L’Italia contraria a nuove sanzioni alla Russia. Perché, una volta tanto, si guarda anche al proprio interesse

di Enrico Oliari –

mogherini lavrov polonia russia grandeSarebbe l’Italia, ora, a tergiversare sulle sanzioni alla Russia: lo afferma il Financial Times, dove si legge che i diplomatici di diversi paesi europei, in particolare della Polonia e delle repubbliche Baltiche, favorevoli ad un appesantimento delle misure di ritorsione nei confronti di Mosca per la crisi ucraina, hanno lamentato che è Roma, e non più la Germania, a volerla tirare per le lunghe e quindi ad ostacolare l’attuazione della “fase tre” delle sanzioni. Questa prevede il passaggio dal colpire singoli individui (uomini d’affari, banchieri, imprenditori, diplomatici) all’attuare misure contro l’economia, ma, come ha spiegato al quotidiano londinese un diplomatico dell’Europa occidentale, “Fin dal primo giorno è stato chiaro che gli italiani avrebbero assunto una posizione estrema”.
Bella scoperta. L’Italia è legata a doppio filo con la Russia in diversi settori, basti pensare che al vertice italo-russo di Trieste del 26 novembre, al quale avevano preso parte Vladimir Putin con 11 suoi ministri e l’allora premier Enrico Letta, con i ministri corrispondenti, erano stati firmati una trentina fra intese ed accordi in ogni campo, da quello industriale a quello del commercio, da quello culturale a quello turistico.
E difatti lo scorso 9 luglio il ministro degli Esteri Federica Mogherini si è recata da Kiev a Mosca dove ha potuto incontrare l’omologo Serghei Lavrov: intervistata dall’agenzia di stampa Itar-Tass, Mogherini ha detto che “Le sanzioni contro la Russia sono soltanto uno strumento, e non un fine in sé” e che “Noi non abbiamo esitato a farvi ricorso, e non esisteremo se l’Unione Europea deciderà d’inasprirle nel caso in cui la crisi si aggravasse ulteriormente. Sono già in corso preparativi”.
Per il ministro italiano, alla sua prima missione con la presidenza italiana dell’Ue, “ Una soluzione durevole passa attraverso la diplomazia e il dialogo politico”, e “Insieme ai nostri colleghi dell’Ue sosteniamo iniziative che conducano a negoziati e al raggiungimento di obiettivi concreti. Vale a dire la salvaguardia dell’integrità territoriale dell’Ucraina, garanzie per i diritti delle minoranze, riforme omnicomprensive, il rilancio dell’economia e forniture energetiche sicure”.
“E’ tempo di azioni concrete e determinate quali un cessate il fuoco da ambedue le parti – ha continuato il ministro nel quadro di una mediazione italiana alla crisi – il rilascio di tutti gli ostaggi, l’instaurazione di controlli al confine russo-ucraino con la partecipazione dell’Osce”. Mogherini si è poi compiaciuta per il consenso della Russia al dispiegamento di “osservatori, anche ucraini, lungo la sua frontiera”.
Non è un caso se a borbottare per l’atteggiamento italiano sono i paesi dell’Europa nord-ordientale: alcuni di loro, come la Lettonia e l’Estonia hanno al loro interno inquiete minoranze russe, mentre tutti, compresa la Polonia (oggi foloamericanissima), hanno i conti aperti con Mosca poiché dall’Unione Sovietica si sono staccati a suon di rivoluzioni.
Sulla stampa moscovita, tuttavia, non è filtrato solo l’argomento Ucraina dalla visita di Mogherini a Lavrov, bensì anche una sorta di “placet” alla costruzione del gasdotto “South Stream”, osteggiato in tutti i modi da Bruxelles al punto di averne bloccato gli appalti in Bulgaria e di aver trasformato in niente più che una passeggiata il recente viaggio del ministro russo in Slovenia. Nulla di strano neanche in questo caso, dal momento che il gasdotto è per il 50% della Gazprom, per il 20 dell’italiana Eni e per i restanti 15 + 15 della francese Edf e della tedesca Wintershall, controllata da Basf.
Bruxelles teme che il South Stream possa rappresentare una sorta di cappio al collo dell’Europa, nonostante dall’Azerbaijan stia per arrivare il gas azero e forse anche iraniano (che ne ha per più anni della Russia) in Puglia attraverso il Tanap e il Tap e nonostante che già arrivi il gas dal Nordafrica (l’Algeria è il primo fornitore dell’Italia).
L’Italia, insomma, guarderebbe un po’ troppo ai propri interessi (cosa che fanno tutti), anche se spesso dalle parti di Varsavia e di Riga ci si dimentichi che l’Europa unita è stata fatta anche con i soldi degli italiani, quando ancora da quelle parti l’inno era quello cantato dal coro dell’Armata rossa e quando, poi, proprio da quelle parti sono state costruite le necessarie infrastrutture.
Lo scorso fine settimana Bruxelles ha inserito altri 11 nomi nella lista delle 61 personalità russe e ucraine colpite dalle sanzioni, molti dei quali sono di leader separatisti filorussi di Donesk e Luhansk, e fino a qui ci si può stare.
Ma arrivare a sanzioni che colpirebbero l’economia russa significherebbe dare bastonate a paesi esposti come l’Italia, per sostenere una bega estranea proprio perché l’Ucraina, altro paese dissestato e tutto da ricostruire, non fa parte dell’Europa unita.
A Donetsk, Lugansk e Slaviansk continuano gli scontri con i filo-russi, ma è bene leggere la situazione senza tralasciare il fatto che la situazione attuale è, giusto o meno che sia, scaturita dal rifiuto di Kiev di aderire all’Unione doganale ideata da Putin, nonostante i molti debiti del paese con Mosca. E forse la crisi in corso risponde al disegno russo di tenere alta la tensione per rendere definitiva l’annessione della Crimea, penisola dove Mosca ha la Flotta del Mar Nero, proprio quale risarcimento per la decisione di Kiev di guardare a occidente.
Una baruffa tutta in alfabeto cirillico, quindi, per cui non si capisce perché debba essere proprio l’Italia a pagarne il conto.