Gas: chiudere alla Russia per sottostare al dominio Usa

di Dario Rivolta * –

È comprensibile che un qualunque governo di fronte a un accadimento o a una decisione inevitabile che porterà conseguenze negative per tutta la popolazione, cerchi di evitare la diffusione di paure o panico tra i suoi cittadini. In quei casi, “indorare la pillola” può costituire il minore dei mali e perfino qualche spudorata menzogna può essere indispensabile per evitare conseguenze peggiori. Perfino in una democrazia, se chi gestisce temporaneamente il potere non può evitare che quell’evento succeda o che tale decisione sia presa, deve poter mentire a fin di bene. Diverso, e non altrettanto accettabile, sarebbe il caso di quei governi che prendono decisioni sbagliate o addirittura controproducenti e poi raccontano falsità per coprire i propri errori. Molto spesso sarà solo la storia a poter dare un giudizio di merito su quei comportamenti e a valutare se scelte diverse sarebbero state di miglior beneficio o se quanto fatto e detto fosse stato davvero la soluzione ottimale.
Purtroppo, guardando alla crisi energetica in corso che colpisce (soprattutto) l’Europa e che sta portando verso la strada della sua possibile de-industrializzazione, il dubbio che le scelte fatte dai governi europei e le rassicurazioni che dispensano fanno sorgere più di un dubbio sulla saggezza dei nostri governanti. È indubbio che gli aumenti dei prezzi dell’energia abbiano cominciato a lievitare anche a causa del Covid-19 e di quello che ne sta seguendo, ma è altrettanto certo che le decisioni di porre sanzioni alla Russia per il suo comportamento verso l’Ucraina abbiano di molto peggiorato la situazione e preludano a una crisi energetica di lunghissimo periodo. Non è ora il caso di ritornare sulla questione di chi sia stata la maggiore responsabilità nella decisione russa di invadere proditoriamente l’Ucraina perché se ne è già scritto in precedenza. E’ invece il momento di considerare quanto ci sia di vero nelle affermazioni che il gas russo sia sostituibile a breve termine e se le riserve dello stesso in nostro possesso siano sufficienti ad affrontare il periodo invernale.
Innanzitutto rendiamoci conto, una volta per tutte, che il gas liquefatto e poi re-gassificato costa e costerà sempre molto di più di quello che arriva tramite tubazioni. La ragione è semplice: il secondo arriva nelle nostre centrali nelle industrie e nelle case già pronto per l’Uso e la posa delle tubazioni internazionali è già stata ammortizzata. Quello liquefatto, al contrario, per essere utilizzato deve passare attraverso tante lavorazioni. Se poi la sua origine non è una riserva naturale bensì lo si ottiene via fracking occorre allora considerare anche gli enormi danni ambientali necessari per averlo. Una volta disponibile, sono necessari impianti appositi per sottoporlo a trattamenti di depurazione e disidratazione e solo in seguito lo si può liquefare portandolo a meno 160 gradi celsius. Fatto ciò, si deve caricarlo su particolari navi refrigerate che ne mantengano la temperatura fino a destinazione. Infine, lo si potrà scaricare presso le strutture riceventi che lo riscalderanno adeguatamente per farlo tornare gassoso e poterlo immettere nella locale rete di distribuzione. Tutto questo processo è molto più delicato e tecnologico di quanto possa sembrare a prima vista poiché il gas liquido è molto più infiammabile di quello gassoso e, in tutti questi passaggi, un cambiamento di temperatura non previsto e incontrollato potrebbe causarne l’esplosione o provocare ingenti danni ambientali. Nel 1984, in un sobborgo di Città del Messico (San Juanico) la fuoriuscita da uno o due serbatoi sferici da 1.600 metri cubi in un deposito di gas liquefatto fu seguita da incendi ed esplosioni anche dei serbatoi cilindrici e causò la morte di circa 500 persone e 7000 feriti nelle abitazioni dell’area limitrofa. Le tecniche conosciute attualmente hanno ridotto al minimo i rischi di incidenti ma tutte le misure necessarie hanno un costo elevato (le navi non sono semplici navi cisterna come per il petrolio, ma necessitano di doppio scafo e di altre precauzioni. Ugualmente avviene per le strutture di partenza e di arrivo). È quindi naturale che, oltre al prezzo del trasporto, si mettano in conto anche tutte queste misure.
È inoltre bene sapere che oggi non ci sono molte navi già adatte alla bisogna e vanno costruite. La sola Cina ha ordini in portafoglio per circa il cinquanta percento delle navi in cantiere in tutto il mondo. Il tempo per fabbricare una nave gasiera è minimo di due anni e il noleggio di una nave da almeno 170mila metri cubi già disponibile sulla rotta atlantica arriva attualmente a 397.000 dollari americani (all’inizio dell’estate era “solo” di 75.000 dollari).
Costi a parte, consideriamo, comunque, il gas come già arrivato. Dove scaricarlo? E quanto siamo in grado di riceverne e trattare?
I rigassificatori italiani in funzione sono per ora tre: Porto Viro, in provincia di Rovigo è il GNL Adriatico, con una produzione annua di 8 miliardi di metri cubi di gas; Panigaglia, in provincia di La Spezia ha una produzione annuale di 3,5 miliardi di metri cubi e una nave tra Livorno e Pisa vanta una capacità annuale di 3,7 miliardi di metri cubi. Un quarto è in discussione a Piombino: si tratterebbe di una nave che opererebbe dalla banchina per tre anni e sarebbe poi spostata in mare aperto. Questa potrebbe arrivare a produrre circa 5 miliardi di metri cubi, sempre che il progetto vada a finire positivamente, viste le contestazioni locali. Secondo l’ex-ministro Cingolani, con l’attivazione dell’impianto di Piombino noi avremmo ridotto dal 39 al 20% del nostro fabbisogno la nostra dipendenza dal gas russo e nella seconda metà del 2024, tramite due ulteriori ri-gassificatori, potremmo esserne totalmente indipendenti. Badate bene: non ora, bensì tra circa due anni! E nel frattempo? Ovviamente dovremo continuare a importarne dall’odiato Putin. Tuttavia cosa succederebbe se i russi per ritorsione interrompessero le forniture? Beh, allora saremmo davvero nei pasticci!
I nostri politici ci tranquillizzano dicendoci che abbiamo le scorte già vicine al 100% della loro capacità e questa potrebbe essere una notizia che dovrebbe fugare ogni paura. Invero, la lungimiranza della nostra SNAM e dei precedenti governi ci hanno messo in condizione di avere la maggior capacità di stoccaggio di tutta l’Europa. Per dare un esempio, Cipro, Estonia, Finlandia, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo e Slovenia non hanno alcun deposito. Purtroppo però, anche nel nostro caso, le rose ci sono ma sono meno brillanti di quanto ci viene raccontato. Infatti, quel che non si dice (o forse i nostri politici sembrano non saperlo. O lo tacciono volutamente) è che per mettere in rete il gas dai depositi è necessario utilizzare il gas proveniente dai tubi di superficie e, senza di esso, avere o non avere i depositi pieni è la stessa cosa. Infatti, per creare la necessaria pressione affinché il gas sia distribuito nella rete nazionale è necessario intervenire subito allo sbocco dai magazzini. Ciò viene normalmente fatto grazie alla pressione già esistente data dal gas in arrivo attraverso i tubi internazionali con una percentuale che, all’incirca, potrebbe corrispondere al 10% del totale (cioè: su cento, novanta è già nei tubi e 10 viene dagli stoccaggi). Il gas naturale immagazzinato non può essere massicciamente immesso in una conduttura vuota perché il differenziale di pressione lo farebbe immediatamente espandere e congelare, intasando così gli stessi tubi. Pensare che senza l’aiuto del gas naturale che scorre nei gasdotti le riserve possano sostituirlo è una pura illusione. Per farlo uscire dai depositi e immetterlo in rete occorre dargli una giusta pressione e se lo si volesse fare con altri gas o in qualunque altro modo, lo si diluirebbe in modo tale da non renderlo più correttamente utilizzabile dai vari consumatori.
Va comunque precisato che anche i volumi di gas presenti nei vari depositi non possono mai essere utilizzati completamente poiché una parte di quel gas serve per mantenere la dovuta pressione all’interno. Infatti la pressione interna dei siti deve costantemente essere controllata per evitare incidenti di vario genere, tipo esplosioni o dispersione. Una certa percentuale di gas contenuto va comunque perduta a causa di fessure, attrito, porosità o permeazione delle “caverne” che lo contengono.
In Italia, sempre per una lungimiranza del passato, abbiamo gasdotti che arrivano anche dall’Algeria, dalla Libia e (recentemente) dall’Azerbaigian e quindi non dovremmo avere problemi all’utilizzo degli stoccaggi. Non è la stessa cosa per i tedeschi che hanno contato sempre e soprattutto sul gas russo a buon mercato e continuo nelle forniture. Per loro, che pure hanno in vista la costruzione di sei ri-gassificatori (non ne avevano nemmeno uno) e hanno comunque i loro depositi per l’inverno, se non ci sarà il gas tradizionale, anche quegli stoccaggi saranno praticamente inutilizzabili. Gli attentati contro le tubazioni di North Stream Uno e Due fanno realmente correre ai tedeschi un rischio di de-industrializzazione perfino molto maggiore di quello cui andiamo incontro noi. Se, tuttavia, tutta la quantità globale necessaria all’Europa e alle sue industrie si potrà reperire in un modo o nell’altro, il problema sono gli enormi aumenti di costo per la nostra energia. Aumenti che Paesi produttori, o che continueranno a riceverne solo via tubi, non soffriranno nella stessa dimensione. È facile immaginare il livello della futura competitività delle merci europee sul mercato internazionale.
Per concludere, nessuno può non condannare l’invasione armata russa di uno Stato straniero, così come nessuno può far finta di non aver visto le angherie (e i colpi di artiglieria) cui sono stati sottoposti i russi etnici di Ucraina e l’”abbaiare” della NATO contro la Russia (citazione da Papa Francesco). Vorrei però chiudere citando il ministro francese dell’economia Bruno Lemaire, il quale ha avvertito che non dovrebbe essere permesso agli Stati Uniti di dominare il mercato mondiale dell’energia mentre la UE soffre
sola delle conseguenze del conflitto in Ucraina. Lo stesso Lemaire ha precisato: “Il conflitto in Ucraina non deve finire col il dominio economico americano e un indebolimento della Ue”.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.