Libia. Il caos libico pesa sull’inesperienza di Conte. Gentiloni, ‘coinvolgere gli Usa nel dialogo’

Domani incontro decisivo: al-Serraj a Roma, vedrà Conte.

di Enrico Oliari –

Continua a salire il bilancio degli scontri in Libia, ad un mese dall’inizio dell’offensiva di Khalifa Haftar su Tripoli. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha infatti denunciato che il numero delle vittime è salito a 392 morti e 1.936 feriti, mentre sono 55mila gli sfollati dalle aree degli scontri.
Nel frattempo in Italia il governo continua a mostrare una certa difficoltà sul dossier libico, dopo che nei giorni scorsi, precisamente il 15 aprile, il presidente Usa Donald Trump ha palesato il suo appoggio ad Haftar, e poco dopo da Pechino, dove ha incontrato il presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi, il premier Giuseppe Conte ha affermato che “l’Italia non interverrà militarmente in Libia”, e soprattutto che il nostro paese non sta “né con Haftar né con al- Sarraj”.
Si noti che proprio l’Italia è stato il maggior sponsor del governo di al-Serraj, al momento il solo riconosciuto dalla comunità internazionale, e venerdì,
intervenendo sulla crisi libica davanti alla commissione Esteri della Camera, il ministro Enzo Moavero Milanesi ha precisato che ”Siamo esattamente nella posizione dell’intera comunità internazionale, che riconosce il governo Serraj, che peraltro è stato interlocutore anche della componente cirenaica dello scenario libico nei mesi scorsi”. “Noi pensiamo – ha continuato il numero uno ella Farnesina – che bisogna mantenere un contatto di dialogo anche con tutti gli altri protagonisti dello scenario libico, anche con il generale Haftar che rimane un attore estremamente importante nella parte est del Paese”. Per Moavero Milanesi “se vogliamo svolgere qualcosa di positivo come Italia per la Libia, dobbiamo muoverci su un binario di dialogo inclusivo con tutte le componenti che abbiano una rappresentatività, che accettino il dialogo perlomeno con noi e poi cercare di rimetterli in dialogo tra di loro”.
L’intervento di Milanesi rappresenta una smentita di quanto ha affermato il premier Conte, cosa peraltro giunta anche dal vicepremier Matteo Salvini, ma la confusione regna anche a livello sovranazionale per via dei diversi interessi strategici, con la Francia e l’Egitto che sostengono palesemente Haftar, mentre la Russia dà un colpo al cerchio ed uno alla botte.
A ben guardare il riposizionamento degli Stati Uniti di Donald Trump su Haftar non deve stupire più di tanto, dal momento che i rapporti fra il generale libico e la Cia sono cosa arcirisaputa: catturato nel 1987 dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, è stato prima impiegato dalla Cia con altri 2mila prigionieri in un’operazione senza successo per ribaltare il rais, poi è stato prelevato dalla stessa intelligence statunitense e portato negli Usa, dove vi è rimasto fino al 2011 per ricomparire in Libia a comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi. Negli Usa abitava a pochi chilometri dalla sede della Cia di Langley, in Virginia, vicino alla capitale federale Washington D.C.
Al contrario del gioco poco pulito che sta facendo la Francia, la quale, è bene ricordare, per prima ha bombardato Gheddafi spiazzando gli alleati, l‘Italia si è mossa in modo intelligente in Libia cercando di portare in un unico governo le diverse parti, anche quelle più islamiste: queste rappresentano una realtà importante politico-culturale radicata in Libia e non solo, e metterle da parte viene ad essere controproducente. Haftar, dichiaratamente contro tutti coloro che non sono con lui al punto di tacciare tutti di terrorismo (con lui operano gruppi realmente terroristici e finanziati dai sauditi, ad esempio i salafiti madahkilisti) si muove insomma come un elefante in una bottega di cristalli, e proprio la sua offensiva su Tripoli sta rischiando di trasformare la Libia in una nuova Siria o in un nuovo Iraq.
Per questo motivo l’equilibrismo di Conte rischia di avere l’effetto di una bomba atomica, ed il suo mezzo “yes sir” a Donald Trump potrebbe essere disastroso per la Libia e per l’Italia.
Non sbaglia quindi l’ex ministro degli Esteri ed ex premier Paolo Gentiloni nel momento in cui afferma, intervistato per il podcast Cavour, che “Con la politica estera dell’attuale governo, l’Italia rischia la completa irrilevanza in Libia”. Gentiloni ha spiegato che “L’Italia non ha sostenuto con sufficiente forza la necessità di un impegno statunitense per una soluzione diplomatica e pacifica nella crisi libica. E, allo stesso tempo, la politica estera italiana dei maggiori partiti di governo è vista con preoccupazione e scetticismo da parte dei nostri alleati”. “La soluzione praticabile per l’Italia – ha indicato – è quella di rimettersi al tavolo con i principali paesi europei, come Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, per ricreare un consenso e tentare di rimettere in campo una presenza, almeno in parte, degli Stati Uniti”- (…) “Nemmeno il presidente Trump vuole una radicalizzazione della situazione in Libia rischiando di presentarsi davanti agli elettori con una crisi in corso”.
Domani il capo el Consiglio presidenziale di Accordo nazionale, Fayez al-Serraj, sarà a Roma per vedere Conte. E lì sarà la prova dei fatti: o con Tripoli, o contro Tripoli.