Elezioni in Slovacchia

di Giovanni Guido

Tra Rusovce e Hencovce passa una nazione, idee, persone e pensieri diversi. A volerla dire tutta, anche un continente, se considerate che la Slovacchia si allunga dalla mitteleuropea Vienna ai boschi dei Carpazi ucraini, ammantati di un odore acre di bruciato. Quello delle bombe che i russi sganciano ormai quotidianamente. Il viaggio dentro un Paese che fatica a fare pace con il recente passato ci porta dal confine austriaco verso nord-est. Non si tratta dell’estremo avamposto del territorio. Siamo ai primi lembi del feudo populista, di destra o di sinistra fa poca differenza, che si prepara per andare alle urne. Il prossimo 30 settembre, in quello che un tempo era il lato povero della Cecoslovacchia, si vota per il rinnovo del Parlamento. Un voto che, stando agli ultimi sondaggi, parrebbe riportare le lancette della Storia al 2018. Data non casuale. Non un anno di elezioni, ma di cambiamenti. Vietato chiamarla “rivoluzione”, quella era scandita da suoni metallici di piazze gremite nel 1989. Cinque anni fa, mentre l’inverno giungeva al termine, il giovane giornalista Ján Kuciak e la sua fidanzata Martina, venivano uccisi a colpi d’arma da fuoco nella loro casa. Distretto di Galanta, non lontano dalla open minded Bratislava.
Le connivenze, vere, verosimili o presunte, con il gotha del partito allora al potere, Smer – Direzione Socialdemocrazia, non tardarono ad arrivare. La pista calabrese, con tanto di ‘ndranghentisti sistemati in pacchiane residenze nel sud – est del Paese, si rivelò sbagliata, perlomeno in quel caso. Un nome. Marian Kočner. Arresti, processi, proteste pacifiche. La voglia di voltare pagina. Voglia che, stando ai sondaggi di questi giorni, sarebbe già finita. L’ondata anti Robert Fico, che ha governato la Slovacchia per oltre dieci anni, si è arenata sulle delusioni del governo di Igor Matovič, populista di centro – destra, capo indiscusso del partito Olano, trionfatore alla tornata del 2019. Gli elettori avevano deciso di dare fiducia al businessman di Trnava. Uomo dai colpi di teatro e di tanto social marketing che attrae i like, meno le politiche a medio-lungo raggio. Un occhio al pensiero dei moderati, uno, facciamo uno e mezzo, alla pancia degli arrabbiati, che tra pandemia e guerra in Ucraina fioriscono nei due estremi politici. Matovič, Heger, sino ad arrivare ad Ódor, tecnico impegnato a traghettare il Paese all’election day di fine mese. Il cosa succederà dopo racconta di un ritorno al passato. Un’ipotesi che molti, anche tra i burocrati di Bruxelles, scongiurano, parla di un cartello tra Smer, Hlas e i neo fascisti di Republika. No Vax, No Nato, Si Russia, con l’incognita dell’ex premier Pellegrini, che gioca a sganciarsi dal suo padrino politico, senza mai dare la sensazione di strappare in maniera netta il cordone ombelicale che lo lega ai vecchi compagni di Smer. Anche considerando le posizioni europeiste di Hlas, resta un cocktail micidiale che rischia di spostare gli equilibri europei di centinaia di chilometri. Ragionando in termini di fanta geopolitica, possiamo anche immaginarci l’occidente terminare alle porte di Vienna, come ai tempi dei turchi. Con il signore di Pietroburgo che si spinge sin sulla sponda orientale del Danubio, protetto a meridione dal ducetto magiaro Orbán.
Raccontare il post federazione vuol dire tuffarsi in un mondo oscuro, fatto di violenza e corruzione, che sembra un ricordo da queste parti, seppur sbiadito e mai dimenticato. Il duplice omicidio Kuciak ha riacceso i riflettori su un universo che sembra aver vissuto nella penombra in questi anni, nonostante un cambiamento costante. Cambiamento che ha frammentato la Slovacchia. In un eccesso di semplificazione, potremmo disegnare quattro piccole mappe dentro un solo Stato. All’estremo ovest troviamo Bratislava. Capitale liberal, cosmopolita, piena di giovani che riempiono gli uffici delle multinazionali. Dove le gru continuano imperterrite ad alzare piani di cemento dalle parti di Mlynské Nivy. Centri commerciali scintillanti, prezzi degli appartamenti alle stelle come a Londra. Locali, bistrot e pub che aprono e chiudono con i ritmi di semestrali Erasmus. Frenetica e vivace, che si riconosce nel simbolo di Zuzana Čaputová. Presidente della Repubblica che ha appena confermato che non si ricandiderà, lasciando spazio al rischio di una deriva estremista anche dalle parti di Palazzo Grasslakovich. E mentre Ivan Korčok, ex ambasciatore a Washington e ministro degli Esteri, ufficializza la propria candidatura, basta mettersi in auto e dirigersi a oriente per capire, o almeno provarci, i motivi del perchè il ticket Fico – Pellegrini è più di una suggestione. Ps, il partito della presidente, a sud e soprattutto all’est, sembra non esistere. In tanti rimpiangono Smer, con le sue pensioni da alzare, i treni gratis per i pensionati, qualche spicciolo in più in tasca a spese dei contribuenti, atti a creare un elettorato fedele. Nostalgico. Quelli che “quando c’era il comunismo tutti avevano lavoro e il latte costava poco”. Che guardano con distacco e sospetto i tanti stranieri che sbarcano all’aeroporto “Štefánik” per cercare lavoro. Stranieri, peggio ancora se “migranti”, quelli che secondo la propaganda guidata dal fascista Marian Kotleba, sarebbero pronti a invadere queste terre. Vallo a spiegare alle nonne orientali che siriani, iracheni, sudanesi, sognano Svezia, Norvegia, Germania e qui, tra Košice e Poprad, devono solo passarci. Il bombaramento social ha sempre pronta la carta da calare in caso di necessità. Si chiama Ucraina. Quel popolo che no, non è eroico, ma sciocco. Impoverisce noi slovacchi, loro nazisti, lo ha detto anche Putin, non è così? Perchè non credergli, d’altronde se non lo rimpiange lui il comunismo, visto che vuole rifare l’URSS, chi può capirci?
Le zone del lontano est, oltre i Tatra, agricole e povere, sono pronte a recarsi in massa ai seggi. Smer, Hlas, Kotleba, Republika, poco importa. Odio eterno ai progressisti, visti come strani mostri LGBT woke che abitano tra Staré Mesto e Ružinov. Nulla li sposta dalla loro idea, nemmeno gli echi dell’ottobre 2022. Il bar “Tepláreň”, un fanatico 19enne armato che fa fuoco su due giovani omosessuali, scappa, si nasconde nei boschi e si suicida. Odio, ancora questa parola. Fico vincerà, a meno di sorprese. La macchina di post e tweet si è messa in moto. Una miscela di anti gay, rom, UE, alla quale piccoli settori della Chiesa strizzano l’occhio. Dentro un paese conservatore e fortemente cattolico, che non vorrebbe rivedere un socialista al potere, ma sbianca all’idea di svegliarsi con il volto del deputato liberal Šimecka nuovo capo di governo. E allora, eccola un’altra Slovacchia dentro la Slovacchia. Orava. Settentrione, al confine con la Polonia. Natura, montagne, hiking e crocifissi. La fede in Dio prima di tutto, il resto passa in secondo piano. E poi il sud, la fascia meridionale che va da Nové Zámky a Kráľovský Chmlec. Centinaia di chilometri di minoranza ungherese, con i loro partiti, i loro politici, la loro visione che si stacca dalla dicotomia progresso – tradizione. Qui, tra Komárno a Rimavská Sobota, conta la questione magiara. Priorità. Punti di vista. Pensieri e opinioni che frammentano una nazione di circa cinque milioni di abitanti che sta per scegliere dove stare. O dove tornare.
Dipende tutto da una data. Già si parla di un patto estremista tra Smer, Republika, Sme Rodina e dulcis in fundo lui, il redivivo Andrej Danko. Ex presidente del parlamento per una legislatura, noto gaffeur e ancor più noto tifoso putiniano. Tornato in pista con il suo SNS, altro piccolo contenitore alla ricerca del voto deluso, poco colto e molto incline alle bufale che divampano su Internet, in questo angolo d’Europa che in molti sembrano aver dimenticato. Tutte compagini politiche che tirano i fili del grande burattinaio di Mosca, che provano a spingere verso la vecchia Russia la bilancia di un Continente che non conta nulla. In crisi perenne, addormentato e disilluso, capace di perdere quel bastimento carico di milioni che si chiama Recovery Plan. Mai unito come dovrebbe essere, pronto a veder passare Bratislava sotto la sfera d’influenza dalla quale si era staccata oltre trent’anni fa. Le speranze di europeisti e liberali appese a Sulík e Šimečka? Difficile a dirsi, ancor meno a vedersi. L’impressione è che la disinformazione abbia vinto e non sarebbe nemmeno la prima volta. Cosa resta? Qualche mese aggrappati al totem Čaputová, dopodichè si attenderà l’elenco dei candidati ufficiali. Si vocifera che Robert Fico abbia già fatto sapere che, in caso di sconfitta elettorale, potrebbe tornare in corsa per la presidenza. Di Korčok abbiamo già detto, il resto è una nuvola grigia di dubbi, timori e inquietudini che aleggia sopra il duomo di San Martin. Mentre Heger e il vecchio premier Dzurinda litigano per un pugno di voti, spaccando il fronte pro UE, la Slovacchia è pronta a tornare a stringersi nell’abbraccio mortale di Smer. Mandando al diavolo cinque anni di proteste pacifiche e il ricordo di due giovani innamorati, morti perché colpevoli di fare il loro lavoro, dentro un Paese che credevano migliore di quanto, forse, è veramente.