CO2

di Dario Rivolta * –

Nonostante sia ormai smerciata da politici e media come verità indiscutibile e inconfutabile, continuo personalmente a non essere affatto convinto che il cambiamento climatico in atto sia dovuto all’azione dell’uomo e, in particolare, all’emissione di CO2. Nella mia convinzione sono confortato dal parere espresso da diversi scienziati tra cui climatologi, geologi, fisici dell’atmosfera, ecc. i quali tuttavia vengono snobbati dai media mainstream. Almeno due volte, decine di professori universitari italiani hanno scritto alla presidenza del Consiglio e all’ONU denunciando come l’imputazione antropica come causa dei cambiamenti climatici non abbia vere basi scientifiche e chiedendo di potersi confrontare con i sostenitori del contrario. Naturalmente le loro osservazioni e richieste sono cadute nel nulla. Questi scienziati ricordano come il nostro pianeta sia già stato molte volte vittima di cambiamenti climatici, anche importantissimi, pur in assenza dell’uso di combustibili fossili o della presenza di industrie manifatturiere. Ovviamente nessuno nega che queste attività siano causa di inquinamento atmosferico, ma altra cosa sono le variazioni della temperatura media mondiale.
Ciò che mi fa specie in modo particolare, comunque, non è solo l’apparente (pur se solo apparente) unanimità di voci che additano la CO2 come il “diavolo climatico” ma, soprattutto, l’incoerenza e le menzogne di questi fanatici pseudo-ecologisti.
Partiamo dalle decisioni prese dalla Commissione e dal Parlamento Europeo in merito alla sostituzione, dal 2035, dei motori termici con quelli elettrici. Sarebbe. A loro giudizio, proprio la combustione di gas e petrolio la causa della maggiore presenza di anidride carbonica nell’aria, Ebbene, sappiamo che i Paesi al mondo che ne emettono di più sono Cina, Stati Uniti, Unione Europea, India, Russia e Giappone. Tutti insieme consumano attualmente il 66,4% dei combustibili fossili ed emettono il 67,8% delle emissioni globali di anidride carbonica. Innanzitutto dobbiamo notare che, a dispetto delle decisioni assunte e degli interventi già effettuati tutti i 6 Paesi sopra citati hanno aumentato l’emissione di CO2 nel 2021 rispetto al 2020. Inoltre, dei 37 miliardi di tonnellate di CO2 prodotti nel mondo la Cina ne emette il 33%, gli USA il 13%, l’India il 7%, la Russia il 5% e tutta l’Unione Europea appena il 7,3%. In particolare, la Cina ha ufficialmente annunciato che ne emetterà sempre di più fino al 2030, anno in cui, almeno teoricamente, dovrebbe cominciare a diminuirne la dispersione nell’aria. L’obiettivo Cinese è di raggiungere la neutralità climatica nel 2060 e l’India la prevede addirittura nel 2070. L’obiettivo annunciato dall’Europa è invece di ridurre le proprie emissioni dal 7,3% al 6% proprio grazie all’eliminazione dei motori termici.
Risulta evidente che, se fosse proprio la CO2 la responsabile del cambiamento climatico, il sacrificio economico e occupazionale derivante dall’eliminazione della nostra tradizionale industria motoristica sarà, di fatto, totalmente ininfluente sulla quantità di anidride carbonica presente nel pianeta. Detto per inciso, solo per quanto riguarda l’Italia (emittente di circa lo 0,8% della CO2 mondiale) la filiera della produzione di motori termici dà lavoro a quasi 300mila persone che rappresentano il 5,2% del Pil nazionale (per dare un’idea di ciò che questa percentuale significa basta pensare che gli economisti litigano nel definire quale potrebbe essere la possibile crescita annuale dell’economia nazionale: lo 0,9 o l’1,2%?). A questi lavoratori, attualmente occupati e di cui non si conosce quale potrebbe essere il futuro, vanno aggiunte altre 200mila persone legate a tutto ciò che riguarda il mondo della post-produzione: vendita, rifornimenti, manutenzione, riparazione e servizi vari. Un calcolo approssimativo ci lascia pensare che tutti i comparti che ruotano attorno ai motori termici (trasporti, riscaldamenti, ecc.) rappresentano circa il 16% del Pil del nostro Paese.
La contraddizione più eclatante che tutti conoscono ma viene costantemente taciuta è che la produzione di motori elettrici è fortemente più inquinante per il pianeta dell’alternativa termica attualmente utilizzata. Si tenga presente, ad esempio, che per ottenere pochi grammi dei metalli necessari per la produzione di batterie occorre lavorare decine (e per alcuni minerali centinaia) di tonnellate di roccia. Ed è pure improbabile pensare che lo squarciamento necessario delle montagne possa essere fatto tramite l’uso di soli motori elettrici. Per dare un semplice esempio, l’impatto ambientale che deriva dall’estrazione del litio è enorme. Oltre al consumo di grandi quantità d’acqua, dalle necessarie vasche di evaporazione possono fuoriuscire sostanze chimiche tossiche, come l’acido cloridrico altri prodotti di scarto che possono filtrare dalla salamoia. Negli Stati Uniti, in Canada e in Australia, il litio viene solitamente estratto dalla roccia con metodi più tradizionali. Tuttavia, questo richiede ancora l’uso di sostanze chimiche per poterlo estrarre in forma utile. In Nevada, ad esempio, i ricercatori hanno trovato prove di inquinamento nei pesci che nuotavano a 250 km a valle di un luogo dedicato all’estrazione del litio. Altra preoccupazione deriva dallo scarico di acqua salina nell’ambiente. Il processo che porta all’estrazione del litio dalla salamoia genera grandi volumi di acqua altamente salina che possono danneggiare gli ecosistemi locali andando ad impattare sul suolo e causando la contaminazione dell’aria. Inoltre, in alcuni casi come in Cile, le compagnie minerarie sono state accusate di aver sfollato con la forza le comunità, violando i diritti delle popolazioni indigene.
Comunque sia, la cosa più scioccante da considerare, oltre ai dati di cui sopra, è che chi sta ottenendo enormi profitti dalla decisione europea di puntare sui motori elettrici è la Repubblica Popolare Cinese. Tra il 2021 e il 2022 le esportazioni di vetture a batteria prodotte in Cina è cresciuta del 165%. Non si tratta sempre di automobili prettamente cinesi, ma sono anche aziende europee che hanno ridotto e ancor più ridurranno gli occupati nel nostro continente per produrre in fabbriche cinesi i motori che poi venderanno da noi. Gli esempi: Volkswagen, BMW, Mercedes, Peugeot e anche le americane Tesla e General Motor. Attualmente la Cina controlla, inoltre, il 70% della produzione mondiale di batterie per auto ed è il maggior produttore ed esportatore di metalli e terre rare, prodotti indispensabili per tutta l’elettronica. La Cina, intelligentemente, non si limita a sfruttare le miniere presenti nel suo vasto territorio ma ha comprato partecipazioni (quasi sempre di maggioranza assoluta) in Africa e Sud America in miniere di questi materiali preziosi. L’ultima acquisizione di cui si ha notizia è l’acquisto da parte di China Natural Resources della miniera di litio di Zimbabwe. La stessa cosa già fatta in Cile, Bolivia e altrove. Guarda caso: mentre procede a questi acquisti ha chiuso, per motivi ambientali, le proprie miniere di litio nella propria zona di Yichun.
È possibile che i sedicenti esperti che stanno a Bruxelles o nelle altre capitali europee non abbiano notato queste contraddizioni? Noi imponiamo un drastico cambiamento verso il peggio della nostra realtà economica per favorire un Paese che, ufficialmente, abbiamo definito come “pericoloso Concorrente”.
Se è vero, e io continuo a non crederlo, che sia proprio la CO2 la responsabile dal cambiamento climatico, il sacrificio di noi europei in questa direzione risulterebbe comunque del tutto ininfluente per l’ottenimento del risultato che si vorrebbe ottenere visto che, altrove, gli sforzi vanno esattamente in direzione opposta. Infatti sia Cina che India hanno aumentato lo sfruttamento delle loro miniere di carbone e continueranno ad aumentare per lungo tempo le loro emissioni di anidride carbonica.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato in una conferenza stampa che “non produrre più motori a combustibili fossili nel 2035 è irragionevole”. Ma in Europa non si continua a criticare il fatto che esista il malaugurato “diritto di veto”? Se il nostro Governo è davvero convinto che le decisioni di Commissioni e Parlamento Europeo siano un grave errore, perché, almeno questa volta, non lo si esercita?

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.