Ius soli: sulla cittadinanza faremmo meglio ad ascoltare l’Europa

di Ciro Maddaloni *

Da molti anni in Italia sentiamo parlare di Ius Soli per riconoscere la cittadinanza a chiunque sia nato in Italia. E ora abbiamo sentito parlare anche di Ius Scholae per concedere la cittadinanza agli studenti stranieri che abbiano completato un ciclo di studi di 5 anni in Italia. Ma per gli italiani l’obbligo scolastico è di 10 anni!
Quello di cui nessuno ha parlato, stranamente, sono gli effetti che le politiche per il riconoscimento della cittadinanza agli immigrati extracomunitari possono generare, non solo nel Paese che le adotta, ma in tutti i Paesi che aderiscono al Trattato di Schengen: chiunque acquisisce la nazionalità italiana, infatti, acquisisce automaticamente la cittadinanza dell’Area Schengen. Quindi può muoversi in tutta Europa per cercare lavoro come possono fare i cittadini europei.
Per questa semplicissima ragione sarebbe opportuno, prima di prendere decisioni in materia di concessione della cittadinanza (a qualsiasi titolo) ai cittadini extracomunitari, consultare gli altri Paesi che partecipano agli Accordi di Schengen per acquisire anche il loro parere sulle politiche di naturalizzazione che si vogliono adottare in Italia. Visti gli effetti che si avrebbero anche negli altri Stati partner in Europa.
Dobbiamo rispettare le regole utilizzate dagli altri Paesi europei per il riconoscimento della cittadinanza per promulgare leggi, ove possibile, in linea con le politiche degli altri paesi europei per concedere la cittadinanza agli extracomunitari.
Un esempio per l’Italia potrebbe essere il sistema per la concessione della cittadinanza in vigore in Germania, visto che la situazione tedesca è simile a quella italiana. Infatti, sia l’Italia sia la Germania solo da pochi anni stanno sperimentando il fenomeno dell’accoglienza e integrazione di grandi numeri di cittadini extracomunitari.
La normativa tedesca prevede, come quella italiana, che: se uno dei due genitori è cittadino tedesco i figli della coppia (mista) saranno anch’essi cittadini tedeschi; lo stesso vale per i bambini adottati da una famiglia tedesca.
La naturalizzazione è concessa dopo otto anni di residenza stabile e legale sul territorio federale tedesco dimostrando la conoscenza della lingua tedesca e dell’ordinamento sociale e giuridico tedesco, nonché delle condizioni di vita in Germania. Inoltre è necessario essere disponibili a rinunciare alla propria cittadinanza di origine. È prevista la possibilità, per gli stranieri che abbiano frequentato e superato con successo un corso d’integrazione, di ridurre a sette anni il periodo minimo di soggiorno richiesto per ottenere la naturalizzazione.
Quindi, già notiamo una differenza con la proposta che si vuole adottare in Italia. Ma quello che non notiamo sono le regole ferree sul rispetto della legge tedesca da parte dei cittadini tedeschi e dei cittadini stranieri che si trovano in Germania. In questo Paese se un cittadino straniero (incluso un cittadino comunitario) è stato sorpreso una sola volta sull’autobus o sul treno senza titolo di viaggio valido può dimenticare per sempre di diventare cittadino tedesco.
Questo per indicare che se in Italia si applicassero le leggi della Repubblica Federale di Germania praticamente nessun immigrato extracomunitario potrebbe ottenere la cittadinanza italiana; perché la prima violazione commessa dai cittadini extracomunitari che arrivano in Italia è l’ingresso illegale nell’area Schengen.
Discorso diverso vale per la Francia, la Gran Bretagna o il Belgio dove l’immigrazione extracomunitaria è anche il risultato delle politiche coloniali di quei Paesi, che hanno agevolato il trasferimento di risorse umane dalle colonie verso i loro Paesi per soddisfare le esigenze di manodopera già negli anni ‘50.
L’Austria, il Belgio, la Danimarca, la Francia, i Paesi Bassi e il Regno Unito si trovano a gestire lo stesso problema della cittadinanza degli extracomunitari, ma con una differenza sostanziale: il dibattito politico verte sulla possibilità di revocare la cittadinanza a quei cittadini che si sono macchiati di gravi crimini e/o di terrorismo.
In particolare, la Francia si è divisa nel 2016 sulla possibilità di revoca della cittadinanza, senza trovare alcuna soluzione al problema. L’allora ministro della Giustizia, Christiane Taubira, si dimise il giorno in cui il dibattito approdò in commissione in dissenso con la riforma sulla sicurezza che lei ritenne essere contraria ai valori della Sinistra.
In Francia, secondo il Codice di Diritto Civile, la cittadinanza può essere revocata a uno straniero che ha ottenuto la nazionalità francese se questi viene condannato per un crimine, per atti terroristici o che comunque abbiano arrecato un pregiudizio agli interessi della Francia. Si può essere depennati dai registri dell’esagono se si è cittadini francesi da meno 10 anni, 15 nel caso di un crimine che possa ledere un interesse fondamentale del Paese.
Il problema è che quei giovani che hanno commesso gli odiosi atti di terrorismo sono francesi da tre generazioni. Molti di loro non sono mai stati in quei Paesi da cui originano le loro radici.
Non è chiaro come la Francia possa pretendere che, ad esempio, il Marocco si faccia carico di un giovane francese che è nato in Francia, ha studiato in Francia, ha commesso dei crimini in Francia ma non è mai stato in Marocco.
Insomma, il mondo è bello perché è vario!

* Esperto di Schengen Sistema di controllo delle frontiere.

Articolo in mediapartnership con il Giornale Diplomatico.