Geopolitica alimentare: lo scontro ideologico sul Food System Summit

Mentre Roma si accinge ad ospitare dal 26 al 28 luglio il pre-incontro del Food Systems Summit delle Nazioni Unite, si è rianimato lo scontro ideologico sui modelli produttivi dell’agricoltura e dell’alimentazione. Sarà difficile ricomporre le polarizzazioni tra i sostenitori dell’“agricoltura sostenibile” più integralista e i difensori dell’industria agro-alimentare hi-tech. Forse, al di là dello scontro ideologico, sarebbe meglio confrontarsi su progetti concreti e su ciascuno di questi valutare in che misura sono posti effettivamente al centro del sistema la persona e l’ambiente, in poche parole, il futuro dell’umanità.

di Maurizio Delli Santi * –

Roma continua ad essere al centro di importanti iniziative internazionali, visto che insieme agli impegni del turno di presidenza italiana del G20 si accinge ad ospitare dal 26 al 28 luglio il pre-summit dell’UN Food Systems Summit – UNFSS, il vertice mondiale sui sistemi alimentari. Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha deciso di convocarlo nel settembre 2021 a New York, in concomitanza con l’assemblea generale delle Nazioni Unite. L’obiettivo del summit è quello di tracciare una governance globale sull’agricoltura e sull’alimentazione di fronte alla emergenza della denutrizione e in generale degli squilibri alimentari, un contesto di criticità strettamente connesse ai modelli attuali della produzione agro-alimentare, che peraltro incidono anche sugli aspetti più generali della crisi climatica e della salute globale.
Secondo i dati ufficiali delle Nazioni Unite e della Fao negli ultimi cinque anni si è registrato un incremento di 60 milioni di persone in condizioni di insufficiente alimentazione, con una popolazione mondiale che ha quindi raggiunto la quota di 820 milioni di individui che soffrono la fame, con la drammatica contraddizione di avere da un lato un quarto della popolazione infantile che soffre di arresto nella crescita e dall’altro 1,9 miliardi di persone adulte in sovrappeso.
Un primo significativo approccio ai temi del pre-summit c’è stato già al G20 di Matera, dove l’Italia insieme ai temi della carbon neutrality 2050, dello sviluppo sostenibile e della transizione verde, ha declinato una visione più generale con altri target strategici: la sicurezza alimentare, il miglioramento della nutrizione, lo sviluppo di un modello agricolo sostenibile, il tutto con l’obiettivo finale “Zero fame nel 2030”. E in questo scenario la presidenza italiana del G20 ha voluto suggellare la sua strategia sullo sviluppo globale con la Dichiarazione di Matera, “crocevia di importanti decisioni a livello globale”, richiamando in particolare il ruolo della “Food Coalition” e il principio “One Health”, approcci sui quali è opportuno soffermarsi.
La Food Colalition è un’iniziativa promossa dall’Italia nell’ambito della FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations, con sede a Roma) un anno fa con l’idea “non solo di proporre un nuovo modo di rispondere alla pandemia, per evitare che la crisi sanitaria si trasformasse in crisi alimentare, ma soprattutto di costruire una coalizione globale per raggiungere l’Obiettivo Fame Zero entro il 2030 e costruire un mondo post-pandemia resiliente e sostenibile”. In particolare la Food Coalition è stata “concepita come un’alleanza non solo tra Paesi, ma aperta alle organizzazioni internazionali e della società civile, alle università e al settore privato”. L’Italia vi partecipa con un primo contributo di un milione di euro, a cui si aggiungeranno altri due milioni.
L’approccio “One Health” è un principio-guida individuato dalla FAO, che nella sostanza ritiene che la salute globale vada preservata assicurando una visione definita esplicitamente “olistica”, in cui sono un tutt’uno sicurezza umana, animale e ambientale. In altri termini, occorre garantire un approccio One Health “nell’anticipare, prevenire, rilevare e controllare le malattie che si diffondono tra gli animali e gli esseri umani, affrontare la resistenza antimicrobica, garantire la sicurezza alimentare, prevenire le minacce alla salute umana e animale legate all’ambiente e combattere molte altre sfide”. Da qui la necessità di elaborare azioni di indirizzo e sostegno nelle politiche agricole e alimentari nei seguenti ambiti/obiettivi: agricoltura sostenibile, resistenza antimicrobica (AMR), salute di animali e piante, pesca sostenibile e accesso ai mezzi di sussistenza. L’approccio One Health è ritenuto dalla FAO “fondamentale” per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.
In questa prospettiva i lavori del G20 di Matera hanno tuttavia posto in evidenza gli effetti della pandemia anche sulla sicurezza alimentare globale, che tra l’altro sarà oggetto del G20 Agricoltura in programma a Firenze il 19-20 settembre. In particolare, come è stato sottolineato dal vice direttore della FAO, l’italiano Maurizio Martina (già ministro delle politiche agricole e alimentari), occorre porre urgente rimedio alle distanze e ai rallentamenti che inevitabilmente ora si sono determinati sul percorso dell’Agenda sullo sviluppo sostenibile, in cui in particolare il raggiungimento dell’obiettivo “Zero fame” entro il 2030 potrebbe essere compromesso.
Ma mentre si avvicina la data del pre-summit di Roma c’è qualcosa di molto serio che rischia di pregiudicare il valore di questo importante appuntamento sulla governance globale delle politiche agro-alimentari. Si tratta di un pesante scontro ideologico che ha visto varie associazioni internazionali impegnate sui temi dell’agricoltura, dell’alimentazione e dell’ambiente esprimersi senza mezzi termini e in aperto contrasto con la leadership attuale del Summit voluto dalle Nazioni Unite e dalla FAO, che è stata accusata di sostenere le posizione dell’industria alimentare piuttosto che gli interessi delle popolazioni rurali e dei singoli coltivatori.
Un manifesto vero e proprio di non adesione al Food Systems Summit è stato proclamato dall’organizzazione Slow Food di Carlo Petrini, insieme al Civil Society Mechanism (CSM), il foro delle varie rappresentanze della “società civile” esterne che interloquiscono con la FAO e le Nazioni Unite, e a molte altre organizzazioni che hanno quindi deciso di rifiutare qualsiasi coinvolgimento formale nel vertice Onu.
Secondo tali associazioni, l’evento promosso dalle Nazioni Unite sarebbe di fatto una manifestazione di “corporate capture” delle multinazionali dell’agricoltura intensiva hi-tech, una prassi con cui “l’industria privata esercita la sua influenza politica per prendere il controllo dell’apparato decisionale degli Stati, come le agenzie di regolamentazione, gli enti che applicano la legge e i governi”. Sarebbe dunque evidente il rischio che questa influenza si traduca in “leggi e politiche di cui beneficiano le corporations, mentre spesso l’ambiente, le persone a basso reddito e le comunità etniche risultano danneggiate”. Per le associazioni contrarie al summit, non vi sarebbero dunque le condizioni perché il vertice garantisca “il rispetto dei diritti”, “multilateralità e inclusività”, atteso peraltro che la convocazione non è avvenuta come nei casi precedenti ad iniziativa degli Stati “garanti dei diritti individuali”.
In particolare ad avviso del gruppo ostile al summit, il vertice del 2021 sarebbe stato convocato con una decisione unilaterale del segretario Guterres poco dopo aver firmato l’accordo di partenariato del 2019 con il World Economic Forum, l’organizzazione internazionale per la cooperazione tra pubblico e privato che ogni anno si riunisce a Davos. Inoltre anche la nomina dell’inviato speciale del segretario generale delle Nazioni Unite all’UNFSS 2021 sarebbe discutibile: si tratta di Agnes Kalibata, attuale presidente dell’Alliance for a green revolution in Africa (AGRA), un ente fondato nel 2006 e sostenuto dalla Fondazione Bill e Melinda Gates e dalla Fondazione Rockefeller, che “promuove un’agricoltura intensiva, fortemente orientata all’industrializzazione del settore primario”, e che “vede l’Africa come un mercato (ancora non sfruttato) ideale per i soggetti privati che detengono monopoli in fatto di sementi commerciali, colture geneticamente modificate, fertilizzanti sintetici come combustibili fossili e pesticidi”.
Da qui dunque l’invito, cui avrebbero aderito oltre 550 organizzazioni, a “sfidare l’UNFSS” contro i “tentativi delle corporations di cancellare i diritti umani, distruggere territori e comunità, sottrarre spazi democratici per interessi privati.”
E alla polemica non poteva sottrarsi la voce di Vandana Shiva, la leader dell’International Forum on Globalization, che ha messo in guardia gli organizzatori del Food Summit 2021 dal rischio di essere fagocitati dalle “logiche di avidità” dell’agricoltura industriale, che avvalendosi anche dei nuovi processi dell’informatica e della biotecnologia “aggredisce la biodiversità”, acquisisce con il sequenziamento genetico brevetti sui semi frutto della conoscenze delle popolazioni indigene e come tali “beni comuni”, e infine “immette sul mercato prodotti alimentari tossici, vuoti dal punto di vista nutrizionale e ad alta intensità chimica”.
In sostanza, si è riproposto in termini assai difficili da ricomporre lo scontro ideologico che vede contrapposto il modello di un’“agricoltura sostenibile” a quello dell’industria agro-alimentare, accusato quest’ultimo di dare poca attenzione alla qualità dell’alimentazione, alla sostenibilità ambientale e alla tutela dei diritti dei lavoratori della terra.
Ma è a tutti noto quanto sul punto il dibattito sia ancora aperto, e trovi argomenti suggestivi e autorevoli da entrambe le parti, anche rispetto ad altri risvolti, quali l’incidenza dell’allevamento intensivo di bestiame causa di emissioni di C02 non più sostenibili, e quindi i temi della transizione verde e dei suoi effetti occupazionali ed economici in generale, del land grabbing ad opera di multinazionali o di potenze straniere con mire espansionistiche come la Cina, o anche dell’agricoltura biologica, oggi al centro di una iniziativa legislativa in Italia che vorrebbe privilegiarla maggiormente rispetto all’agricoltura convenzionale.
Ritornando alle posizioni di Vandana Shiva un esempio di valutazioni differenti si rinviene nella scuola di pensiero sorta attorno al premio Nobel per la pace Norman Borlaug, il padre della “Rivoluzione Verde”. Questi, pur condividendo l’idea di contrastare le ingiustizie e le difficoltà di accesso al cibo nei paesi poveri, ha evidenziato che senza un aumento delle rese realizzato con l’innovazione nell’agricoltura ed un uso più efficiente della terra non è possibile rispondere sufficientemente ai problemi di nutrizione del pianeta né tantomeno proteggere l’ambiente. Da qui l’accusa ai sostenitori delle tesi anti-globaliste e anti-capitaliste dei modelli di “agricoltura sostenibile” più integralisti di non riconoscere gli effetti positivi che invece proprio il modello imprenditoriale dell’agricoltura avrebbe dato allo sviluppo dell’occupazione sull’intera filiera agroalimentare, al miglioramento del reddito e delle condizioni di vita degli agricoltori, alla ricerca qualitativa sulle produzioni, e per ultimo a favorire anche la lotta alla denutrizione con la realizzazione di prodotti alimentari più accessibili e a basso costo finale di acquisto.
Ad oggi è difficile prevedere come potrebbe evolvere il confronto fra le due posizioni, ed è piuttosto verosimile che il Food Systems Summit vada avanti per la sua strada, anche a costo di non vedere la partecipazione di una importante rappresentanza della “società civile”, che comunque ha già annunciato manifestazioni di protesta a latere del vertice di Roma.
D’altro canto l’“uomo qualunque” non può che rimanere confuso e sconcertato di fronte a questo dialogo tra sordi, mentre l’ultimo schiavo della terra delle sperdute lande africane o asiatiche non trarrà certo immediato beneficio da questo irrisolto confronto tra sostenitori dei massimi sistemi.
Sarà dunque necessario compiere un grande sforzo da entrambe le parti se si vuole guardare concretamente al benessere dell’umanità, perché la polarizzazione delle posizioni su questi temi non produce vantaggi per nessuno dei contendenti: la cooperazione e il multilateralismo valgono soprattutto per il confronto delle idee e i forum internazionali proprio a questo dovrebbero servire.
Intanto un segnale di apertura alle critiche ricevute, o quanto meno una posizione che non potrà essere accusata di essere esclusivamente rivolta a tutelare le posizioni dell’industria alimentare, è venuta da alcune componenti che hanno aderito al Food Systems Summit. È il caso dei percorsi, richiamati in un’intervista del vice direttore della Fao Martina, che hanno visto protagonista una importante associazione agricola italiana con 1,6 milioni di iscritti come Coldiretti e alcune associazioni di farmer market americane e ghanesi che hanno inteso dare vita a una rete internazionale di cooperazione. L’iniziativa intende affermare il modello organizzativo dei farmer market che si è rilevato efficace per sostenere il reddito di agricoltori e pescatori che hanno potuto vendere direttamente i loro prodotti in una situazione di emergenza come la pandemia. 
Altri progetti che saranno presentati al Food Systems Summit riguardano un’iniziativa dalla UNIDO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale, che insieme al Future food institute di Bologna sta sviluppando uno specifico modello sostenibile di “agricoltura mediterranea” con la collaborazione di altri centri spagnoli, algerini e marocchini, mentre un altro modello significativo di cooperazione nelle produzioni agroalimentari portato ad esempio sarà quello sviluppato nel quadro degli accordi di pace tra Israele e Marocco.
Forse è proprio questo l’approccio su cui l’attuale leadership del Food Systems Summit potrebbe ancora lavorare al vertice di Roma, per far riconsiderare le mancate adesioni e le dispute sui modelli agroalimentari.
Le posizioni ideologiche sul tema sono importanti e non vanno sottovalutate, anzi vanno favorite le occasioni per farle manifestare nelle sedi e nei modi più ampi e diffusi.
Ma poi, quand’anche le posizioni rimanessero divergenti, sarà bene ragionare su elementi oggettivi, progetti concreti, e dimostrare per ciascun modello adottato in che misura sono posti effettivamente al centro del sistema la persona e l’ambiente, in poche parole, il futuro dell’umanità.

* Membro dell’International Law Association, dell’Associazione Italiana Giuristi Europei e della Associazione Italiana di Sociologia).