Il conflitto in Ucraina sposta gli equilibri nel Golfo Persico

di Silvia Boltuc * –

Dopo che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato il divieto alle importazioni di petrolio e gas russo come conseguenza dell’operazione militare in Ucraina, i prezzi del greggio sono aumentati notevolmente e l’Europa sta rischiando di non avere abbastanza gas per soddisfare la sua domanda interna.
In questo contesto, il presidente statunitense ha contattato i paesi del Golfo in cerca di una soluzione alla crisi energetica, ma le sue aspettative sono state disattese. Le monarchie del Golfo hanno risposto che non aiuteranno a mitigare l’aumento dei prezzi del petrolio a meno che Washington non sostenga il loro intervento in Yemen.
Le relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita si sono raffreddate sotto la corrente amministrazione statunitense. Riyadh è preoccupata per la finalizzazione dell’accordo sul nucleare iraniano e per lo scontro con Teheran nello scenario yemenita. Washington non solo non ha sostenuto l’intervento saudita nella guerra civile, ma aveva anche escluso gli Houthi dalla lista dei gruppi terroristici.
Durante la sua campagna elettorale, Biden ha affermato la sua volontà di approcciare il Regno Saudita come uno stato paria a causa delle sue preoccupanti violazioni in tema di diritti umani. Inoltre, sotto la sua amministrazione la CIA ha rilasciato file che hanno implicato la leadership di Riyadh nell’omicidio Khashoggi, incrinando ulteriormente le relazioni tra i due paesi.
Per far fronte alla crisi energetica, dopo anni di gelo gli Stati Uniti hanno aperto canali diplomatici con il Venezuela che possiede tra le maggiori riserve petrolifere al mondo. È verosimile che anche l’improvvisa accelerata nella finalizzazione del patto sul nucleare iraniano sia contestuale alla necessità di nuove rotte di approvvigionamento energetico e di stabilità nella regione. Tuttavia, la cooperazione con questi paesi potrebbe risultare più difficile del previsto. Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Venezuela sono tutti membri dell’OPEC + insieme alla Russia e hanno ribadito la loro conformità al format, rifiutandosi di venir meno all’alleanza con Mosca (non è un caso che la Germania si sia rivolta al Qatar per la cooperazione energetica, dato che il paese ha lasciato il formato Opec anni fa). In quest’ottica l’OPEC + ha rifiutato di aumentare la produzione di petrolio nonostante le richieste occidentali. È fondamentale sottolineare che tutti i paesi produttori di petrolio e gas stanno beneficiando del rialzo dei prezzi e non rinunceranno facilmente a questa leva geopolitica inaspettata acquisita in conseguenza alle sanzioni applicate alla Russia.
L’Iran potrebbe svolgere un ruolo significativo in questo scenario. Teheran da anni vive sotto sanzioni, condizione che in questo momento la rende particolarmente sensibile alla situazione russa. La Repubblica Islamica, infatti, non ha mai nascosto la sua insofferenza rispetto l’interferenza di potenze internazionali nelle questioni regionali e rispetto al meccanismo delle sanzioni.
Per quanto riguarda le esportazioni dal paese, il Ministro del Petrolio iraniano Javad Ouji, ha affermato che grazie al quartier generale anti-sanzioni e ai leader dei tre rami del governo, a seguito dell’insediamento dell’amministrazione Raisi, il paese ha mobilitato tutte le sue capacità per vendere petrolio e gas. Di conseguenza, nonostante le sanzioni, le esportazioni di condensati di gas sono triplicate o persino quadruplicate. Inoltre, il prezzo del petrolio è salito a un livello senza precedenti negli ultimi mesi, portando ad un miglioramento delle entrate in valuta forte del paese. Infine, le parti coinvolte nei colloqui di Vienna sembrano fiduciose che l’accordo sul nucleare sarà presto finalizzato e, all’indomani della crisi ucraina, l’Iran potrebbe diventare un prezioso fornitore di energia all’Europa, oltre che un mercato fertile per gli investimenti. Il fatto che l’approccio nei riguardi del paese sia cambiato è testimoniato non solo dalla ferma volontà dell’Occidente di ripristinare l’accordo sul nucleare, ma anche da alcuni accordi recentemente firmati da attori europei. Ne è un esempio il memorandum d’intesa firmato dal Micro Electronics Research Center of Iran (MERDCI) e l’azienda tedesca Dr Hegenbart Unternehmensberatung GMBH & Co. per collaborare nella produzione di pannelli e moduli solari.
In conclusione, la crisi ucraina che doveva segnare il collasso dell’economia russa e del suo ruolo leader in Eurasia, sta avendo dei risvolti inaspettati. Le sanzioni imposte sulle forniture energetiche di Mosca hanno fatto lievitare i prezzi del petrolio e messo in crisi l’approvvigionamento di gas da parte dell’Europa. I prezzi alle stelle del petrolio stanno favorendo i paesi esportatori del Medio Oriente, che hanno guadagnato una importane leva geopolitica nei confronti dell’occidente. Biden, in maniera forse poco lungimirante, ha raffreddato i rapporti con alcune potenze del Golfo, in primis l’Arabia Saudita, portando avanti una campagna elettorale fondata sui diritti umani. Se il riconoscimento del genocidio armeno ha indispettito la Turchia, le accuse rivolte verso il regno saudita in merito all’omicidio Kashoggi ed il mancato appoggio degli interventi in Yemen hanno irritato Riyadh. Lo stesso sentimento è condiviso da Iran e Venezuela, che hanno vissuto per anni sotto le sanzioni statunitensi. Qual’è il fil rouge che lega tutti questi paesi? sono tutti membri dell’OPEC + e la maggioranza di loro sono alleati della Russia ed hanno manifestato la loro vicinanza a Mosca anche dopo l’intervento in Ucraina. Ancor di più, il doppio standard applicato ai migranti ucraini ed alla guerra in Ucraina rispetto la non curanza per le crisi umanitarie nel mondo arabo, hanno esacerbato le posizioni di questi paesi contro l’Occidente. Infine gli Stati Uniti, con il ritiro delle truppe dall’Iraq in seguito a quello dall’Afghanistan, hanno ridotto progressivamente la loro presenza nel Golfo dove le alleanze non sono più forti come un tempo. Le posizioni di Teheran nel Golfo non aiutano la distensione dei rapporti. Il comandante della Marina del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), il contrammiraglio Alireza Tangsiri, ha recentemente sottolineato che i paesi musulmani della regione sono in grado di garantire la sicurezza nel Golfo Persico e le forze transregionali dovrebbero lasciare l’area il prima possibile. La compenetrazione delle economie di questi paesi non più dipendenti dal mondo occidentale, potrebbero rappresentare una minaccia per la sua leadership e potrebbero ragionevolmente ridurre alcuni degli effetti delle sanzioni applicate a Mosca.

* Articolo in media partnership con SpecialEurasia.