Brasile: Lula: scontro nel Tsf, un magistrato lo libera ed un altro lo fa restare in carcere

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Scontro in Brasile nel Tribunale federale supremo (Tfs) sul caso Lula, dopo che ieri il giudice Marco Aurelio Mello aveva disposto la scarcerazione dell’ex presidente del Brasile (e grande protettore dell’ex terrorista Cesare Battisti) avvalorando la tesi prevista nel codice di procedura penale secondo cui un individuo deve essere tenuto in carcere solo a seguito di condanna definitiva. Lula è stato condannato in secondo grado a 9 anni di prigione, ma i suoi avvocati hanno presentato appello nei tempi e nei modi consoni, per cui, secondo il magistrato del Tfs, sarebbe stato da mettere in libertà. Lula è tuttavia oggetto di indagini per una serie di altri crimini legati alla corruzione, e a mettersi di traverso a Mello sono stati il procuratore Raquel Dodge e il pool di 11 magistrati che indagano sullo scandalo Lava Jato, la tangentopoli brasiliana.
Con un ricorso urgente al presidente del Stf, José Antonio Dias Toffoli, Dodge è riuscita ad ottenere il blocco del provvedimento, anche perché preso – e non è la prima volta – “alla vigilia delle ferie giudiziarie, violando il principio di collegialità del Tfs”. Sarà quindi la seduta plenaria del Tfs, indetta per aprile, a stabilire se Lula dove o meno restare in carcere.
Lula è stato condannato in quanto ritenuto colpevole in merito all’affaire Petrobras, la compagnia di Stato brasiliana del petrolio. Nella fattispecie l’ex presidente, che ha guidato il paese dal 2003 e al 2010, è stato trovato colpevole di essersi intascato una tangente di complessivamente 1,2 milioni di dollari dall’azienda di costruzioni Oas, denaro poi usato per la costruzione di una villa a tre piani nella città costiera di Guaruja. Con la firma di Lula la Oas ha ottenuto contratti dalla compagnia petrolifera Petrobras.
Già per salvare Lula dal processo, la ex presidente brasiliana Dilma Rousseff aveva tentato di nominare il suo predecessore ministro della Casa Civil (capo di Gabinetto, durato 1 giorno) e quindi di fargli avere l’immunità, ma poi nello stesso scandalo era rimasta impigliata lei stessa anche perché i dialoghi erano intercettati. L’iniziativa, poi sospesa dal giudice federale Itagiba Catta Preta Neto, era costata alla Rousseff una denuncia per intralcio alla giustizia.
Rousseff poi era stata accusata di aver truccato i conti dello Stato al fine di far vedere in campagna elettorale un andamento dell’economia che non c’era, per cui era stata processata e dimessa dal suo incarico.
Nel settembre 2017 Lula era stato individuato dal pubblico ministero federale Sergio Moro quale numero uno della tangentopoli del paese latinoamericano, “il grande generale che comandò la realizzazione e la pratica dei reati, oltre a coordinarne il funzionamento ed eventualmente deciderne la paralisi”. Precisando che Lula era stato accusato in base a “reati specifici” e non per il suo ruolo presidenziale, Moro aveva affermato che gli esecutivi di Lula erano stati “governi della tangentocrazia”.