a cura di Francesco Cirillo –
In occasione della conferenza dellla NATO Defense College Foundation, “Game Changers In Global Security”, abbiamo intervistato Roberto Menotti, Editor in Chief di Aspenia online. Con lui abbiamo tentato di ipotizzare la futura politica internazionale statunitense dell’amministrazione Joe Biden, con un occhio alla presidenza dell’uscente Donald Trump.
– Quale sarà l’eredità della presidenza Trump?
“L’approccio “America First” e il metodo “transattivo” in politica estera hanno soprattutto indebolito le strutture multilaterali esistenti (che per la verità erano già in notevole affanno) e messo in dubbio l’affidabilità delle tradizionali alleanze a guida americana. Gli USA hanno anche rinunciato del tutto a nuove forme di collaborazione ad ampio spettro, soprattutto in campo economico, ricorrendo sistematicamente allo strumento dei dazi commerciali e delle sanzioni economiche. Nell’area del “Grande Medio oriente” il tentativo di ridurre la presenza militare americana ha incontrato vari ostacoli pratici e ha comunque aperto la strada a interventi politico-militari di varie potenze regionali, in assenza di qualsiasi quadro strategico o processo negoziale condiviso – con l’eccezione dell’apertura di rapporti diplomatici tra alcune monarchie del Golfo e Israele grazie ai cosiddetti “Accordi di Abramo”. Sul piano globale, i rapporti con la Cina sono decisamente peggiorati, senza però che si sia intravista una strategia di medio-lungo periodo per la costruzione di un solido fronte internazionale per il contenimento di alcune iniziative cinesi; intanto i rapporti con la Russia hanno più volte oscillato, lasciando comunque a Mosca la tentazione di lavorare a un’intesa complessiva con Pechino (per quanto difficile) e la possibilità di sfruttare opportunisticamente il relativo disimpegno americano in aree che si ritenevano importanti fino a poco tempo fa. Quanto alle modalità di gestione delle crisi regionali, su almeno tre dossier specifici l’amministrazione Trump ha mostrato un comportamento piuttosto erratico – facendo spesso dell’imprevedibilità una vera tattica negoziale, con risultati tuttavia scarsi: il programma nucleare iraniano, quello nordcoreano, e gli sviluppi politici in Venezuela. Nell’insieme, si può dire che i rapporti con gli alleati (ad eccezione di Israele) escano danneggiati dagli ultimi quattro anni, mentre quelli con gli avversari non hanno portato a vantaggi tangibili neppure per gli interessi americani intesi in senso stretto”.
– Come gestirà Biden i dossier della politica estera e quali saranno le relazioni tra Washington e il Vecchio continente?
“Biden cercherà di impostare la politica estera sui classici pilastri del realismo “illuminato” e multilaterale di marca progressista – dovendo però aggiornare necessariamente alcuni aspetti della tradizione che va da Bill Clinton a (con alcune correzioni già allora) Barack Obama. Il peso della Cina è aumentato in modo considerevole e condizionerà molte scelte americane, per cui l’Europa sarà vista (come potenziale alleato affidabile) nel contesto di una nuova competizione a tutto campo tra grandi potenze. L’Europa è al contempo un “competitor” economico in alcuni settori rilevanti, in una fase di difficoltà per la crescita dovuta anche alle profonde ripercussioni della pandemia, e non ha comunque interessi del tutto coincidenti con quelli americani. Ci sarà dunque una notevole apertura di credito iniziale verso il Vecchio Continente, forse a partire proprio dalla lotta contro il Covid-19, ma in base a un atteggiamento pragmatico nel valutare le effettive capacità e disponibilità europee di collaborare con Washington. Le future relazioni dipenderanno ovviamente anche dalle scelte europee su dossier specifici, dai rapporti energetici con la Russia agli scambi tecnologici con la Cina, per arrivare a possibili azioni diplomatiche, economiche e forse militari in alcune aree calde del Medio Oriente e dell’Africa subsahariana”.
– Cosa si può aspettare l’Italia dall’amministrazione Biden?
“L’Italia potrà trovare una sponda diplomatica più affidabile su vari dossier mediterranei, che comunque non risolverà di per sé nessuno dei problemi regionali che Roma deve affrontare, in particolare nei rapporti con Libia ed Egitto. Dovrà poi gestire la ricorrente sfida di articolare i propri rapporti economici con la Russia in modo da non allarmare Washington (con riflessi sia in ambito bilaterale che nel contesto della NATO), e quella di intensificare gli scambi con la Cina pur in un’ottica di condizionalità concordata con Stati Uniti e partner europei. Si potranno discutere questioni commerciali bilaterali in un’atmosfera probabilmente più distesa rispetto agli ultimi quattro anni, tenendo però conto di un’opinione pubblica americana che resta complessivamente propensa ad alcune operazioni di “reshoring” della produzione soprattutto manifatturiera. In chiave di negoziati multilaterali (compreso il contesto del G20) sono possibili passi avanti nella direzione spesso auspicata dall’Italia, cioè una maggiore apertura dei mercati ma anche una definizione di standard comuni a tutela di alcune produzioni e dei consumatori. In un settore geopolitico specifico molto promettente ma altrettanto delicato, quello del Mediterraneo orientale, si potranno esplorare sinergie tra Roma e Washington: lo sfruttamento delle riserve energetiche di “East Med” richiede e in parte favorisce intese innovative con possibili ricadute positive per gli interessi americani – ad esempio in chiave di un coinvolgimenti di Israele e contemporaneamente dell’Egitto; andrà però gestita la complessa questione turca, che è comunque di interesse tanto per l’Italia quanto per gli USA sebbene da prospettive diverse”.
Washington chiederà maggior impegno ai suoi alleati circa i dossier del Mediterraneo?
“Non è detto che ciò accada in modo diretto, ma certamente l’amministrazione Biden vedrebbe con favore una maggiore capacità europea di stabilizzare la Libia, riportare la Turchia a più miti consigli, o contribuire almeno economicamente a una pacificazione graduale della Siria. E’ possibile che vi sia una richiesta più esplicita di collaborazione attiva in chiave anti-terrorismo – settore nel quale comunque il “fronte” è vastissimo e va ben oltre il bacino del Mediterraneo per spingersi in buona parte del continente africano e in Asia centrale. Ci si può aspettare una certa pressione sugli europei per contrastare la presenza russa in alcuni teatri di crisi (soprattutto Siria e Libia), e l’avanzata economica della Cina (porti, infrastrutture, e in genere investimenti in settori strategici): entrambi i temi saranno affrontati in ambito NATO e in chiave bilaterale USA-UE. Molto dipenderà poi da eventi ad oggi non prevedibili, come una eventuale nuova fiammata di proteste contro alcuni regimi mediorientali che costringerebbe tanto Washington quanto le capitali europee (e Bruxelles come espressione di una posizione “mediana” europea) a compiere scelte difficili in un quadro di grande incertezza”.
– Cosa invece si aspetterà la futura amministrazione statunitense dall’Europa?
“L’amministrazione Biden si aspetta anzitutto una generica disponibilità a ricucire rapporti diplomatici intensi e regolari, sullo sfondo della maggiore sfida “sistemica” dalla prospettiva americana, cioè la Cina come potenziale avversario su scala quasi-globale. Nell’immediato, la gestione della pandemia e in certa misura dei suoi effetti economici sarà un terreno ci confronto, e possibile collaborazione, tra le due sponde dell’Atlantico. Washington spera anche di poter costruire un buon livello di consenso su alcuni standard tecnologici (dal 5G alla regolamentazione delle grandi piattaforme digitali), evitando scontri frontali con la Ue. In sostanza, l’Europa è vista come un partner potenziale per la ridefinizione degli strumenti che serviranno a orientare la globalizzazione (anche in termini di politiche ambientali) e – se si renderà necessario – a gestire un parziale processo di “deglobalizzazione”. Continueranno le richieste di un maggiore impegno europeo nello sviluppo di capacità di difesa (complementari a quelle americane, ma forse parzialmente autonome in alcuni settori e in alcune aree geografiche di azione), e potrebbe intanto essere avviata un’iniziativa più ampia (rivolta anche a Paesi come il Giappone, l’India e l’Australia) a sostegno degli ideali e dei metodi di governo democratici – con la conseguente aspettativa che gli europei siano in prima linea”.