La flessione della superpotenza

di Giovanni Caprara –

pentagonoIl 19 agosto, a poco più di 200 chilometri dall’isola cinese di Heinan, nello spazio aereo internazionale, un caccia cinese si è avvicinato a meno di 10 metri da un velivolo statunitense P8 Poseidon, per la sorveglianza marittima, che svolgeva una missione di ruotine.
Il caccia ha effettuato un mezzo tonneau per mostrare al ricognitore il carico di armi sotto le ali.
Una manovra ritenuta ostile dal codice di navigazione. Un’ennesima provocazione alle Forze armate statunitensi, a testimonianza di una diminuzione di influenza della superpotenza, probabilmente causata dagli errori politici e militari di questi ultimi anni. Una delle più importanti piattaforme politiche delle diverse amministrazioni statunitensi, succedutesi sin dagli inizi degli anni ’90, ha avuto l’obiettivo di spodestare un leader od un governo, agevolando l’insediamento di una governance filo occidentale.
Ciò era giustificato dal recupero dei diritti umani in quelle nazioni dove non venivano rispettati, e dalla prevenzione ad azioni eversive sul suolo dei principali attori occidentali. Ma in realtà, tutte le guerre asimmetriche, intentate verso Nazioni non allineate con le democrazie storiche, hanno avuto finalità anche economiche: l’Iraq è uno dei maggiori esportatori mondiali di risorse petrolifere, inoltre, la collocazione geografica lo pone in un’area strategicamente importante per il controllo delle vie d’acqua, e per l’abbondanza di quelle dolci. Oltre tutto, si rendeva necessaria l’eliminazione di un leader attivo al supporto della causa palestinese, e contrario all’occupazione israeliana dell’area. I risultati ottenuti all’invasione dell’Iraq, hanno poi prodotto una forte destabilizzazione interna, che ha facilitato la nascita dell’Isis.
L’ingresso in Afghanistan, nell’ottobre 2001, delle truppe NATO, volle essere la risposta forte del Governo statunitense all’attacco dell’11 settembre contro le Torri Gemelle di New York, ed il Pentagono di Washington D.C. Era una ritorsione al mancato deferimento da parte del governo afghano al sistema giudiziario degli Stati Uniti della mente dell’attacco: Osama bin Laden. Il conflitto afghano, è diventato il fondamento logico per il lancio di una “guerra al terrore”, la quale ha per la maggior parte dei casi mirato ai gruppi musulmani, fondando la dicotomia tra Islam e terrorismo. Il tentativo degli USA per controllare l’Afghanistan, può essere identificato con la sua posizione strategica: la vicinanza alla Cina, Russia ed Iran.
Il detenere l’Afghanistan facilita l’accesso ai giacimenti di petrolio delle repubbliche dell’Asia Centrale, ed alle risorse del Mar Caspio. In termini di produzione di petrolio, l’intera regione potrebbe rivaleggiare con l’Arabia Saudita nel periodo a medio termine. Il responsabile della distruzione delle Torri Gemelle è stato ucciso, ma l’Afghanistan ha conservato il suo statuto, dunque gli Stati Uniti, hanno ottenuto solo una vittoria parziale, specifica con la quale si intende una parziale sconfitta, o meglio, l’ottenimento di parte degli obiettivi preposti all’inizio della guerra. I conflitti asimmetrici, in collaborazione con Israele, avvenuti nell’Asia Occidentale e nel Nord Africa, hanno restituito risultati non definitivi: palestinesi, libanesi e siriani, continuano la resistenza alla superpotenza, la quale sembra essere impotente ad affermare la propria egemonia.
La risolutezza iraniana nel dichiarare il proprio programma nucleare per scopi pacifici, dunque non orientato verso la produzione di armi nucleari, incarna l’opposizione all’Amministrazione statunitense, come in parte fece Gheddafi, opponendosi a tutti i tentativi delle società petrolifere occidentali di ottenere il controllo del petrolio libico, che aveva nazionalizzato all’inizio del suo regime durato 42 anni.
Situazioni similari sono accadute in altre aree geopolitiche: la Somalia con le sue politiche tribali, divise tra fazioni diverse, ha avuto la capacità di resistere all’egemonia occidentale; il Sudan, una nazione che esporta un’enorme quantità di petrolio, diviso internamente a livello religioso e settario, è stato un altro indomito bersaglio per gli attori regionali e globali. La generale flessione della politica estera statunitense, ha nell’America Latina una importante discriminante. Nella fase attuale, il Venezuela è stato forse il primo a seguire l’esempio di Cuba.
Altri paesi come Bolivia, Ecuador, Nicaragua ed, in misura minore, Brasile ed Argentina, hanno tentato di ridurre sia la potenza quanto l’influenza degli Stati Uniti nei confronti delle proprie economie. L’organismo regionale denominato ALBA, l’Alternativa Boliviana per le Americhe, è il risultato della politica di Chavez, che nell’aprile 2001, si è opposto agli Stati Uniti nella fondazione della Zona di Libero Scambio delle Americhe, la quale avrebbe perpetuato l’egemonia statunitense sull’America Latina.
L’ALBA si prefigge di facilitare l’integrazione economica, sociale, politica e culturale dell’America Latina e dei Caraibi, ed è divenuta operativa nel dicembre 2004, con la firma di un accordo tra Venezuela e Cuba. Oggi annovera otto membri: Oltre ai due fondatori, Bolivia, Nicaragua, Ecuador, il Commonwealth di Dominica, Antigua e Barbuda, Saint Vincent e Grenadine. La Russia, il nemico storico ritrovato in seguito alla crisi ucraina, sta cercando di assurgere ad attore regionale, svolgendo un ruolo più decisivo, in termini di sicurezza e politica, all’interno di una vasta aerea geopoliticamente definita “Eurasia”. Ma, fra tutte le nazioni in crescita, l’affermazione della Cina è quella di maggior distinzione. Molti anni dopo l’abbandono del modello di sviluppo comunista, si è aperta alla libera impresa ed al mercato, divenendo la maggior potenza economica del mondo, e gli accordi con la Russia potranno creare un polo produttivo eccezionale, soprattutto se il modello BRICS continuerà la sua ascesa.
Gli insuccessi dei decision maker statunitensi, hanno prodotto un generale malcontento interno, che si traduce in irrealizzabili desideri come quello del Generale dei Marines John R. Allen, il quale ha dichiarato: “l’IS deve essere distrutto colpendone l’intero “sistema nervoso”, fino a disgregare e distruggere i suoi pezzi. Le Forze armate statunitensi sono in grado di attaccare nella profondità delle sue partecipazioni l’IS, e dobbiamo farlo ora, sostenuti dai nostri alleati e partner tradizionali, soprattutto da quelli della regione che hanno più da dare e più da perdere. L’esecuzione di James Foley, è un atto che non dovremmo perdonare né deve essere dimenticato, incarna tutto ciò che questo gruppo rappresenta. Lo Stato islamico è un’entità inumana e deve essere sradicato. Se ritardiamo ora, pagheremo più avanti”.