Le pressioni di lobby e governi per “non” ridurre le emissioni

di C.Alessandro Mauceri

Tra pochi giorni a Glasgow, in Scozia, si terranno i lavori della COP26. L’evento, rimandato lo scorso anno a causa della pandemia, è stato preceduto da una miriade di eventi e da numerose iniziative tutte incentrate sullo stesso argomento: ridurre le emissioni di CO2 e limitare l’innalzamento delle temperature medie del pianeta.
In vista della COP26 c’è grande attesa per il “rapporto di valutazione” prodotto dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’organismo delle Nazioni Unite incaricato di valutare la scienza del cambiamento climatico. Un documento particolarmente importante in quanto è sulla base di queste ricerche che i singoli governi definiscono le azioni da intraprendere. E fanno le proprie “promesse” per ridurre i cambiamenti climatici.
Finora si pensava che tutti i paesi fossero d’accordo sulla riduzione, o sulla totale eliminazione, basti pensare al New Green Deal della Commissione Europea, delle emissioni di CO2 ad uso antropico, seppure con tempistiche e limiti diversi.
Nei giorni scorsi però il team di Greenpeace UK e Unearthed ha scovato e inviato a BBC News oltre 32mila osservazioni fatte da governi, aziende e altre parti interessate al team di scienziati che compila il rapporto IPCC.
Dai documenti recuperati risulta che molti paesi “sviluppati” o legati al petrolio (Arabia Saudita e Australia insieme a Cina, Argentina, Norvegia, Giappone e altri) hanno chiesto alle Nazioni Unite di minimizzare la necessità di allontanarsi rapidamente dai combustibili fossili. Di rallentare il processo di eliminazione delle emissioni di CO2. Alcuni paesi “ricchi” avrebbero addirittura messo in discussione il sostegno finanziario agli stati più poveri per passare a tecnologie più verdi.
Una vera e propria “lobby” fatta da governi e organizzazioni internazionali. Tutti uniti nel ribadire che per salvare il mondo non sia necessario ridurre l’uso di combustibili fossili così in fretta. Documenti trapelati rivelano che i paesi produttori di combustibili fossili e carne fanno pressioni contro l’azione per il clima – Unearthed (greenpeace.org)
Ad esempio un consigliere del Ministero del Petrolio saudita avrebbe detto che “frasi come ‘la necessità di azioni di mitigazione urgenti e accelerate a tutte le scale …’ dovrebbero essere eliminate dalla relazione”. Un funzionario del governo australiano ha negato la necessità di chiudere le centrali a carbone. E un ricercatore dell’Istituto centrale indiano di ricerca mineraria e sui combustibili ha detto che il carbone rimarrà il pilastro della produzione di energia per decenni per permettere di fornire elettricità a prezzi accessibili.
Ovvio l’interesse di questi paesi nelle valutazioni dell’IPCC: l’Arabia Saudita è uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo e l’Australia è uno dei maggiori esportatori di carbone. Quanto all’India è il secondo più grande consumatore mondiale di carbone.
Alcuni di questi suggerimenti propongono il ricorso a tecnologie emergenti ma ancora troppo costose, che permetterebbero di catturare e immagazzinare l’anidride carbonica nel sottosuolo (CCS). In realtà, secondo uno studio del Global CCS Institute, ad oggi solo una centrale elettrica sarebbe riuscita a utilizzare queste tecnologie in modo efficiente.
Anche l’Opec, l’Organizzazione che riunisce 13 paesi tra i maggiori esportatori di petrolio (tra cui l’Arabia Saudita), secondo le dichiarazioni di Unearthed, avrebbe chiesto agli autori del rapporto dell’IPCC di cancellare la conclusione: “Se il riscaldamento deve essere limitato a 2°C, circa il 30% del petrolio, il 50% del gas e l’80% delle riserve di carbone rimarranno incombustibili”.
Unica voce fuori del coro, l’Iran che, sebbene membro dell’OPEC, ha dichiarato che limitare il riscaldamento globale a 1,5°C non è possibile e che il mondo dovrebbe puntare a 2°C: “Date le tendenze e le tecnologie attuali, una continua riduzione annuale delle emissioni di gas serra di oltre il 5% tra il 2021 e il 2030 è altamente improbabile. Anche i paesi sviluppati non sono ancora stati in grado di ridurre continuamente le emissioni a questo livello. Pertanto, sembra che l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura a 2°C dovrebbe essere perseguito invece dell’obiettivo di 1,5°C, come concordato nell’accordo di Parigi”.
Altro tema caldo per le pressioni l’agricoltura e in particolare l’allevamento di bovini. I risultati di uno studio del 2018, pubblicato sull’autorevole rivista “Science” e che tiene conto dei dati di 38.700 aziende agricole in 119 paesi, ha rilevato che il passaggio “dalle diete attuali a una dieta che esclude i prodotti animali” ridurrebbe l’uso del suolo alimentare di circa 3,1 miliardi di ettari. Ma soprattutto ridurrebbe le emissioni di carbonio del 49%. “Non vogliamo dire alla gente cosa mangiare”, dichiarò in quell’occasione il co-presidente del gruppo di lavoro sull’adattamento dell’IPCC, Hans-Otto Pörtner, “Ma sarebbe davvero vantaggioso, sia per il clima che per la salute umana, se le persone in molti paesi ricchi consumassero meno carne e se la politica creasse incentivi appropriati in tal senso”.
In vista della pubblicazione del prossimo rapporto IPCC Brasile e Argentina, due dei maggiori produttori mondiali di carne bovina e mangimi per animali, hanno esercitato pressioni per eliminare i messaggi del rapporto sui benefici climatici della promozione di diete “a base vegetale” e sulla riduzione del consumo di carne e latticini. L’Argentina ha chiesto di eliminare una serie di suggerimenti, compresi i riferimenti alle tasse sulla carne rossa e la campagna internazionale “Meatless Monday”, che incoraggia le persone a fare il vegetariano almeno un giorno alla settimana dicendo che si tratterebbe di “concetti di parte”.
“I nostri processi sono progettati per proteggersi dalle lobby, da tutte le parti”, ha detto un delegato dell’IPCC. Secondo la professoressa Corinne le Quéré dell’Università dell’East Anglia, che ha partecipato alla realizzazione di tre rapporti dell’IPCC, “Non c’è assolutamente alcuna pressione sugli scienziati per accettare i commenti”. “Se i commenti sono di lobbying, se non sono giustificati dalla scienza, non saranno integrati nei rapporti dell’IPCC”.
Nel 2007 le Nazioni Unite hanno ricevuto il premio Nobel per il lavoro svolto dall’IPCC sulla scienza del clima e per il ruolo cruciale nell’affrontare i cambiamenti climatici. Forse dovrebbero riceverne un altro per la capacità di difendersi dalle pressioni dei governi e delle lobby.