Le sette vite di al-Baghdadi: il “Califfo” ricompare in un video

di Enrico Oliari

Il Site, organizzazione statunitense diretta da Rita Katz che monitora le attività dei terroristi in rete, ha intercettato un video di 18 minuti in cui compare il “Califfo” Abu Bakr al-Baghdad, leader dello Stato Islamico, lanciare un messaggio ai suoi nel quale parla di “intensificare gli attacchi” in Mali e Burkina Faso, fa riferimento alla “caduta dei tiranni in Sudan e Algeria” e plaude ai “fratelli in Sri Lanka” che “hanno scaldato i cuori dei musulmani”.
Si tratta di fatti attuali, dal caso del presidente algerino Buteflika agli attacchi agli hotel e alle chiese dello Sri Lanka di pochi giorni fa, cosa che data come recentissima la registrazione del video.
Invecchiato e ingrassato rispetto al video del 2014 in cui proclamava dalla moschea di Mosul la nascita dello Stato Islamico, nel video realizzato e diffuso come per il messaggio audio dello corso anno da al-Furqan, la sezione media dell’Isis, al-Baghdadi si rivolge a tre dei suoi che però appaiono con il volto coperto, insistendo nella “guerra contro i crociati” e parlando delle battaglia di al-Baghuz, in Siria, che ha determinato la sconfitta dell’Isis come territorio nel paese mediorientale.
Ha poi inviato un messaggio al proprio luogotenente nell’amica sahariana e subsahariana, Adnan Abu al-Walid al-Sahrawi, chiedendogli “intensificare gli attacchi contro la Francia crociata e i suoi alleati”.
Al Baghdadi è quindi vivo e gode di ottima salute, nonostante fosse dato più volte per morto dalle intelligente blasonate di Russia, Usa e Israele. Già il 23 agosto 2018 aveva stupito il mondo parlando in un messaggio rivolto ai jihadisti ed intitolato “Buone notizie per coloro che hanno pazienza”, ma bisogna risalire al settembre 2017 per trovare il precedente, cioè a quasi un anno prima, periodo forse usato per guarire dalle ferite di attacchi e bombardamenti messi in atto verso la sua persona.
Era stata Mosca a dichiarare l’uccisione di al-Baghdadi in un raid russo il 28 maggio 2017 nella città di Raqqa, ex capitale siriana dello Stato Islamico poi trasferita ad al-Mayadin, ma il “Califfo” è sembrato sempre avere sette vite come i gatti: la prima volta è stato dato per morto nel 2005, dagli statunitensi; il 14 giungo 2016 è stata la volta dell’agenzia iraniana Abna ad annunciare l’uccisione in un raid di al-Baghdadi; l’11 ottobre 2015 è giunta notizia che era scampato ad un raid, il 15 aprile dello stesso anno era stato affermato prima che era rimasto ucciso e poi che era rimasto paralizzato a causa di un attacco aereo, nel novembre 2014 le notizie riportavano che era stato ferito in un raid, stessa cosa nel luglio dello stesso anno.
Nel giugno del 2017 è stato il ministero della Difesa russo ad annunciare la quasi certa morte del leader dell’Isis in un attacco di Su-35 e Su-34 ad un sobborgo meridionale di Raqqa, raso al suolo, mentre era in corso un vertice dei capi dell’Isis con i miliziani 300 miliziani di scorta.
A portare gli aerei sull’obiettivo era stata un’informazione di infiltrati poi confermata dalle immagini satellitari che avevano inquadrato i vari convogli diretti nel sobborgo.
Nel luglio 2017 la tv panaraba al-Arabiya aveva riferito che ad al-Baghdadi era succeduto Jalaluddin al-Tunisi, vero nome Mohamed Ben Salem al-Ayouni, nato nel 1982 nella regione di Masaken della provincia della costiera tunisina di Susa.
Il vero nome di al-Baghdai è Ali al-Badri al-Samarra, 45 anni e di Baghdad, dottore in Studi islamici e di docente all’università di Tirkrit. Sposato due volte, ha cinque figli.
Nel 2003 ha preso parte all’insurrezione irachena poco dopo l’invasione Usa, è stato arrestato dai militari americani ma nel 2010 è apparso alla guida della branca irachena di al-Qaeda.
Approfittando dell’insurrezione contro il regime siriano di Bashar al-Assad e contro il governo filo-iraniano dell’Iraq, nel 2011 ha trasformato la diramazione di al-Qaeda da lui controllata nell’Isil e poi nell’Isis, Stato Islamico a cui aderirono in modo spontaneo popolazioni e città sunnite e soprattutto una moltitudine di imprenditori, militari, amministratori, diplomatici e quant’altro messi da parte con la caduta di Saddam Hussein.