Iran. Geopolitica e religione in Medio oriente

di Marco Corno

Negli ultimi anni si è sempre più discusso della rivalità tra Iran e Arabia Saudita come di una nuova guerra fredda tra le due potenze per il controllo della regione ma tale reductio ad unum delle dispute in Medio Oriente rischia di creare false interpretazioni causando incomprensioni sui fatti che accadono perché non tiene conto di tutta una serie di altri fattori che rendono il Medio Oriente una delle zone più complesse da comprendere.
Innanzitutto le potenze regionali coinvolte nelle dispute geopolitiche della regione non sono solo Iran e Arabia Saudita ma anche Turchia, Israele, Qatar e Emirati Arabi Uniti, quindi siamo in presenza di un ordine regionale multipolare e non bipolare le cui ambizioni di potenza di ciascun competitor si riversano nella guerra nel Siraq, in Yemen, in Libia e in Afghanistan. Secondo, il concetto di guerra fredda presuppone l’esistenza di due grandi potenze nucleari ma Teheran e Riyad non sono potenze nucleari e la guerra tra queste due “dinastie” è calda e apertamente dichiarata. Terzo, il Medio Oriente non è un enclave iraniano-saudita ma al contrario è soggetto anche alla competizione delle grandi potenze del globo, come Russia e USA, che appoggiano le singole potenze regionale, mentre in un ordine bipolare la Repubblica Islamica e la monarchia Wahabita dovrebbero essere le sole potenze “a dettare legge” nella zona senza essere a loro volta sottoposte a pressioni esterne di stati più potenti di loro stesse.
Nell’ambito religioso si tende a considerare le attuali querelle del Medio Oriente come una guerra tra il monolite sciita (rappresentato dall’Iran) e il monolite sunnita (rappresentato dall’Arabia Saudita) per il droite de regard dell’area. In verità la teoria secondo cui la religione sarebbe il deus ex machina delle alleanze oltre che delle vicende geopolitiche della regione non soddisfa la complessità del mondo mediorientale.
I motivi degli scontri sono legati a obiettivi geopolitici dettati dall’interesse del momento. Infatti durante la guerra Iran-Iraq (1980-88) gli sciiti iracheni entrarono in guerra contro gli sciiti iraniani mentre l’Iran appoggiò il Kurdistan Iracheno in funzione anti-Baghdad oppure ancora durante la guerra tra l’Armenia cristiana e Azerbaijan sciita (1991-1994) Teheran appoggiò l’Armenia onde mantenere Baku in una posizione di debolezza. Sempre per quanto riguarda l’Iran durante la guerra in Afghanistan nel 2001 appoggiò l’Alleanza del Nord in particolare i tagiki, non di credenza sciita.
Teheran approfitta inoltre delle diatribe all’interno del mondo sunnita (tra una fazione conservatrice a guida saudita-emiratina e una “riformista” a guida turco-qatarina) onde aumentare il proprio prestigio di corifeo della regione “ritagliandosi” una spazio di influenza che impedisca qualsiasi infiltrazione terroristica esterna in grado di fomentare la ribellione di minoranze etniche, alleandosi con le forze sunnite più consone al proprio interesse nazionale come la Turchia.
L’asse Teheran- Ankara è dettata proprio dall’esigenza di tenere stabili i propri limes impedendo che l’indipendentismo curdo metta sottopressione l’integrità dei due stati.
Più che di revival sciita o di mezzaluna sciita bisognerebbe parlare di mezzaluna persiana siccome gli alleati non sono solo sciiti ma anche cristiani e sunniti.
L’ormai conosciuto “asse sciita” è una definizione molto labile e fragile dello scacchiere di alleanze di Teheran nella regione. Il regime di al-Asad è alauita, una setta religiosa non proprio sciita e tantomeno sunnita, la cui special relationship con l’Iran deriva dal “metus hostilis” nei confronti di Israele e dallo scoppio della guerra civile (2011) dalla volontà di impedire l’ascesa di un regime sunnita in Siria in funzione anti-iraniana e filo saudita. Lo stesso Hezbollah nasce come organizzazione sciita ma di fatto accetta combattenti libanesi di qualsiasi credo, compresi tantissimi cristiani, nella convinzione, secondo il leader Nasrallah, che i libanesi siano prima libanesi e poi cristiani e mussulmani. Gli huthi dello Yemen appartengono alla corrente mussulmana dello zaydismo non proprio sciita, collocata anch’essa a metà tra sunnismo e sciismo, finanziati e appoggiati da Teheran perché collocati lungo la frontiera tra Yemen e Arabia Saudita.
La naturale propensione a sentirsi accerchiati da potenziali nemici spinge la Persia a ricoprire un ruolo attivo nel Medio Oriente onde consolidare sé stessa ed evitare una nuova spartizione simile a quella anglo-russa del 1907, organizzando una politica estera improntata alla sicurezza nazionale, appoggiando stati e movimenti utili al conseguimento di questo obiettivo, di vitale importanza per la Repubblica Islamica.