Hong Kong. Fine settimana di proteste e di scontri

di Gianni Sartori

Le manifestazioni antigovernative di questi ultimi giorni ad Hong Kong hanno visto episodi di violenza da entrambe le parti, cariche della polizia, strade bloccate dalle barricate, sassaiole, bottiglie molotov, incendi, lacrimogeni e persino un attivista pro-Perchino aggredire con un coltello i manifestanti presso il centro commerciale del quartiere Tai Koo Shing. Di quest’ultimo episodio si sa che l’aggressore avrebbe ferito 5 persone tra cui un attivista democratico, il consigliere distrettuale Andrew Chiu, a cui è stata mozzata una parte d’orecchio. Presso il centro commerciale era stata organizzata una lunga e pacifica catena umana, pa poi è scoppiato il caos, con gente che correva da tutte le parti.
Siamo arrivati ormai alla 23ma settimana di proteste, le quali hanno preso il via con il disegno di legge sull’estradizione delle persone sottoposte a processo, provvedimento poi ritirato.
Chi protesta oggi vuole denunciare l’evidente erosione in atto dell’autonomia di Hong Kong e di quel “un paese, due sistemi” promesso nel 1997, anno del passaggio del territorio dalla Gran Bretagna alla Cina. Già nel 2017 il Comitato permanente del Congresso del Popolo nazionale (Npc) aveva introdotto un sistema elettorale che prevede per l’elezione del capo del governo locale la scelta fra due o tre candidati ricavati da una rosa di nomi approvati da Pechino, ovvero “patriottici”, cosa che aveva scaturito la “protesta degli ombrelli” del 2014.
Divenuta colonia britannica dopo la Prima Guerra dell’Oppio (1839-1842), Hong Kong si espanse nel 1898 fino a comprendere il perimetro della penisola di Kowloon. In base ai trattati sarebbe rimasta britannica per 99 anni, com’è stato.
Amministrata come provincia speciale, è sede di uno dei principali centri finanziari internazionali. Conta 7 mln e mezzo di abitanti.