Fine dell’Europa?

di Dario Rivolta *

Chi sta riuscendo a distruggere veramente quel poco che abbiamo di unità europea non sono né il giullare Boris Johnson né il demagogo Matteo Salvini. I responsabili della fine dell’Unione Europea che verrà sono i leader (sic!) dei cosiddetti “Paesi del Nord”, e cioè in primo luogo la Germania e l’Olanda.
Tutta l’Europa è oramai orfana di veri leader poiché tutti mancano della qualità sottesa al termine “leader”: essere una ”guida” per il proprio popolo. Ci ha provato e ci sta provando Macron, ma anch’egli, pur parlando da leader europeo, è poi stato costretto a piegarsi alle spinte demagogiche e scioviniste del suo Paese e alla solitudine che lo circonda dentro e fuori i suoi confini.
La cancelliera Merkel, di cui mai sono stato ammiratore, ha la maggiore responsabilità di ciò che oramai si annuncia essere il fallimento dell’Unione. La sua colpa è maggiore di quella di ogni altro primo ministro europeo perché si trova essere a capo del Paese che è contemporaneamente il più popoloso ed il più ricco del continente. Se in Germania fossero ancora esistiti degli Schmidt, o almeno dei Kohl, Berlino avrebbe veramente potuto porsi a guida di un processo di integrazione che era e resta l’unico modo per i nostri popoli per poter ancora contare qualcosa nel panorama politico mondiale. Questa tedesca ex comunista pur di mantenere il proprio personale potere il più a lungo possibile ha assecondato i sentimenti più egoistici sul breve termine, e quindi stupidi, dei tedeschi. Un vero capo politico, una “guida”, non è colui che asseconda le “pance” del proprio popolo ma colui che sa guardare lontano e sa farsi seguire dai suoi elettori sollecitando la loro razionalità e ottenendone la fiducia grazie a credibilità e carisma personali.
Purtroppo anche noi italiani, dopo l’eliminazione di Craxi e di pochi altri veri leader che l’hanno accompagnato o preceduto sulla scena politica, non abbiamo più avuto alcuno che fosse veramente degno di guidare il Paese nei lunghi percorsi e di farsi rispettare a livello internazionale. Per un momento sembrò che potesse esserlo Berlusconi grazie a una indubbia intelligenza e al suo carisma. La sua vita di imprenditore e la sua capacità comunicativa l’avevano fatto apparire a molti italiani come un vero uomo di stato. Non fu così e l’uomo si dimostrò troppo restio a cogliere la differenza che esiste tra il guidare una azienda e un Paese. Fino a quando, resosene conto lui stesso, abdicò di fatto all’inetto Letta il ruolo politico per dedicarsi soprattutto ai propri divertimenti privati
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Mario Draghi.

Gli olandesi e i tedeschi non possono non essere consapevoli che nel mondo della globalizzazione saranno solo le economie di scala politiche a consentire a loro stessi di continuare a giocare un ruolo importante nel mondo. Eppure non fanno nulla per favorire un salto di qualità verso una maggiore e vera integrazione europea. Anzi! Il loro rifiuto (passato e perfino presente) nei confronti degli eurobonds non è una pura questione finanziaria: è una questione politica. In un momento eccezionalmente critico come l’attuale, mentre tutti sappiamo che questa epidemia da coronavirus porterà un colpo che potrebbe essere mortale per le economie di molti Paesi, il loro rifiuto di un atto intelligente e necessario richiamato anche dall’ex governatore della Bce Mario Draghi avrà conseguenze non solo economiche sul futuro dell’Unione Europea.
Non mi sfuggono le diffidenze che possono nutrire i Paesi con un bilancio pubblico sano nei confronti di uno Stato come il nostro che da decenni non riesce a ridurre il proprio deficit e lo aumenta costantemente. Capisco che il primo istinto che verrebbe a un qualunque individuo sarebbe quello di intervenire con aiuti solamente controllando l’uso che se ne farà. Tuttavia mi è altrettanto chiaro che un comportamento comprensibile e forse giustificabile nel comportamento di un cittadino qualunque non lo è altrettanto se si tratta di chi ha un incarico politico di rilievo che l’obbligherebbe a saper guardare lontano.

In assenza di un governo sovranazionale democraticamente rappresentativo di tutti, la pretesa di utilizzare un Fondo Salva Stati (MES) subordinandolo ad un controllo da parte di Paesi presunti “virtuosi”, in pratica la Germania, ricorda di più le ambizioni coloniali del passato piuttosto che la volontà di offrire un vero aiuto. Un controllo da parte di Berlino o suoi emissari su come debbano essere utilizzati i fondi che eventualmente arrivassero in Italia fa nascere il giustificato sospetto (lanciato da economisti e politici nostrani) che l’intenzione finale sia quello di smontare il nostro Paese pezzo per pezzo impadronendosi dei nostri “gioielli” e lasciando deperire tutto il resto. D’altra parte abbiamo sotto gli occhi cosa successe alla Grecia: dapprima furono garantiti i crediti delle banche francesi e tedeschi utilizzando i denari di tutti gli altri Paesi europei, poi la Germania procedette attraverso il ricatto a spolpare quanto di buono fosse rimasto nelle mani dei poveri greci.
Ben diversamente starebbero le cose se almeno fossimo tutti parte di una Federazione Europea garantita da un organo sovranazionale democraticamente eletto e ci fosse la certezza che si abbia a cuore allo stesso modo tutti i Paesi suoi componenti. Purtroppo ne siamo molto lontani e, come dimostrano i comportamenti di questi giorni e del recente passato, i più ricchi si arricchiscono sempre di più alle spalle dei più deboli.

Non sono un ammiratore dell’attuale presidente del Consiglio Giuseppe Conte e lo ritengo politicamente insignificante. Non posso tuttavia che plaudire a lui per l’atteggiamento tenuto sinora nei confronti delle altrui pretese in merito al MES. Apprezzo anche che con lui si siano schierati la Francia di Macron, la Spagna, l’Irlanda, il Belgio, il Portogallo, il Lussemburgo e la Slovenia. Se quanto riferito è corretto, penso anche che abbia fatto bene a dare una specie di “ultimatum” affermando che, se entro dieci giorni i “Paesi del Nord” non si dovessero dare disponibili all’istituzione di aiuti senza condizioni, “l’Italia farebbe da sola”. Non sarà facile ma sono sicuro che in questo caso, e senza retorica, “ce la faremo!”. Resta però evidente che qualora in momenti così drammatici ognuno dovesse pensare a sé stesso molti cominceranno a domandarsi a cosa serva l’Unione Europea e che utilità abbiano la Commissione e il Parlamento europeo. Aumenterà allora, e di molto, la possibilità che l’esempio britannico si moltiplichi, portando alla totale dissoluzione di un sogno che ci stava accompagnando dal 1957.
Spero che Conte sappia mantenersi fermo nelle sue posizioni e che, per il bene dell’Europa futura, anche i “non leader” europei imparino a superare l’egoismo del momento e diventare finalmente lungimiranti.

Dario Rivolta.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.