America Latina. Si acuisce il problema dell’immigrazione

di Paolo Menchi

Il problema dell’immigrazione è ormai tipico di molte parti del mondo, e sicuramente non avrà mai una soluzione gradita a tutti, soprattutto perché la crisi climatica non farà altro che acuirne la gravità, quando dovranno essere ospitate persone che fuggono da territori desertificati o ricoperti di acqua.
In questo momento la tensione maggiore si rileva ai confini degli Stati Uniti, che non hanno mai smesso di essere la terra promessa per milioni di persone che cercano un futuro migliore per i propri figli e per se stessi, soprattutto quando si tratta di nazioni relativamente vicine.
Se dalle nostre parti i mercanti di persone sono gli scafisti, in America esistono i cosiddetti Coyotes, persone senza scrupoli che ricevono anche ingenti somme di denaro per garantire l’ingresso negli Usa, ma che spesso non assistono minimamente i migranti durante i tragitti pericolosi, lasciandoli in balia delle bande specializzate che li aggrediscono per privarli delle loro poche cose o che gli fanno attraversare il deserto senza adeguata preparazione ed attrezzatura.
Ma anche qualora i Coyotes riescano a far attraversare il confine agli emigrati questi poi si trovano da soli negli Stati Uniti con il rischio di essere fermati da una non proprio tenera polizia di frontiera e con la sola speranza di essere aiutati dalle associazioni che gestiscono gli arrivi.
Spesso, dopo aver speso tutto quello che avevano e dopo aver rischiato la vita per arrivare negli Usa, molti migranti restano per molto tempo nei campi di detenzione in deplorevoli condizioni igienico sanitarie per poi essere rimpatriati.
Sicuramente uno dei motivi che nelle ultime settimane ha acuito il problema è la crisi di Haiti, che era già uno dei paesi più poveri al mondo e che ora è stato travolto anche da una crisi politica, dopo l’assassinio del presidente in carica Moise, e ambientale, dopo un nuovo forte terremoto e i soliti uragani. Secondo un rapporto dell’Onu, oltre 4 milioni di persone su 11,5 soffre la fame, per cui è chiaro che emigrare diventa una necessità primaria, costi quel che costi.
Non sono molti gli haitiani che sono riusciti a raggiungere direttamente gli Stati Uniti, infatti, la maggioranza cerca una via più lunga ma più facile, entrando nei paesi latino americani che non richiedono visto per stabilircisi o per poi cercare una via per gli Usa.
Perù e Brasile sono le nazioni dove sono entrati la maggior parte delle persone in fuga da Haiti, ma anche il Messico, pur abituato ad essere la testa di ponte di tutti gli emigranti provenienti dall’America Latina, nel mese di luglio ha registrato il record di 212.000 arrivi, che nel periodo gennaio /agosto sono triplicati rispetto all’anno precedente. Comprensibile, anche se chiaramente non giustificabile, la tensione che si respira nella polizia di frontiera, con denuncia di numerosi spiacevoli episodi di violenza e rimpatri forzati di persone che stavano per raggiungere l’obiettivo, dopo aver vagato per mesi.
Altro motivo per cui sono aumentati gli emigranti è che Biden aveva promesso un controllo meno severo e più umano, cosa che ha fatto nascere la speranza di poter ottenere più facilmente i documenti necessari per diventare residenti legali, ma il governo ha dichiarato che non sono previsti cambiamenti sostanziali nella politica di gestione degli arrivi.
In difficoltà nella gestione dei flussi migratori è anche la Colombia, luogo di transito di persone provenienti da Haiti, Cuba, Venezuela, El Salvador ma anche dai paesi africani.
Come chiedono alcuni dei capi di governo dei paesi della zona si rende necessario un summit che definisca, sotto la direzione dell’Onu, norme comportamentali e regole comuni per gestire nel modo meno doloroso possibile un fenomeno che purtroppo non potrà mai essere indolore.