Al via l’esercito europeo: 5mila unità, con una “bussola strategica”

Lo strumento militare sarà la Eu Intervention Force, a pieno regime entro il 2025. Avrà capacità di proiezione strategica, anche sull’indo-pacifico. Sarà bene porre una condizione: occorre perseguire l’“autonomia strategica”, ma è necessario rinnovare il linguaggio storico dell’Unione Europea, che fa perno sulla forza della diplomazia e del multilateralismo.

di Maurizio Delli Santi * –

Strategic compass, questo è il nome del progetto annunciato dall’Alto Rappresentante per Politica Estera e di Sicurezza dell’Ue (Pesc), Joseph Borrell, con cui a fine novembre sarà presentato il nuovo modello di difesa europeo alla riunione dei ministri della Difesa e degli Esteri, per poi concretizzarsi con l’approvazione del Consiglio europeo del marzo 2022.
Lo strumento militare sarà quindi la Eu Intervention Force, con lo stato maggiore a Bruxelles e una forza operativa di cinquemila unità, che dovrà essere a pieno regime entro il 2025. Si tratterà ovviamente di una forza integrata, multidimensionale, che prevede anche una serie di nuovi supporti tattici e strategici.
Per il primo livello tattico nel progetto di difesa avrà un ruolo centrale un nuovo modello di carro armato europeo, il Main Battel Tank, una scelta cui da tempo si stanno orientando diversi eserciti e che nel contesto europeo dovrà probabilmente stemperare la rincorsa che stanno compiendo in particolare le italiane Leonardo e Iveco e la tedesca Rheinmetall. Ma è plausibile che a questo punto possano inserirsi altre industrie della difesa nazionali, come quella francese, e questo anche nella considerazione che un altro punto rilevante dello Strategic Compass è la costituzione di un Defense Innovation Hub, una centrale dell’industria europea della Difesa.
A livello strategico, considerando ovviamente anche la minaccia sugli spazi marittimi e aerei, saranno realizzati sistemi di controllo e contromisure incentrati su una Platform Space Observation. Non è stato ancora chiarito, ma certamente questa sarà concepita anche per contrastare la più insidiosa minaccia dei missili ipersonici. Anche la “minaccia ibrida” della cyberwar è attentamente valutata nel piano Countering Hybrid Threats, beninteso nel quadro di una integrazione nei teatri operativi dell’intelligence, anche rispetto alla minaccia della disinformazione delle parti avverse.
In definitiva si tratta di un progetto che sembra dare un senso concreto all’idea di una effettiva “autonomia strategica”, prevedendo più ambiti di intervento per implementare il livello di potenzialità strategica della attuale struttura di difesa europea. Nell’ipotesi di Borrell sembra anche che sia stato superato lo scoglio della unanimità o della maggioranza del momento decisionale, che certamente sarebbe stato difficile raggiungere sulla deliberazione dell’impiego della forza in una compagine di 27 Stati membri, già profondamente divisi su importanti temi della politica estera. Il sistema decisionale quindi sarà l’Ad hoc Coalition, quello già collaudato della “coalizione dei volontari”, ricorrendo di fatto al modello della “cooperazione rafforzata” che nell’ambito della politica estera e di difesa dell’Ue già consente ad un numero anche ristretto di Paesi di “andare avanti” in un’ intesa, anche se non condivisa totalmente dai restanti Stati membri .
Ma è proprio su questi profili che probabilmente si svilupperà il dibattito dei prossimi mesi, laddove, ed è bene sottolinearlo, il progetto della “bussola strategica” è strutturato non solo sulla capacità difensiva, ma anche su quella di proiezione esterna, in un’ottica di preventive action della escalation delle situazioni di crisi.
E qui l’ambito di intervento ipotizzato segna una svolta e probabilmente si presterà a non poche discussioni nelle istituzioni europee, come è già emerso in alcune riserve espresse dai Paesi baltici che propendono per una difesa nell’ambito esclusivo della Nato. Sul tema Borrell ha comunque dato la sua indicazione: “dovremmo evitare la nostra solita tendenza ad avere un dibattito astratto, e francamente divisivo, sull’opportunità di rafforzare le capacità di sicurezza dell’Europa o di farlo in sede di Nato. È chiaro che dobbiamo fare entrambe le cose. Più forti diventiamo come Ue, più forte sarà la Nato”.
In proposito le indicazioni diffuse sul possibile raggio d’azione dello strumento militare europeo si riferiscono oltre che sui tradizionali ambiti euroatlantici e del Mediterraneo, del Sahel o del Mali, del contesto mediorientale e afghano, anche ad una prospettiva globale, perché lo stesso Borrell ha puntualizzato l’interesse strategico dell’Unione Europea ad assicurare in particolare la stabilità dell’area indo-pacifica. L’Europa sotto questo profilo sembrerebbe orientata a schierarsi a fianco degli Stati Uniti e degli altri paesi dell’Aukus, Giappone e Australia in particolare, non solo per tutelare l’indipendenza di Taiwan, ma anche per garantirsi i flussi commerciali e di approvvigionamento del mercato globale, in cui hanno un rilevante peso strategico proprio i semiconduttori dell’isola contesa. “L’Indo-Pacifico è un teatro geostrategico di primo piano e dobbiamo essere presenti”, ha indicato Borrell, ricordando che “il 40% del commercio dell’Ue passa attraverso il Mar Cinese Meridionale e la regione produce il 60% della crescita globale. L’Ue è anche il più grande investitore nella regione (non la Cina, come molti credono), quindi abbiamo una grande partecipazione e un contributo da dare”.
Questa prospettiva sarà sicuramente all’attenzione di Russia e Cina, che non a caso, valutate anche le ultime iniziative della “sfida sistemica” delle democrazie occidentali promossa al G7 da Biden, dell’Aukus e del Quad (Quadrilateral Security Dialogue, l’intesa tra India, Giappone, Australia e Stati Uniti), ricorreranno a contromisure, e si sono già dimostrate meno disponibili sui tavoli multilaterali. Non ultimo quello promosso dal G20 a guida italiana sulla crisi afghana, per la quale hanno deciso di muoversi sul percorso della loro diplomazia parallela.
Siamo comunque in una fase molto critica delle relazioni internazionali, dove certamente l’Unione Europea rischia troppo di sbilanciarsi in questa ricerca di “autonomia strategica” se la traduce esclusivamente in un progetto di “militarizzazione”. Ed è questo che due analisti del think tank australiano Lowy Institute, Emilian Kavalski e Nicholas Ross Smith, hanno efficacemente sottolineato: “…la militarizzazione dell’Unione Europea la renderebbe irriconoscibile. L’Unione perderebbe la sua identità di attore geopolitico creativo e guidato dai valori e inizierebbe invece ad assomigliare a una grande potenza classica con una visione del mondo regressiva e realista. Un tale cambiamento minerebbe il potere reale, normativo e trasformativo dell’Unione Europea, dimenticando al contempo la storia dell’Europa e rendendola un potenziale obiettivo, nel qual caso le sue carenze di capacità la lascerebbero esposta”.
Se questo consiglio viene da una parte disinteressata dell’altra parte dell’emisfero, l’Unione Europea farebbe meglio a prenderlo in seria considerazione per valutare la sua “bussola strategica”. Innanzitutto sarebbe il caso di valutare con attenzione progetti troppo ambiziosi per una forza di sole 5mila unità. Inoltre è bene assicurarsi una autonomia strategica, ma per non tradire gli ideali (e gli interessi) europei è anche necessario uno sforzo in più per rinnovare il linguaggio della diplomazia e del multilateralismo: l’Europa può esprimersi meglio con il suo sistema di valori ricercando soprattutto la capacità di leadership nell’attenuare i conflitti e i rischi dell’immanente clash of civilisations.

* Membro dell’International Law Association, collaboratore di Analisi Difesa.