Editoriale. Io che non riesco ad avere paura

Perchè l’occidente non è in guerra e non deve farcisi trascinare –

di Daniele Priori –

Parigi manifestazione terrorismo grandeForse vi sembrerà incredibile, ma io è da giorni che ci provo eppure, di queste mosche fastidiose, che sono i nuovi terroristi jihadisti, non riesco proprio ad avere paura.
Qualcuno sicuramente avrà da obbiettare: i protocolli della sicurezza, per esempio, che dovranno fare – e speriamo lo facciamo bene – il loro lavoro dieci, cento, mille volte più meticolosamente, negli aeroporti, nei monumenti, nei musei, alle partite e pure ai concerti. Però, mi chiedo, come possiamo avere paura di andare a mangiare una pizza?
Non c’è la guerra. Sbaglia il presidente francese Hollande a replicare la retorica fallita dell’ex presidente Usa, George W. Bush dopo gli attentati dell’ 11 settembre a New York. Non c’è la guerra in occidente e non dobbiamo permettere a queste fastidiose zecche di portarla tra di noi.
Sbaglia chi non capisce che il nostro più grande diritto è quello di continuare a divertirci. Con qualche accortezza in più ma senza indietreggiare di un passo rispetto alle abitudini che avevamo giovedì 12 novembre scorso.
Il 13 novembre di Parigi dovrà essere un sacrario laico in memoria di persone libere che in un venerdì sera qualunque avevano tutto il diritto di andare a divertirsi, a cena fuori, allo stadio, a un concerto indiavolato di musica deep metal senza pensare che qualcuno, addirittura proprio connazionale, potesse iniziare a sparare all’impazzata.
I politici locali, i giornalisti, quelli che hanno sale in zucca, senso di responsabilità sufficiente a candidarsi per chiedere alla gente la delega a guidare comuni e regioni, dovranno spegnere il fuoco, tranquillizzare, invitare alla massima normalità possibile. Aiutare a capire le decisioni che saranno prese nelle più alte sfere, quelle che hanno il dovere di decidere sulla politica internazionale.
Dovremo mantenere tutti, noi, semplici cittadini, quella coesione sociale e quella forza d’animo che in teoria ci guidano ogni giorno a fare tutto quello che facciamo. La coscienza di essere popoli, soprattutto i francesi, che proprio su Libertà, Uguaglianza e Fraternità hanno fondato il senso di ciò che significa essere nazione, essere Stato.
Poi ci sono le strategie. E la Francia, fiera oppositrice nel 2003 dell’attacco in Iraq, negli ultimi anni ha volutamente preso un pericoloso ruolo di protagonista in avanscoperta concordato poco o nulla a livello internazionale.
Tutto l’amore per Parigi e il fascino per la romantica Tour Eiffel illuminata da giorni col tricolore francese non sono ancora riusciti – e credo non ci riusciranno – a dare una spiegazione di quello che, nel 2011, fu un attacco unilaterale alla Libia.
Mettere al tavolo, oggi, certo tardivamente, Obama e Putin, è degno di nota. Tuttavia non si può passare, in nome di una rabbia figlia legittima di un popolo ferito, dall’essere i più acerrimi nemici del dittatore siriano all’essere suoi alleati. Almeno gli Stati Uniti d’America, ma anche l’Unione Europea non possono permettersi questo lusso e, a buon bisogno, nemmeno devono.
Ancora una volta soprattutto l’Europa si troverebbe a fare la figura del continente di pastafrolla, del nano politico capace solo di generare mostriformi crisi finanziarie a causa di una discutibile unione monetaria, pure questa, senza lo straccio di una linea politica realmente unitaria.
Un continente aperto alle penetrazioni di tutti i liberi lavoratori ma in realtà privo di un esercito comune. Quindi, di fatto, senza frontiere e senza difesa.
Ecco che allora torna attuale Oriana Fallaci che, ancora una volta, ha causato le ire dei lettori di Terzani e il fascino degli amanti – come chi scrive – della prosa asciutta e impeccabile della giornalista toscanaccia, come pure la scoperta di quelli che probabilmente di Oriana non hanno letto nulla se non qualche riga de La rabbia e l’orgoglio condivisa a spot dai loro impensabili profili Facebook sui quali fino al giorno prima (e sicuramente pure da domani) avevano campeggiato solo gattini, Maria De Filippi e Tina Cipollari, al massimo una delle facce di Barbara D’Urso.
La Fallaci aveva in uggia tanto, probabilmente troppo, i “figli di Allah”, non lo si può negare. Ma ancora di più ce l’aveva col ventre molle d’Europa. Una autentica tragedia culturale. Ce l’aveva col nichilismo e col pensiero debole che, incredibilmente, oggi, ancora una volta – e sono felice sia rimasto in vita – riabilitano in pieno il monito del papa emerito Benedetto XVI, calato come un macigno di tragica saggezza sull’occidente e sulla Chiesa, nella celeberrima missa pro eligendo romano pontefice celebrata nell’aprile 2005 dall’allora cardinale Joseph Ratzinger quando ancora non era Papa. Una formidabile lezione all’occidente descritto come navicella in preda alla tempesta del relativismo di un pensiero unico fondato sul nulla e su un liquido che assomiglia di più a una brodaglia immangiabile che alla sostanza di cui dovrebbero essere costituite le idee destinate ad essere la spina dorsale della società.
Con tutte le riserve del caso sulla politica dell’attuale inquilino della Casa Bianca, Obama, dunque, c’è da dire che le perplessità americane su un intervento di terra in Siria siano più che mai comprensibili oggi.
E, purtroppo, torno a dirlo sfidando pure l’umanissima emozione per le 129 vittime di Parigi: la Francia oggi non può appellarsi alla solidarietà e alla condivisione, al cosiddetto multilateralismo che lei per prima, per ragioni, ahinoi, fin troppo semplici da capire, ha messo da parte. Questioni di egemonia territoriale, dunque strategie geopolitiche e economiche che avevano come orizzonte la Libia di Gheddafi che, però, nel 2011 ormai aveva scelto di commerciare col mercante più abile sul campo all’epoca, il premier italiano Silvio Berlusconi e non col francese Sarkozy che si sentì tradito nel suo ius primae noctis al punto da reagire come ha reagito, scatenando un inferno ancora tutt’altro che sanato a Tripoli e in tutto il territorio libico.
Allo stesso modo, tuttavia, una riscrittura della storia, capace di superare la logica sbagliata di uno “scontro di civiltà” che non c’è, dovrebbe portare tutti i governi occidentali, compreso quello italiano di Matteo Renzi, a rivedere le strategie economiche e commerciali.
Andare, infatti, a cuor leggero in Arabia Saudita a sostenere accordi commerciali, come ha fatto Renzi giusto la scorsa settimana, lavandosi la coscienza con un discorsetto retorico pronunciato in loco sui diritti umani e poi tornare a Roma e, dopo le stragi di Parigi, rispondere candido alla direttora di SkyTg24, Sara Varetto che “no, l’Italia come Stato non commercia con i finanziatori dell’Isis” è coraggioso e sfrontato come il musetto del nostro premier, un tosco di tutt’altra pasta rispetto alle Fallaci e ai Montanelli.
Qui, però, non è degli ottanta euro “togli e metti” in busta paga che si sta parlando ma di vite umane, prospettive di futuro, valori assoluti come la nostra libertà di non avere paura, assieme alla necessità di rispondere con intelligente e definitiva fermezza a chi, da quindici anni, ha deciso di renderci la vita impossibile a casa nostra.
E’ bene che siano la politica e le istituzioni a trovare le risposte soddisfacenti ed efficaci, prima che ci pensi la paura a prendere il sopravvento; quella che non dobbiamo avere e che, soprattutto non deve prevalere in noi quando ci troveremo dentro la cabina elettorale, tempio della nostra libertà di scelta e della pratica effettiva della democrazia, evitandoci il più possibile l’errore gravissimo di indirizzare masse di voti a chi sulla paura vorrà lucrare consensi popolari, gente che si trova dalla parte opposta della barricata rispetto ai terroristi islamici, ma comunque contravvenendo ogni norma di buonsenso, convivenza civile, speranza di pace. Persone che hanno già iniziato a fare una campagna elettorale più simile allo sciacallaggio tipico dei tempi di guerra che a un dibattito forte, magari anche duro, ma tra posizioni che abbiano la patente della reciproca rispettabilità.
Noi occidentali, insomma, non possiamo permetterci di avere paura. Mentre chi sta sul campo dovrebbe dimostrare il coraggio, la determinazione e la coerenza delle popolazioni curde, in lotta su più fronti, da sempre e più che mai ora, con lo strapotere di Erdogan in Turchia senza la prospettiva di avere uno Stato ma con la certezza chiara, che oggi manca a troppi, in primis all’Europa, di una propria identità da difendere e per la quale, nei modi più differenti, combattere fino all’ultimo respiro
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