Bangladesh. Sheikh Hasina vince ancora, ma non mancano i timori

di Laura Rodriguez * –

Dopo una tornata elettorale segnata da boicottaggi da parte dell’opposizione e violenze di ogni genere, la prima ministra Sheikh Hasina è stata confermata alla guida del Bangladesh per il suo quinto mandato dal 2009, anno della sua prima elezione. Lo sfondo della vicenda, però, non è per niente rassicurante e non manca di contraddizioni politiche che pongono Hasina e il suo partito, lo Awami League, al centro di aspre contestazioni tanto all’interno del Paese quanto nel più generale scenario internazionale.
Di fronte alla vittoria schiacciante del partito della prima ministra Hasina verrebbe istintivamente da pensare a un successo della democrazia ma, purtroppo, l’apparenza a volte inganna. Nei giorni precedenti le elezioni legislative, che si sono svolte domenica 7 gennaio, sono stati registrati almeno una decina di attacchi ai seggi elettorali, con il partito dell’opposizione, il BNP Partito nazionalista del Bangladesh, che ha indetto uno sciopero di 48 ore nel tentativo di boicottare le elezioni.
Così facendo, solo il 40% dei circa 119 milioni di cittadini bangladesi aventi diritto al voto risulta essersi recato alle urne per esprimere la propria preferenza. Una vittoria che necessita quindi di essere ridimensionata alla luce del fatto che lo Awami League ha praticamente giocato una partita senza avversari nei collegi elettorali in cui era presente, visti i boicottaggi e la scarsa affluenza degli elettori.
A capo del BNP spicca l’ex prima ministra Khaleda Zia che, al momento, si trova agli arresti domiciliari per le accuse di corruzione che gravano su di lei. Nel corso degli anni si è di fatto assistito a un botta e risposta tra le due donne che non solo ha contribuito a polarizzare la politica del Paese, ma ha anche “normalizzato” scene di violenza elettorale che periodicamente si verificano al momento della chiamata al voto.
Secondo vari gruppi per i diritti umani, durante le ultime due elezioni che si sono tenute sotto il Governo di Hasina si sarebbe verificata una serie di brogli elettorali (che le autorità hanno negato in più battute), nonché un altro boicottaggio da parte dei gruppi politici che rappresentano l’opposizione.
Tra ammirazione e disprezzo, esaltazione e critica, fiducia e sconforto, la sua figura ha da sempre destato sentimenti contrastanti. La 76enne, considerata una delle 100 donne più potenti al mondo (nel 2020 si era classificata al 39° posto della lista), è la figlia del primo presidente del Bangladesh, nonché padre fondatore della nazione: Sheikh Mujibur Rahman.
Uno dei primi obiettivi prefissati, e poi raggiunti, non appena salita al potere, è stato quello di garantire un adeguato sviluppo economico al Paese, sfruttando in particolar modo la crescita dell’industria tessile.
Nei due decenni in cui Hasina ha ricoperto il ruolo di prima ministra, il Bangladesh (che conta una popolazione di circa 170 milioni di persone) ha visto una crescita media del proprio PIL del 7%, riscontrando un conseguente calo della povertà. A lei viene riconosciuto non solo il merito di aver trasformato l’economia di una giovane nazione sorta dalle ceneri della guerra, ma anche quello di aver scongiurato i tentati colpi di stato militari, riuscendo persino a neutralizzare la minaccia dell’attivismo islamista. A questo si sommano gli sforzi che hanno consentito a migliaia di profughi di etnia Rohingya in fuga dalla Birmania di trovare rifugio nel Paese.
Mentre i sostenitori di Hasina ne evidenziano l’impatto positivo sulla nazione in termini di benessere economico e sociale, i critici non mancano di sottolineare quanto invece ci sia ancora da fare dal punto di vista delle garanzie democratiche. Testimonianza di questa regressione sono migliaia di membri o, addirittura, di semplici simpatizzanti, dei partiti di opposizione finiti in galera su ordine della prima ministra.
Anche le Nazioni Unite hanno manifestato la propria apprensione nei confronti di un Governo che sta minacciando i principi democratici posti alla base del Paese, mettendone in evidenza la deriva autoritaria. Il tentativo di sradicare il dissenso a tutti i costi è da sempre un elemento centrale della politica di Hasina e le persecuzioni dei leader della società civile e dei difensori dei diritti umani sono un segnale preoccupante secondo una portavoce dell’ONU.

* Mondo Internazionale Post.

Articolo in mediapartnership con Giornale Diplomatico.