L’artico russo, dagli attriti nel Consiglio Artico all’asse Mosca-Pechino per le materie prime siberiane

di Lorenzo Pallavicini

Per la strategia geopolitica russa, oscillante tra un occidente ostile e l’estremo oriente disponibile ma a determinate condizioni, l’Artico è la base per contribuire all’azzeramento dell’impatto delle sanzioni economiche occidentali che, in particolare sul fronte tecnologico, hanno creato problemi all’economia russa.
Secondo stime dell’Istituto geologico degli Stati Uniti, il 20% delle risorse mondiali di petrolio e gas si trova nell’Artico, con possibilità di riserve maggiori rispetto ai giacimenti del golfo Persico e del mare del Nord europeo, oltre alla presenza nella Russia artica di vaste risorse minerarie fondamentali per l’industria come nichel, cobalto, rame, oro, platino, diamanti.
Tramite tali ricchezze, ancora non sfruttate a pieno viste le difficoltà morfologiche dei terreni artici, i russi hanno una forte moneta di scambio con paesi come India e Cina, che possono fornire a Mosca la tecnologia, alternativa a quella occidentale, indispensabile per mantenere competitiva la propria economia ed il proprio potenziale bellico.
I cambiamenti climatici stanno producendo un impatto accentuato in queste aree, un tempo impraticabili per la navigazione a causa dei ghiacci perenni. Con il deciso raffreddamento delle relazioni tra occidente e Federazione Russa, l’interesse per le vie di navigazione artiche si è rafforzato e potrebbe portare a rotte commerciali insperate fino a diversi decenni fa, cruciali per il trasporto delle materie prime russe in estremo oriente.
Tali rotte sono ancora poco usate dal commercio marittimo cinese, ma rimane forte l’interesse anche nell’ottica del partenariato dell’estrazione di materiali, come la joint venture tra la russa Rusitan e la China Communications and Construction Company che prevede la costruzione di un nuovo gasdotto dalla penisola di Yamal alla Cina attraverso la Mongolia, essenziale per Gazprom per compensare il crollo dell’export di gas in Europa.
Le rotte artiche sono potenzialmente più corte in una proporzione dal 30% al 50% rispetto al canale di Panama o quello di Suez e il governo russo, coinvolgendo le agenzie statali dell’energia come Rosatom, ha investito nel corso degli anni risorse miliardarie per il potenziamento di terminal portuali e della flotta rompighiaccio nucleare, in modo da rendere accessibili i porti tutto l’anno e navigabile il più possibile il mar Glaciale Artico.
Dal punto di vista politico, a dicembre 2022 il Parlamento russo ha approvato una legge che limita la libertà di navigazione lungo il passaggio a nord-est della rotta artica, infrangendo quanto stabilito dalla Convenzione ONU sul diritto del mare e, su mandato del presidente Putin, è stato dato il via libera all’emendamento sulla strategia della Russia nell’Artico, dove Mosca intende rafforzare le relazioni bilaterali a scapito del Consiglio Artico.
Il Consiglio Artico, formatosi nel 1996 a partire dalla dichiarazione di Ottawa, è un forum dei paesi artici con focus incentrato sullo sviluppo ambientale e sostenibile. Gli attuali otto Stati membri del Consiglio Artico sono Canada, Danimarca , Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti d’America e Svezia, oltre a membri osservatori di rilevanza, tra cui la Cina e l’Italia, con quest’ultima presente per la base di ricerca scientifica Dirigibile Italia nelle isole Svalbard.
Questo mese la presidenza del Consiglio Artico passa dalla Russia alla Norvegia, membro NATO e alleato occidentale. Dall’inizio del conflitto russo ucraino ne sono stati sospesi i lavori, su decisione dei membri occidentali, sebbene si siano evitate misure come l’espulsione della Russia dal consiglio, anche per l’assenza di vincolo delle decisioni che il consiglio può prendere.
La partita artica rimane aperta e senza chiusure totali dei canali diplomatici bilaterali, anche per la consapevolezza, comune a tutti, di avere a che fare con un territorio particolare, unico a livello mondiale come difficoltà ambientali e climatiche.
In alcuni casi, si trovano persino accordi come quello sulla divisione delle quote di pesca nel mare di Barents tra russi e norvegesi del novembre 2022, un calmante dopo le forti tensioni legate alle isole Svalbard e al blocco, da parte norvegese, delle navi cargo russe nell’arcipelago, dove Mosca detiene un insediamento di minatori russi, Barentsburg, una mossa figlia dell’applicazione delle sanzioni occidentali, a cui la Norvegia ha aderito.
L’ambiente artico è una delle chiavi per il potenziamento dell’asse russo cinese, che vede Pechino acquirente privilegiato a prezzi vantaggiosi delle materie prime russe, sostenendo così l’economia del Cremlino e assicurando alle industrie cinesi sviluppo e crescita, un modello non dissimile da quanto fece l’Europa dopo la fine dell’Unione Sovietica, con paesi come Germania ed Italia ad ottenere forniture di gas russo a basso costo con contratti vincolati a lungo termine.
Dall’interesse per lo sviluppo sostenibile ed ambientale dell’artico, politica predominante almeno fino al 2014 e al primo forte raffreddamento delle relazioni Russia-Occidente, è probabile che si passi a considerare tale porzione del pianeta come una delle nuove frontiere della divisione tra il mondo occidentale e l’asse sino russo, una sorta di “cortina di ghiaccio” che, seppur sia improbabile scateni conflitti armati, può rivelarsi determinante per finanziare conflitti in corso come quello in Ucraina.