La questione della minoranza russa in Kazakistan mette a rischio le relazioni tra Mosca e Nur-Sultan

Cosimo Antonio Strusi

Il governo kazako ha accolto freddamente lo scoppio della guerra in Ucraina, assumendo una posizione relativamente critica nei confronti delle decisioni prese dal Cremlino, dettata del timore di possibili conseguenze del conflitto sulla stabilità della repubblica centroasiatica; in particolare, Nur-Sultan teme le conseguenze del potenziale emergere di sentimenti separatisti tra gli appartenenti alle popolazioni minoritarie del paese.
Il Kazakistan è uno degli stati etnicamente più diversificati dell’Asia Centrale: pur essendo quella kazaka, oramai dal 1991, la componente più numerosa, sono presenti numerosi altri gruppi nazionali, stabilitisi nella regione, più o meno forzatamente, durante il periodo sovietico; tra questi il più importante demograficamente e politicamente rimane quello russo, distribuito tra le regioni settentrionali e quelle nord-orientali che, nonostante il ridimensionamento successivo alla fine dell’URSS, rappresenta ancora la seconda comunità più numerosa della repubblica.
I rapporti interetnici sono rimasti sostanzialmente buoni fino alla seconda metà degli anni ’80, quando in piena perestrojka, nel blocco comunista iniziarono ad emergere movimenti nazionalisti e/o secessionisti, la cui proliferazione ha contribuito a minare la solidità dell’impero sovietico, contribuendo alla sua dissoluzione; anche il territorio della RSS kazaka fu inevitabilmente contagiata da questi fenomeni, in questo senso l’avvenimento più significativo risale al dicembre 1986, quando le autorità sovietiche dovettero fronteggiare, ad Almaty, il malcontento dagli studenti kazaki, furiosi per la decisione del Comitato Centrale del PCUS di affidare l’incarico segretario generale del locale partito comunista a un cittadino di etnia russa.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica la questione della convivenza tra russi e kazaki fu affrontata dalla neonata presidenza di Nursultan Nazarbaev che, sfruttando la sua fama di mediatore, seppe destreggiarsi abilmente tra le pretese delle formazioni politiche panturchiste, il cui fine dichiarato era la de-russificazione nazionale e le richieste delle popolazioni slave, le cui aspirazioni separatiste erano conseguenza del timore verso una progressiva emarginazione politica e culturale. Le concessioni fatte a entrambe le fazioni, unite alla repressione delle frange oltranziste, ebbero successo nel disinnescare temporaneamente le tensioni, tuttavia la classe dirigente kazaka preferì esercitare un controllo politico diretto sulle regioni russofone, arrivando nel 1994 a spostare il governo da Almaty a una cittadina del nord, Akmola, ribattezzata Astana (la capitale) e, in seguito Nur-Sultan, in onore dell’anziano capo di stato (che ha lasciato ufficialmente il potere nel 2021).
Nazarbaev maturò subito la consapevolezza che l’armonia tra i vari gruppi etnici non poteva non dipendere dal mantenimento di un rapporto privilegiato con Mosca; anche da questo punto di vista il leader centroasiatico fu lungimirante, divenendo uno dei promotori della partnership politica e dell’integrazione militare ed economica tra le repubbliche post-sovietiche, contribuendo alla creazione di organismi come l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e l’Unione Economica Eurasiatica: i rapporti russo-kazaki negli anni ’90 hanno tratto beneficio da un clima di distensione e cooperazione, frutto dalla stagione di riforme economiche, politiche e sociali portati avanti dall’amministrazione di Boris Eltsin, al fine di permettere alla neonata Russia di entrare nel novero delle nazioni liberali e democratiche.
L’elezione di Vladimir Putin nel 1999 a primo ministro e successivamente a presidente della Federazione Russa, rappresentò una rottura della prassi eltsiniana: il graduale abbandono del modello occidentale, e il ritorno a una politica di stampo imperialista fu accompagnato da una forte retorica etno-nazionalista e un approccio più aggressivo verso le altre entità politiche dello spazio post-sovietico.
Una delle prime manifestazioni del risveglio imperiale di Mosca fu nel 2008 l’intervento armato contro la Georgia, giustificato dalla difesa dei territori russofoni di Ossezia del Sud e Abkhazia; l’azione militare rappresenta la prima applicazione della cosiddetta “dottrina Medvedev”, (formulata, durante un suo discorso, dal presidente della Federazione Dimitri Medvedev, sostituto di Putin dal 2008 al 2012) che prevedeva un intervento armato di Mosca in supporto delle comunità russe stanziate fuori dai confini nazionali, qualora queste fossero in pericolo.
La dottrina è alla radice dell’annessione della Crimea nel 2014 e nell’intervento a favore dei separatisti del Donbass, sfociato poi nella drammatica crisi russo-ucraina. Sia nel 2008 che nel 2014 l’attivismo militare russo fu causa d’attrito con il regime di Nur-Sultan, anche a causa dalle esternazioni di esponenti di primo piano dell’establishment moscovita; tra gli altri, lo stesso Vladimir Putin gettò benzina sul fuoco, negando, in una intervista del 2014, l’esistenza di una tradizione statale kazaka antecedente al 1991, alimentando l’irritazione dello stesso Nazarbaev, che tuttavia, pur consapevole degli effetti potenzialmente destabilizzanti delle dichiarazioni dell’omologo russo, preferì mantenere un approccio cauto, in modo da evitare una pericolosa escalation con il suo alleato.
L’attacco russo all’Ucraina nel 2022 potrebbe provocare nuove tensioni tra i due governi, i segnali di queste ultime settimane non sono buoni e fanno presagire il ripetersi della spiacevole situazione del 2014; il nuovo presidente della repubblica kazaka, Qasym-Jomart Toqaev, durante il Forum economico di San Pietroburgo ha ribadito la sua contrarietà al riconoscimento delle entità separatiste di Doneck e Lugansk, sottolineando che “se il diritto all’autodeterminazione di tutte le nazioni si realizzasse pienamente, nel mondo ci sarebbero oltre 500 o 600 stati, una situazione che porterebbe al caos”. Mostrando la stessa intransigenza del suo predecessore, Toqaev ha voluto platealmente ribadire il chiaro messaggio che il governo di Nur Sultan non è disposto ad accettare che l’integrità territoriale del Kazakistan sia messa in discussione, anche a costo di rompere l’amicizia con Mosca.

Fonti:
– BETTANIN FABIO, Putin e il mondo che verrà. Storia e politica della Russia nel nuovo contesto internazionale, Roma, Viella, 2018
– BRILL OLCOT MARTHA, After Crimea: Will Kazakhstan be Next in Putin’s Reintegration Project?, Carnegie Endowment for International Peace, March 5, 2014
– COHEN SAUL BERNARD, Geopolitics. The Geography of International Relations, Londra,Rowman & Littlefield, 2015
– FATLAND ERIKA, Sovietistan. Un viaggio in Asia Centrale, Venezia, Marsilio Editore (edizione italiana), 2017
– HIRO DILIP, Inside Central Asia. A Political and Cultural History of Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkey and Iran, Londra, Overlook Press, 2009
– JEAN CARLO, Geopolitica del mondo contemporaneo, Bari, Laterza, 2012
– LILLIS JOANNA, Kazakhstan-Russia frictions over Ukraine war go public, Eurasianet, Jun 20, 2022