinanti in assoluto.
Una partenza senza grandi clamori: basti pensare che alla cerimonia di apertura dell’evento che durerà fino a 14 dicembre prossimo erano presenti solo una sessantina di delegazioni internazionali, e i capi di Stato di Bulgaria, Svizzera, Slovenia, Montenegro, Macedonia, Fiji, Nepal. Più che di bassa presenza sarebbe giusto parlare di assenze. Molte delle quali peraltro ingiustificate. Ma intrise di significato: la voglia di frenare la corsa verso la riduzione delle emissioni e l’attenzione nei confronti dell’ambiente. Come confermerebbe il fatto che sono sempre di più i paesi che si stanno tirando indietro dagli accordi della COP21, quella di Parigi, alla quale parteciparono delegati e capi di stato di quasi tutti i paesi del pianeta. A cominciare dal Brasile, che in teoria avrebbe dovuto ospitare la prossima edizione della COP25. Invece il nuovo presidente Jair Bolsonaro ha già annunciato di non essere più interessato, decisione questa che molti hanno collegato all’iniziativa di disboscare una quantità enorme di foresta amazzonica: tra il 2017 e il 2018 sono stati tagliati 7.900 chilometri quadrati di foresta, “più o meno un milione di campi di calcio disboscati in appena un anno”, come ha ricordato il coordinatore di Greenpeace Brasile, Marcio Astrini.
Guterres non ha usato mezzi termini: “Abbiamo veramente un grosso problema”, ha ribadito. “Non stiamo ancora facendo abbastanza, né ci muoviamo abbastanza in fretta per prevenire un dissesto climatico irreversibile e catastrofico”. Il segretario delle Nazioni Unite ha indicato quattro settori, “semplici messaggi” li ha definiti, su cui è necessario intervenire. Il primo è dare una risposta significativamente più ambiziosa ai progressi scientifici. Il secondo è rendere operativo l’accordo di Parigi. Il terzo è assumersi la responsabilità collettiva di investire per evitare il caos climatico globale, tenendo conto degli sforzi sotto il profilo economico e gli impegni finanziari assunti a Parigi. Da ultimo considerare l’attenzione verso il clima la via migliore per trasformare il mondo in meglio.
Scelte che lo stesso Guterres riconosce non essere facili far prendere ai governi, specie quelli assenti: “Non sarà un negoziato facile”. Neanche con l’aiuto della Banca Mondiale che ha annunciato di voler sostenere il cambiamento verso la riduzione delle emissioni di CO2 con 200 miliardi di dollari in 5 anni.
Tra i temi da discutere (di decisioni pare proprio che non se ne vedranno dato che i rappresentanti dei paesi sono per lo più delegati e non capi di stato o di governo) il più importante è il cosiddetto “Paris rulebook”, ovvero il programma per i governi volto a registrare e, cosa non meno importante, comunicare ufficialmente le proprie emissioni di gas serra e gli sforzi per ridurle. Non bisogna dimenticare infatti che è ancora estremamente diffusa la pratica della compensazione. Inoltre i presenti in Polonia dovranno discutere degli obiettivi delle emissioni nazionali dei Paesi dopo il 2020 e del supporto finanziario alle nazioni “povere” per consentire loro di adattarsi ai cambiamenti climatici, altro aspetto legato alla compensazione.
La realtà è che mentre si sta discutendo, peraltro senza molta convinzione, sulle misure da adottare tra qualche anno per contenere il riscaldamento globale a 2 gradi C, le stesse Nazioni Unite hanno confermato che già oggi siamo di fronte ad un aumento delle temperature intorno a un grado. E visto che le maggiori economie, inclusi Stati Uniti d’America e molti paesi europei, non sembrano voler tener fede agli impegni presi a Parigi, appare quasi impossibile trovare una soluzione. Del resto anche i ricercatori dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) lo hanno detto chiaramente: gli impegni di Parigi non sono abbastanza. I 20 anni più caldi sono stati registrati negli ultimi 22 anni, con gli anni dal 2015 al 2018 nella “top four”, come ha confermato il WMO. Ormai appare chiaro che il fenomeno El Nino più e più volte accusato di essere il responsabile del surriscaldamento globale non c’entra. E le previsioni parlano di un aumento delle temperature di 3-5°C entro il 2100. Ma già ora gli effetti di questi cambiamenti sono evidenti: da maggio a luglio 2018 si sono verificate ondate di caldo inusuali in diverse zone dell’emisfero nord del pianeta.
“Questo è un momento cruciale per tutti noi, un vero e proprio test per l’umanità”, ha detto Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International. “A Katowice i leader di tutti i Paesi del mondo devono sfidarsi a guardarsi in faccia e affermare di essere al fianco di tutti noi. Quelli che non lo faranno saranno condannati dalla Storia e ne dovranno render conto. Alla CoP24, i governi devono agire e impegnarsi entro il 2020 ad allineare i loro piani nazionali sul clima all’obiettivo di mantenere l’incremento delle temperature entro 1,5°C”.
Il punto centrale è che ad impegnarsi non devono essere gli stati: il loro potere di contrattazione con le multinazionali e con la grande industria è ormai chiaro a tutti. E a questi mostri (prima di tutto per dimensioni) dell’economia mondiale non importa cosa accadrà nel 2100. E nemmeno nel 2030. O nel 2020. A loro interessa solo come vendere di più spendendo meno. Per questo misure rispettose dell’ambiente non sono state subito messe in pratica tre anni fa, a Parigi, e molto probabilmente non lo saranno neanche nei prossimi giorni, in Polonia. Ai governi, sempre meno rappresentativi, basti pensare che solo USA e Cina rappresentano il 40% delle emissioni globali di CO2 e quale sia la politica degli Stati Uniti è ormai chiaro, non resterà che rimandare tutto alla Conferenza successiva la COP25. Sempre che si riesca a trovare un paese ospitante.