Libia. Ahmed Benail racconta per la prima volta la sua verità sul massacro di Brak al-Shati

a cura di Vanessa Tomassini

“Era esattamente il 18 maggio 2017 quando 155 persone venivano uccise a Brak al-Shati; soltanto 20 di questi erano militari, gli altri 135 martiri erano civili di cui molti giovanissimi che non avevano ancora compiuto 18 anni. L’attacco è stato condotto da gruppi estremisti affiliati ad al-Qaeda e Daesh e dagli uomini della Terza Forza di Misurata, controllata dal Consiglio di Presidenza del Governo di Accordo Nazionale, sotto l’egida del generale Jamal Triki e di Mohammed Kulaioan. A differenza di quanto riportato dai media c’erano tantissimi cittadini perché gli uomini armati hanno iniziato a catturare gente lungo la strada che conduce alla base militare, caricando sui loro mezzi chiunque incrociassero lungo il loro percorso. Erano quasi le 7 mattino quando è iniziata l’irruzione e se ne sono andati soltanto alle 6 del pomeriggio, dopo che avevano ucciso tutti”. A raccontarci queste cose, parlando per la prima volta alla stampa, è Ahmed Benail, presidente dell’Organizzazione per i Martiri di Brak al-Shati che nel massacro ha perso suo fratello Alì, con il quale era legatissimo. Ci teniamo a precisare prima di iniziare questa intervista che Ahmed ha indicato il coinvolgimento di un membro molto importante del Consiglio Presidenziale, che li avrebbe contattati telefonicamente una settimana prima del tragico evento per proporre un ultimatum: la possibilità di unirsi alla Terza Forza. In questa sede ha preferito non indicarci questa informazione poiché certo che i processi debbano svolgersi nelle aule dei tribunali. E’ tuttavia giusto e dovuto ai familiari delle vittime cercare di fare chiarezza su quello che risulta essere il più grande massacro avvenuto in Libia dal 2011.

– Qual è la correlazione tra la Terza Forza, Daesh e al-Qaeda?
“La Terza Forza è la milizia che per anni è stata presente nel Sud per il Consiglio di Presidenza del Governo di Accordo Nazionale, essa dipende ed è finanziata dai Fratelli Musulmani. Mentre la Terza Forza era stipendiata dal Consiglio Presidenziale in modo ufficiale con la formazione del Congresso Nazionale, i gruppi legati a Daesh ed al-Qaeda ricevono supporto, seppur in modo meno esplicito, dalla stessa classe politica”.

– Qual è stato il motivo di questo attacco?
“Si tratta di una rivincita contro la tribù Almgarh’a e per estendere il controllo del Consiglio Presidenziale nel sud…”.

– Quel giorno ha perso suo fratello, se la sente di parlarci di lui?
“Mio fratello aveva 33 anni, come tutti i giovani libici sognava un domani migliore. Si chiamava Alì e mi manca terribilmente, ha seguito un master in Project Management in Malesia, tuttavia le circostanze del nostro paese in particolare del sud, lo hanno costretto ad abbracciare le armi per proteggere la sua famiglia e la sua città dai criminali e dagli estremisti in assenza dell’autorità dello Stato. Era un giovane uomo coraggioso e il padre di una bambina di sette giorni che ha potuto vedere una sola volta, una sola, prima di salutare sua madre ed uscire senza che potesse mai più tornare…”.

– Per questo attacco è stato sospeso il ministro della Difesa, Mahdi al-Barghathi. Crede che sia sua la responsabilità di quanto accaduto o c’è qualcun altro dietro?
“La Terza Forza di Misurata risponde al Consiglio di Presidenza e Mahdi al-Barghathi è il ministro della Difesa di questo governo. Il comandante della Terza Forza è Jamal al-Treiki, il quale ha dichiarato di aver ricevuto istruzioni dal presidente Fayez al-Serraj e dal vicepresidente Abdul Salam Kajman, ci sono prove audio ed altre evidenze che lo dimostrano. Alle operazioni ha partecipato anche Ahmed Hisnawi, leader di Al-Qaeda, il cui nome è iscritto nelle liste nere degli Stati Uniti, come si vede in un video che lo ritrae a bordo della sua auto con la bandiera usata da Daesh, in bella vista. Al-Treiki ora è scomparso, il suo telefono è irraggiungibile a tutti e si dice che sia stato allontanato dalla Libia proprio per non parlare di questi fatti”.

-Anche il ministro al-Barghathi accusa il presidente Fayez al-Serraj, è così?
“Si, il ministro al-Barghathi ha collaborato con le indagini e si è dimostrato pronto a rispondere delle sue responsabilità davanti ad un tribunale locale o internazionale. Ha chiesto in diversi interventi sui media che vengano rivelati i risultati delle indagini svolte dal comitato del ministero della Giustizia, anche se non mi aspetto che questo comitato, che non ha nemmeno contattato le famiglie, sia onesto. Inoltre va considerato che lo stesso comitato si trova sotto l’influenza del Governo di Accordo Nazionale e delle sue milizie, per questo al-Barghathi ha scritto una lettera al Consiglio Presidenziale e nello stesso momento alla Camera dei Rappresentanti di Tobruk. Anche noi famiglie delle vittime vogliamo che venga fatta giustizia e perseguiti i responsabili, indipendentemente dal ruolo che ricoprono”.

– 155 vittime, credo possa essere considerato un genocidio se non un crimine di guerra. Vi siete già rivolti alla Corte Penale Internazionale?
“L’organizzazione dei familiari dei Martiri di Brak el-Shati, di cui sono presidente, è stata fondata da poco e siamo seguiti da un gruppo di legali volontari che ci stanno aiutando a raccogliere le evidenze e i fatti da presentare al procuratore della CPI, affinché indaghi su questo evento che rappresenta un genocidio etnico o un crimine di guerra, contro l’umanità. Siamo in contatto con diverse organizzazioni umanitarie, per il momento ci siamo seduti con diverse organizzazioni internazionali alle quali abbiamo esposto la terribile vicenda, con tanto di video e foto, oltre ad aver fatto presente che questo non è il primo crimine compiuto nel sud libico dalle milizie del Governo di Accordo Nazionale, supportato dalla comunità internazionale che non muove un dito contro questi gruppi armati”.

– Vuole fare un appello? Cosa chiedete?
“Ci sono un centinaio di vedove libiche, oltre 50 case sono state distrutte, centinaia di bambini non hanno più un padre e nessun governo si è interessato a loro. Chiediamo verità per i 155 martiri e l’attenzione del mondo verso il Sud della Libia, che da solo si trova a fronteggiare terrorismo, criminalità e immigrazione illegale…”.