Corea del Sud. Come muore una nazione

di Francesco Giappichini

L’inverno demografico che flagella la Corea del Sud e fa temere l’estinzione del popolo asiatico entro pochi secoli, interessa non solo politici ed economisti. Se ne occupano anche gli analisti geopolitici, che delineano gli effetti più significativi del drastico calo delle nascite. L’emergenza avrebbe un triplice impatto: sull’economia, sulla sicurezza nazionale e infine sulla capacità d’influenza a livello internazionale. Sotto il profilo economico, invecchiamento della popolazione e crollo del tasso di natalità porteranno a una diminuzione della competitività finanziaria e tecnologica; mentre il crescente onere per le pensioni e le cure sanitarie, limiterà gli investimenti nelle aree chiave per la competitività globale.
Inoltre una forza lavoro più contenuta e anziana può ridurre produttività e innovazione, peggiorando il tenore di vita. Sul fronte difesa, il calo dei giovani disponibili alle armi metterà sotto pressione le capacità militari, (specie dinanzi alle minacce nordcoreane). Infine, sotto il profilo dell’influenza politica, se ne prospetta una riduzione in sede di negoziati multilaterali, nelle istituzioni internazionali, e anche nel quadro della rivalità sino-statunitense. Si ridimensionerebbe cioè quel fenomenale «soft power», ben supportato dalla Korean popular music (K-pop), dal drama coreano (K-drama), e in generale da tutta la K-culture. Andiamo però con ordine, per delineare l’assetto demografico.
Il Tasso di fecondità totale (Tft) è sceso, nell’ultimo trimestre del 2023, a quota 0,65. Lo ha annunciato lo Statistics Korea (Kostat), l’agenzia nazionale di statistica alle dipendenze del Ministero dell’Economia e delle finanze. Il dato, fornito con cadenza trimestrale per l’importanza che si attribuisce al tema, non solo sancisce il primo posto mondiale della Sud Corea, in quanto a calo delle nascite; ma la pone a distanza siderale da Paesi come Italia o Giappone, anch’essi afflitti da problemi di denatalità. Intanto i demografi forniscono le più distopiche proiezioni. Secondo alcuni, tra 50 anni, questo Paese di 51 milioni di abitanti ne avrà solo 36; perdendo quindi circa un terzo dei cittadini.
Il dimezzamento è invece previsto nel 2100. Mentre l’età media crescerà da 45 a 63 anni, per un processo “monstre” d’invecchiamento della popolazione. Del resto l’aspettativa di vita è già elevata, e sfiora gli 84 anni. E ancora: entro 50 anni il numero di persone in età lavorativa si sarà dimezzato, il numero di cittadini idonei alle armi si sarà ridotto del 58%, mentre quasi la metà della popolazione avrà più di 65 anni. Altri osservano come il Paese sia in una fase avanzata di declino demografico, che vede il dimezzarsi dei nuovi nati ogni ventennio. Altri studi hanno ad oggetto le «donne senza figli», che rappresentano il 55% del totale. Va aggiunto che nella Capitale Seul, che traina economicamente il Paese e ne anticipa le tendenze, il tasso di fecondità è ancor più basso e sfiora quota 0,55.
E non è tutto: si osserva che il Total fertility rate (Tfr) sudcoreano non solo è bassissimo, ma è l’effetto di dati molto disomogenei, e quindi potenziale causa di errori di valutazione. In sintesi, il tasso di fertilità – il numero di bambini nati per ogni donna in età fertile – è il prodotto di una nicchia stabile di donne che hanno figli, e di una maggioranza crescente che non ne hanno alcuno. Questo scenario preoccupa molto le aziende, che temono una crescente carenza di manodopera. Così ogni tanto spunta la notizia di qualche imprenditore illuminato, che offre bonus economici ai dipendenti che divengono genitori. Ad esempio la società Booyoung elargisce fino a 70mila euro.
Invero le preoccupazioni della società sono aggravate dall’inefficacia delle misure di sostegno alla natalità, sinora attuate. Non hanno sortito effetto né i provvedimenti più ortodossi (il congedo parentale di 18 mesi per entrambi i genitori, o i tanti incentivi economici), né quelli più creativi: come la possibilità di pagare un salario più basso di quello minimo, alle baby-sitter immigrate dal Sud Est asiatico; o l’esenzione dal servizio militare per gli uomini che hanno tre figli prima dei 30 anni. Un capitolo a parte merita la questione migratoria. Un toccasana, secondo gli esperti, potrebbe essere un flusso migratorio costante. Tuttavia le proposte in tal senso si scontrano con gli umori di una società etnicamente omogenea, conservatrice e ostile a scenari multirazziali.
Alle autorità non resta così che affrontare le cause alla radice, per contenere la portata del fenomeno. Gli studi sulle cause della denatalità seguono due linee di pensiero. Gli analisti più attenti alle questioni di genere puntano il dito sul duplice fardello, economico e sociale, che grava sulle donne. In primo luogo, secondo i dati dello Yuwa population research institute cinese, i costi per allevare un figlio, sono qui i più elevati al mondo. Poi vi è il peso, il prezzo, tutto sociale. Con la maternità, le speranze di crescita nel lavoro si affievoliscono: la cura dei figli non riesce a conciliarsi con la carriera professionale, men che meno con quella manageriale. Gli studi più tradizionali identificano invece cinque motivi. Il primo ha a che vedere con gli stili di vita dei più giovani, che punterebbero solo a relazioni per interesse, e tendono a ritardare, se non escludere, il matrimonio; come conseguenza di ciò, si osserva, l’orologio biologico costringe le donne a limitarsi a un unico figlio, quand’anche ne volessero più. Il secondo riguarda i costi elevati della genitorialità, legati anche agli alti prezzi immobiliari; inoltre la pressione sociale impone ai genitori d’iscrivere i figli a costosi corsi extrascolastici, affinché non rimangano indietro in quell’implacabile ambiente meritocratico e competitivo. Terza causa, la discriminazione di genere, che non si limita all’elevato gender pay gap, e a una disoccupazione femminile doppia rispetto alla maschile. Le donne subiscono pressioni implicite sul posto di lavoro perché si dimettano una volta incinte, mentre sono prevalentemente loro che si occupano dei figli. E lo stesso ricorso ai congedi – che oltretutto con gran prevalenza sono fruiti dalle mamme – è a volte causa di licenziamenti o limitazioni di carriera. Quarta ragione, ritmi e orari aziendali intensi; senza dimenticare una cultura del lavoro che impone il continuo aggiornamento professionale anche nel tempo libero, per evitare il proprio fallimento. Quinto motivo, l’impatto della pandemia, che ha inciso economicamente e anche socialmente, diradando le occasioni di incontro sociale. Del resto nel Paese asiatico solo il 2% delle nascite avviene fuori del matrimonio, mentre le ragazze che hanno figli da nubili subiscono una velata riprovazione sociale. Infine le analisi più progressiste pongono sul banco degli accusati anche l’illiceità del matrimonio tra persone dello stesso sesso; oltreché, ça va sans dire, il divieto per le nubili di accedere (se non eccezionalmente) alla fecondazione eterologa.