La Bolivia nel “Nuovo Mondo”

di Massimo Pascarella –

morales evo grandeLo hanno chiamato “processo di cambio” e, fino ad ora, il presidente Evo Morales ha nettamente contribuito ad una cesura netta col passato, dal punto di vista sia politico che economico, della storia boliviana. Tra i cambiamenti di rotta si annoverano: il forte calo del fattore “povertà indigena” dal 38% al 18%, un tasso di crescita del Paese appena superiore al 5% (anche se attualmente in leggera contrazione) ed un tasso di disoccupazione tra i più bassi in America Latina, pari al 3.2%.

Cosa c’è dietro la rivoluzione del primo presidente indigeno della Bolivia?
Una politica dedita alla (quasi) totale nazionalizzazione degli idrocarburi, delle telecomunicazioni, dell’ energia elettrica, delle miniere, associata alla forte esportazione di materie prime, fulcro della politica economica di Evo Morales. Per via del forte malcontento popolare e delle conseguenti dimissioni forzate dell’allora presidente Sánchez de Lozada, vennero anticipate le elezioni previste per il 2007 al 2005. Elezioni che videro Morales, sostenuto dal Movimento al Socialismo (MAS), eletto Presidente per la prima volta. Il successo fu bissato nel 2009, dando vita allo “Stato Plurinazionale della Bolivia”, e confermato, infine, nel 2014 per un terzo mandato.
Il cambio, avvenuto non solo nella nomenclatura  ma anche nella sostanziale concezione giuridica amorfa dello “Stato Plurinazionale”,  ha reso il caso boliviano unico nel suo genere, grazie al progetto di una maggiore partecipazione politica della moltitudine di etnie presenti sul territorio boliviano, attraverso il rispetto delle varie identità culturali e sociali indigene acquirenti, finalmente, propri diritti ed istituti giuridici.

Tensioni interne.
Morales ha visto ultimamente diminuire il suo consenso in seguito alla huelga de los mineros di Potosi, conseguenza diretta della caduta del prezzo dei minerali e della mancata costruzione di infrastrutture ed opere pubbliche (spesso promesse in campagna elettorale). Ad inasprire la situazione è stata la decisione “senza colpo ferire” di avviare esplorazioni di risorse naturali in aree protette situate nei distretti di Santa Cruz, Tarija, Chuquisaca, Cochabamba, Beni e La Paz, nonostante l’iniziale simbologia politica di un presidente campesino (di origini e di vedute), accompagnata dallo slogan prolifico “ Natura, foresta e indigeni non sono in vendita”.
E’ in ambito interno che Morales deve ancora affrontare le questioni più spinose, come la persistente corruzione, la questione della coca e la correlata lotta al narcotraffico, la riforma della giustizia – lacunosa in troppi punti – nonché la revisione del sistema penale e del diritto indigeno.

Un presidente non è per sempre.
Espressione dei due terzi in Parlamento, Evo Morales ha posto in essere un’ambiziosa e pericolosa manovra politica: la riforma parziale della Costituzione atta a permettere l’elezione del presidente e del vice presidente della Bolivia per due mandati consecutivi. La richiesta, approvata dal Congresso, prevede un emendamento: la possibilità per Morales ed il suo vice (Garcia Linera) di concorrere alle prossime elezioni del 2019 per governare fino al 2025.
La decisione in merito è stata rimandata ad un referendum che, se approvato dal Tribunale costituzionale, chiamerà in causa il popolo boliviano, il 21 Febbraio 2016. Per ovviare al malcontento dell’opposizione, che ha tacciato di “dittatoriale” la strada imboccata, Evo ha cercato di deragliare l’attenzione sulla sentenza della Corte internazionale di Giustizia (CIG), pronunciatasi a favore della richiesta boliviana di trattare la contesa contro Cile per uno sbocco sul mare. Ciò che è stata dipinta ed enfatizzata come una vittoria secolare del governo Morales, in realtà, non è che un mero palliativo, in quanto la CIG ha soltanto sancito l’ammissibilità della proposta, ossia il fatto che quest’ultima rientri tra le competenze giuridiche della Corte sancite nel suo Statuto e che, di conseguenza, il riluttante governo cileno sarà costretto a “dialogare” con la controparte.

Vento di cambiamenti.
In seguito al disgelo degli USA con Cuba e Iran, il presidente boliviano ha virato sulla strada del dialogo con l’amministrazione Obama, dopo la rottura diplomatica avvenuta nel 2008 siglata con l’espulsione dell’ambasciatore americano a La Paz – accusato di complottare con l’opposizione per ordire un colpo di Stato – e con la replica gringa che portò a divenire anche l’ambasciatore boliviano a Washington “persona non grata”.
Tale riavvicinamento potrebbe favorire politicamente entrambi i presidenti, in termini elettorali e geopolitici. In primis, considerati gli accordi stipulati tra la Bolivia e la Russia concernenti energia, legami militari, attività minerarie e lotta al narcotraffico, gli Stati Uniti potrebbero reinserirsi nel mercato boliviano – allontanando l’antagonista d’Oriente già zoppicante per le sanzioni internazionali in merito alla questione Ucraina – ed avere altresì la possibilità di partecipare attivamente alla lotta contro il narcotraffico (in quanto la ruta de la coca spesso passa o inizia in Bolivia), limitando i problemi che affliggono la frontiera con il Messico. Giocoforza, potrebbe “istituzionalizzarsi” un larvato controllo dei legami concernenti gli idrocarburi della Bolivia con Iran e Libia, questi ultimi già precedentemente luoghi di partenza di militanti jihadisti verso territori del Sud America – specificamente nella regione transfrontaliera al confine tra Argentina, Brasile e Paraguay ed in misura minore in Venezuela – considerati allettanti in quanto privi di controlli efficaci in termini di immigrazione.
Bisogna asserire che alla base della politica di Evo Morales troviamo (ancora) il problema di una mancata politica industriale che assicuri una lungimiranza economica di lungo periodo, constatata la caduta del prezzo del gas e del petrolio e la contrazione della domanda argentina e brasiliana, fondamentali importatori di gas naturale. Di qui, probabilmente, la scelta del presidente boliviano di puntare sulla nuova congiuntura internazionale favorevole inizializzata da Obama e di consolidare i rapporti economici con una Cina sempre più presente in settori cruciali come l’energia. Allontanandosi, dunque, dalla Russia, internazionalmente macchiata ed avente una visione strategica e politica d’insieme abbastanza discordante.

Conclusioni.
Tale congiuntura potrebbe avvicinare maggiormente anche Morales agli attori europei, con i quali i rapporti si incrinarono in seguito ad eventi collegati con Edward Snowden nel 2013 e all’asilo politico concessogli in territorio boliviano. Questi rapporti, peraltro, sembravano non riuscire a trovare un agevole punto d’intersezione nemmeno in tema economico, considerato che Morales si è da sempre opposto alle politiche del Fondo Monetario Internazionale (FMI) sino a spalleggiare il fronte del “NO” di Alexis Tsipras in Grecia. Tutto ciò corroborato, poi, dalla dichiarazione di non accettazione di un accordo tra Mercosur e Unione europea basato sul concetto di “commercio competitivo”, nel giugno scorso.
Una tale collaborazione gioverebbe in un futuro (non troppo lontano)  entrambe le parti, prevedendo la possibilità di esportare il gas naturale della Bolivia in un’ Europa sempre più alla ricerca di una valida alternativa alla matrice russa, ormai troppo dedita ad una politica di ricerca dello “scacco matto” contro l’Unione europea e gli Stati Uniti (si pensi all’accordo trentennale sulla fornitura di gas naturale sottoscritto dal Cremlino con Pechino). Allo stesso tempo, sarà anche opera della reggenza Morales attrarre l’interesse della regione, considerando che l’accordo sul nucleare iraniano e la fine del suo periodo sanzionatorio hanno inserito nel mercato energetico globale un nuovo competitor, insieme ai Paesi del Caucaso sempre più in colluttazione con la Russia in tema di gas naturale e configuratisi come “coalizione energetica” per timore della rinascita economica iraniana.