Haftar in rotta, ora è lui a volere il cessate-il-fuoco. Ma per Tripoli non se ne parla

Cancellerie e diplomazia al lavoro, “serve la soluzione politica del conflitto”.

di Mohamed Ben Abdallah

Le forze del generale dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) Khalifa Haftar continuano a perdere terreno in Libia, ed i regolari sostenuti dai militari turchi e dai vari gruppi tribali dell’ovest sono ormai penetrati nella città di Sirte. Dopo aver preso il controllo della base militare di al-Watiya, da dove partivano aerei e droni per bombardare Tripoli, quello di Sirte è un altro importante obiettivo strategico per le forze del Governo riconosciuto dalla comunità internazionale, ed il prossimo potrebbe essere la base di di al.Jufra, dove vi sono 14 fra Mig-29 e Su-24 procurati dalla Russia e prontamente riverniciati.
Quello russo, come pure le molte armi procurate ad Haftar dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Egitto, nonché i 1.200 mercenari della compagnia privata russa Wagner e le migliaia di combattenti ciadiani e sudanesi (questi spesso portati in Libia con l’inganno) hanno costi esorbitanti che il generale, avendo mancato l’obiettivo di prendere Tripoli e di mettere le mani sulla Banca centrale libica, non può sostenere. E di certo non bastano i soldi falsi fatti stampare in Russia, di cui una parte intercettata di recente dai militari maltesi.
Fatto sta che Haftar, proclamatosi rais dopo l’annullamento della Camera dei rappresentanti, si è detto oggi disponibile a quella tregua che per anni ha respinto con supponenza: sabato si era recato in Egitto con l’ex presidente della ex Camera dei rappresentanti, Aqila Saleh, e nell’incontro con il presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi era saltata fuori la disponibilità al cessate-il-fuoco riconoscendo “tutti gli sforzi internazionali per risolvere la crisi libica nel quadro politico”, l’accettazione dell’espulsione dal paese nordafricano delle migliaia di mercenari e la restaurazione del “5+5”, il tavolo permanente di cinque alti ufficiali per parte stabilito alla Conferenza di Berlino.
Si noti che i molti summit di questi anni, da Skhirat a Palermo, da Parigi a Roma ed altro per arrivare a quello di Berlino chiedevano la sospensione delle ostilità “per risolvere la crisi libica nel quadro politico”, ma Haftar ha sempre risposto picche mettendo in campo un’ampia offensiva che ha portato la guerra fino nei quartieri di Tripoli.
Troppo tardi. Il governo di Accordo nazionale libico, guidato da Fayez al-Sarraj ha respinto l’iniziativa di al-Sisi e di Haftar, ed il portavoce delle forze militari di Tripoli, Mohammed Gununu, ha fatto sapere che il governo “non ha tempo per guardare le assurdità di Haftar in tv”, ed ha sentenziato che “Non abbiamo iniziato questa guerra, ma ne vedremo la data e il luogo della fine”.
Dello stesso avviso il presidente dell’Alto consiglio di Stato di Tripoli, Khalid al-Mishri, per il quale è “inaccettabile” l’intromissione egiziana, ed è esclusa “la presenza di Haftar nei prossimi negoziati politici”. Anzi, ha aggiunto che Haftar “dovrebbe arrendersi ed essere processato da un tribunale militare”.
Tra i vari errori commessi da Haftar vi è certamente quello di essersi affidato alla Russia, cosa che gli è costato l’appoggio politico degli Usa. Non bisogna infatti dimenticare che Haftar era un uomo degli Usa, anche perché durante la guerra contro il Ciad del 1987, la cosiddetta “Guerra delle Toyota”, il generale fu fatto prigioniero salvo poi essere prelevato dalla Cia e portato negli Usa fino al 2011, quando comparve per guidare la piazza di Bengasi contro Gheddafi. Con passaporto statunitense in tasca, negli Usa abitava a Langley, ad un chilometro dalla sede della Cia, ha passaporto statunitense e persino per la sua offensiva del 4 aprile di un anno fa Haftar aveva ricevuto il via libera da Washington, con un Donald Trump che, secondo Bloomberg, aveva dato il suo ok via telefono.
I tripolini sono quindi determinati ad andare fino in fondo, ma le cancellerie internazionali continuano a puntare sul cessate-il-fuoco e sulla soluzione politica della crisi, anche perché diversamente la Libia farebbe la fine della Siria, instabile politicamente e con gruppi perennemente sul piede di guerra. Di certo in queste ore stanno aumentando le pressioni su al-Serraj, ed il premier italiano Giuseppe Conte si è sentito al telefono con al-Sisi per ribadire “la necessità di un tavolo negoziale”, una linea sostenuta dall’Unsmil, dagli Usa e dall’Ue.
Intanto, mentre alla base di al-Jufra cominciano gli scontri tra i regolari e le forze del generale ribelle, la Compagnia petrolifera libica (Noc), ha ripreso la produzione di greggio presso il giacimento di Sharara, nel Fezzan: la nota della compagnia riporta che “a seguito di lunghe trattative è stata riaperta la valvola di Hamada, che era stata illegalmente chiusa lo scorso gennaio”, quando “una milizia armata impedì un intervento delle squadre di manutenzione della compagnia”.

Khalifa Haftar con miliziani madahkilisti.