India. Modi incontra papa Francesco. Mentre nel suo paese i cristiani sono sotto attacco

di C. Alessandro Mauceri

Come altri leader presenti al G20 che termina oggi a Roma, anche il premier indiano Nerendra Modi ha approfittato della viaggio nella capitale per incontrare il pontefice.
Durante il breve incontro, il primo ministro indiano ha usato parole amichevoli. Ha anche invitato papa Francesco a recarsi in visita in India: “Ho avuto un incontro molto caloroso con papa Francesco. Ho avuto la possibilità di discutere su diversi temi insieme a lui e l’ho invitato a venire in India”. Un evento storico: gli ultimi papi a recarsi in visita ufficiale in India sono stati Paolo VI nel 1964 e Giovanni Paolo II nel 1986 e poi nel 1999.
A destare vero stupore però non sono i toni amichevoli del premier indiano, quanto il fatto che nel suo paese sembra essere in atto una vera e propria persecuzione dei cristiani. Pochi giorni fa è stato presentato il rapporto “Cristiani sotto attacco in India”, redatto da varie ong cristiane, dove vi sono riportati centinaia di attacchi anticristiani, solo nel 2021. Violenze di cui, secondo fonti non confermate, sarebbero responsabili estremisti vicini proprio al partito nazionalista indù di Modi, il Bharatiya Janata Party (BJP). In alcuni stati, come nel Madhya Pradesh, nell’India centrale, sono state avviate vere e proprie campagne di conversione dei cristiani, che rappresentano il 4% della popolazione, da parte degli attivisti radicali indù.
“La gente è spaventata perché i gruppi radicali indù stanno facendo pressioni sui cristiani indigeni affinché abbandonino la loro fede nel cristianesimo”, ha dichiarato padre Rocky Shah, addetto alle pubbliche relazioni della diocesi cattolica di Jhabua. “Gli attivisti indù stanno conducendo campagne contro sacerdoti e pastori che guidano le comunità cristiane e hanno minacciato di demolire le nostre chiese con la falsa accusa di essere costruite illegalmente sulle terre degli indigeni”, ha aggiunto. In almeno otto dei 28 Stati dell’India esistono leggi anti-conversione: in pratica la legge vieta di convertirsi a religioni diverse dell’induismo. E chi lo fa finisce in carcere. Paul Muniya, vescovo ausiliare della Chiesa pentecostale Shalom con sede a Jhabua, ha dichiarato di essere stato convocato con molti altri pastori “dall’amministrazione distrettuale per dimostrare il nostro background cristiano”.
A volte le accuse di proselitismo nei confronti di sacerdoti e cristiani sono utilizzate come strumento di repressione, ma nei loro confronti vengono avanzate perfino accuse di terrorismo. Il 4 luglio nel carcere di Taloja di Mumbai è morto padre Stan Swamy, dopo 233 giorni di reclusione, nonostante l’età avanzata di 84 anni e una grave forma di Parkinson. Era stato arrestato con accuse palesemente false che nascondevano il vero motivo: la sua difesa nei confronti degli indigeni Adivasi.
Oggi, dopo la visita in Vaticano (oltre al Pontefice, Modi ha incontrato anche il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, e mons. Paul R. Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati), il premier indiano ha dichiarato che “Nel corso di una breve conversazione ci si è soffermati sui cordiali rapporti intercorrenti tra la Santa Sede e l’India”. “Cordiali”? Dopo aver letto il rapporto “Cristiani sotto attacco in India” è davvero difficile definire così i rapporti tra Chiesa e India. Inascoltate le preghiere dell’arcivescovo Leo Cornelio di Bhopal, nella capitale dello stato indiano del Madhya Pradesh centrale, che ha scritto una accorata lettera a Modi chiedendogli “di adottare misure efficaci per contenere la crescente violenza contro i cristiani”.
Da quando il partito nazionalista di Narendra Modi, il Bharatiya Janata Party, è al potere, le violenze ai danni dei “non indù” si sono moltiplicate. E non sono mancati gli spargimenti di sangue: a marzo, a Chinnasalem, nello Stato del Tamil Nadu, 200 fondamentalisti indù hanno attaccato una scuola cattolica e aggredito le suore che la gestivano.
E tra poco, in India, ci saranno nuove elezioni.