La NATO ha settanta anni

di Dario Rivolta *

Nessuno può mettere in dubbio il ruolo altamente positivo che l’esistenza della NATO ha giocato dalla sua fondazione fino al dissolvimento dell’Unione Sovietica. Allora due mondi e due diverse visioni della società e dell’economia si affrontavano e per la loro difesa da eventuali attacchi tutti i Paesi dell’Europa occidentale poterono contare su un esercito ed una struttura militare, quella americana, che garantiva la pace e la tranquillità anche grazie alla sola deterrenza. Il fatto che fossero soprattutto gli Stati Uniti ad investire enormi somme negli armamenti e nelle tecnologie militari del futuro consentì a tutti i Paesi europei di spendere altrimenti, permettendo così di creare quel welfare in cui ci siamo cullati fino ad oggi.
Certamente quella tranquillità non era gratuita e la NATO, in pratica, non ci apparteneva. Ne facevano parte soldati e generali di tutti i Paesi membri, ma il comando e le decisioni politiche e militari erano strettamente in mani americane. Perfino i segretari generali, qualunque fosse la loro nazionalità, venivano scelti in base all’opinione determinante degli USA. Qualcuno durante quegli anni criticava che la nostra indipendenza fosse solamente apparente, ma i più valutavano che i benefici che ne derivavano per le nostre società giustificavano il prezzo che stavamo pagando.

Tuttavia nulla è eterno in questo mondo e dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica e il pericolo di una espansione comunista-sovietica le cose cominciarono a cambiare. L’Alleanza era stata creata nel 1949 per difendersi da quello che era considerato, allora, il nemico più pericoloso. Se tale nemico aveva cessato di esistere, a cosa sarebbe servito continuare a mantenerla viva? Oramai gli Stati Uniti erano l’unica grande potenza mondiale e sul momento sembrò che nessun altro avrebbe mai più potuto opporvisi. Alcuni politici a Washington cominciarono a pensare che la NATO servisse soltanto a dare una parvenza di multilateralismo e che avrebbe potuto essere semplicemente una “mano” più “terza”, ma sempre ben controllata da chi deteneva realmente il potere. Inoltre, la presenza nell’UE della Gran Bretagna avrebbe impedito ambizioni troppo “unitarie” che avrebbero potuto suscitare improvvide smanie di autonomia in alcuni leader europei. Per colmo di prudenza pensarono bene di spingere affinché si arrivasse a un rapido allargamento dell’Unione, cosa che avrebbe definitivamente impedito quell’”approfondimento” delle istituzioni europee che qualche illuso europeista stava cominciando a immaginare. Un’Europa troppo “unita” si temeva potesse diventare un diretto competitore degli Stati Uniti e quello era un rischio da evitare. Altrettanto da scongiurare era un avvicinamento troppo stretto tra una Russia colma di materie prime e una Europa ricca di know-how desiderosa di approfittarne.
La prova generale della nuova politica post-USSR prese corpo in Serbia nel 1999.

Era stato necessario nel frattempo attribuire alla NATO una nuova ragione di esistere e la si trovò nel dovere morale di “ingerenza umanitaria”. (Dimenticando, malauguratamente, che la guerra per scopi “umanitari” fu l’espressione usata da Hitler per giustificare l’invasione dei sudeti e di Danzica per “proteggere” la popolazione tedesca in loco). Fu allora inventato un presunto genocidio della popolazione kosovara per mano dei cattivi serbi e fu lanciata una enorme campagna di stampa in tutta Europa e negli Stati Uniti con tanto di fotografie satellitari di “fosse comuni” (poi rivelatesi false) e di testimonianze (progettate a tavolino) che dimostravano l’assoluta necessità di fare una guerra per impedire il “massacro”. Anche se poi nel neonato “Kossovo” furono solo gli americani a creare una propria base militare (la loro più grande in Europa), i Paesi membri della Nato vi parteciparono in vario modo e pure l’Italia, guidata da un Massimo D’Alema bisognoso di dimostrare di non essere più un comunista già fiancheggiatore dell’USSR, vi contribuì con i propri bombardieri.

(Foto: thenational.ae).

Negli anni Duemila l’impiego della NATO si attuò in Afghanistan, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, e fu invocato l’art. 5 del Trattato, quello che impegnava gli Stati membri a intervenire a difesa di un partner che fosse stato attaccato da un qualunque nemico. Tuttavia l’armonia svanì poco dopo, in occasione della guerra in Iraq nel 2003. In quel caso non si trattava più di potersi richiamare all’art. 5 e Francia e Germania si posero a capofila di un gruppo di paesi dissidenti. Da parte sua la Turchia impedì il passaggio di truppe americane sul proprio territorio obbligandole quindi ad attaccare Saddam solo da sud (a nord fu possibile combattere grazie ai locali curdi iracheni).

Non era la prima volta che si manifestava una divergenza di vedute tra i soci dell’Alleanza. Già nel 1956 Francia e Gran Bretagna tentarono un’operazione neo-coloniale sul canale di Suez e gli Stati Uniti li “dissuasero” in modo molto convincente. Dieci anni dopo, nel 1966, ci fu addirittura una rottura evidente, quando Parigi decise di uscire dal comando militare integrato rientrandovi solamente nel 2009. Fin dall’inizio, comunque, una divergenza politica si era manifestata quando la Francia negli anni ’50 e la Gran Bretagna nei ’60 decisero di sviluppare una propria capacità atomica, contro l’iniziale parere degli USA.

In tempi più recenti le fratture all’interno dell’Alleanza si sono moltiplicate, ma mai si è arrivati alla messa in discussione della sua sopravvivenza. Nel 2001, nonostante le pressanti richieste del tedesco Schroeder, Bush ritirò il suo Paese dal Protocollo di Kyoto del 1997. Obama iniziò il primo disimpegno dall’Europa concentrando le proprie attenzioni verso l’Asia. Fece rientrare in patria, infatti, due Brigate dell’esercito americano e tentò un approccio diretto con Mosca (poi fallito) al di sopra delle teste degli europei. In Siria la Francia di Hollande, presente con propri aerei da combattimento, si sentì tradita e protestò quando Obama non dette seguito alla minaccia di bombardare qualora fosse stata oltrepassata da parte di al-Assad l’ipotetica “linea rossa”. In Libia l’attacco a Gheddafi fu lanciato dai francesi con l’appoggio americano senza consultare l’Italia che era tuttavia il Paese dell’alleanza con maggiori interessi in loco. Ankara persegue da tempo una propria politica estera totalmente autonoma che l’ha portata ad acquistare i missili russi S-400, utilizzabili, tra l’altro, contro gli F-35 della NATO. Pur essendo da moltissimi anni uno dei Paesi membri, la Turchia, assieme all’Iran, è diventata anche “membro osservatore” dello SCO (Shanghai Cooperation Organization) fondato da Russia e Cina nel 2001 con intenti economici e militari. Al recente incontro di Londra, mentre si celebravano i settanta anni dalla creazione dell’Alleanza, Erdogan ha fatto sapere che la Turchia avrebbe messo il veto sul piano di difesa dei Paesi baltici nel caso di un ipotetico attacco russo. Per ottenere il suo consenso la Nato avrebbe dovuto accettare di includere i curdi siriani nella lista dei terroristi internazionali. Lo scontro tra i turchi e gli europei si era già evidenziato in occasione dell’invasione turca della Siria, fatta con l’intento di occupare la zona a prevalenza curda e stabilire una larga testa di ponte in grado di condizionare il futuro della Siria e impadronirsi di una posizione strategica (in rivalità con iraniani, russi e sauditi). Come non bastasse, si sono aggiunte anche la Libia e le perforazioni marine alla ricerca di idrocarburi nelle acque cipriote. Nel primo caso si vede la maggioranza dei Paesi membri affiancare il Governo di Tripoli mentre i francesi, assieme a russi, egiziani, sauditi ed emiratini sostengono Haftar. Nel secondo, i turchi hanno inviato navi militari nelle acque di competenza esclusiva cipriota obbligando la nave italiana dell’ENI, pur se autorizzata dal Governo di Nicosia, ad allontanarsi sotto la minaccia delle armi.

Non c’è da stupirsi se il presidente francese Emmanuel Macron abbia definito la NATO di oggi come in stato di “morte cerebrale”. E non c’è nemmeno da stupirsi, vista la confusione generale, se gli americani abbiano deciso sanzioni contro tutte quelle società, tedesche e non, che collaborino alla stesura del gasdotto North Stream II che porterà il gas russo direttamente in Germania senza passare né dalla Polonia né dall’Ucraina.
I tedeschi guidati dalla signora Angela Merkel, si sa, hanno un atteggiamento particolarmente ipocrita verso la Russia. Da un lato continuano a fare affari anche in settori formalmente proibiti quali le ferrovie e le telecomunicazioni (vedi gli affari della Siemens) e, appunto, il gasdotto, dall’altro continuano a sostenere le sanzioni anti russe e hanno collaborato alla caduta del Governo (legittimamente eletto) di Yanukovich. In più hanno contenziosi plurimi con Washington e tuttavia hanno criticato le affermazioni di Macron che invitavano a considerare un futuro della difesa europea senza la NATO. È pur vero, e in questo la deprecata Merkel ha ragione, che nessun Paese europeo sarebbe oggi in grado di difendersi da solo e, nonostante i ripetuti propositi, un vero coordinamento militare dell’Europa resta un miraggio.
Da parte sua Trump, molto più “grossier” e meno diplomatico dei suoi predecessori, non ha perso mai l’occasione di attaccare gli altri partner dell’Alleanza in piu’ occasioni. Oltre alla minaccia di dazi commerciali e la richiesta di aumentare i contributi dei partner per sostenere le spese dell’Organizzazione (a Londra si è deciso che il contributo USA passerà dal 22 al 16 percento dei 2 miliardi e mezzo del bilancio globale) ha rilasciato dichiarazioni scioccanti quale quella che l’applicazione dell’art.5 non dovesse essere considerato dagli Stati Uniti un automatismo. Oppure definendo l’Alleanza un “Relitto della guerra fredda” e oramai “obsoleta”. In un rally in Montana insistette: “Spendiamo una fortuna negli armamenti e perdiamo 800 milioni negli scambi bilaterali (con l’Europa, nda). E ancora: “Loro (gli europei) vogliono che li proteggiamo dalla Russia e poi danno ai russi miliardi di dollari, e noi siamo gli idioti che pagano tutto questo”.
Ha dunque ragione Macron quando dice che la NATO è “cerebralmente morta” e che bisogna pensare a una alternativa europea? Sicuramente sì, ma siamo così lontani dal riuscirci che il suo invito non è stato accolto ed è stato perfino criticato. Anche la sua proposta di dare vita a una Commissione della NATO per pensare alle strategie comuni future è stata rifiutata e si è invece accolta una versione tedesca molto più conciliante che, su tempi lunghi, mescolerà un po’ d’acqua per non arrivare a niente.
Il fatto è che i politici americani non possono aspettarsi che gli europei aumentino le loro spese nella difesa e contemporaneamente rimangano politicamente passivi e subordinati. Chi paga è naturale che comandi e se non pagherà più è altrettanto ovvio che le cose possano cambiare.
La NATO può ancora avere una sua ragione di esistere ma la domanda che americani ed europei debbono porsi è comunque una sola: preferiscono essi mantenere una Europa debole e divisa che continui a dipendere dalla potenza a stelle e strisce oppure sono entrambi pronti a trattare da partner autonomi e autosufficienti col rischio che talvolta i loro interessi possano non coincidere? Se Washington vuole continuare ad avere seguaci, a volte recalcitranti ma sostanzialmente obbedienti, la smetta di piangere su di una bilancia commerciale deficitaria e sui contributi insufficienti. Se al contrario preferisce tenere i conti in attivo e dividere le spese della difesa comune, allora finisca di mettere i bastoni tra le ruote al progetto di una vera Unione dell’Europa, la favorisca e non fomenti le divisioni interne che già albergano, per conto loro, nel nostro continente.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.