L’Ue del “tutti dentro”. Concesso lo status di candidati a Ucraina e Moldavia. Ma chi paga?

di Enrico Oliari

Come da programma e nella piena euforia occidentalista il Consiglio europeo ha concesso lo status di candidato all’Ucraina, per la prima volta a un paese in guerra. Stessa cosa per la Moldavia, come l’Ucraina ex repubblica sovietica, mentre alla Georgia, che non si trova neppure nel continente europeo bensì in Asia, è stato detto di aspettare e di lavorare sulle riforme, anche se in realtà il fattore deterrente è la questione dell’Ossezia del Sud e il conseguente intervento di Vladimir Putin a difesa della minoranza russofona.
Dopo il passaggio al Parlamento europeo, l’assemblea dei capi di Stato e di governo dell’Ue ha votato all’unanimità la concessione dello status di candidato ai due passi, che andranno a far compagni a Turchia, Macedonia del Nord, Montenegro, Albania e Serba, tutte nazioni dove saranno necessari gli euro dei contribuenti europei per costruire infrastrutture, sistemi economici, welfare ecc.
L’Ucraina, che conta 43 milioni i abitanti, è uno dei paesi più poveri d’Europa con un Pil pro capite nel 2018 di 2.963 dollari (133mo posto) e il Ppa (potere d’acquisto reale) di 9.283; nel 2020 il Pil complessivo è stato di 155,6 miliardi di dollari, con un calo del 4%. Dal 2014 l’Ue ha versato all’Ucraina 17 miliardi di euro per sostenerne il percorso di democratizzazione, ma il sistema politico è la fotocopia di quello russo, cioè con i molti poveri e gli oligarchi straricchi, la corruzione alle stelle e la criminalità organizzata diffusa.
La Moldavia si trova pressapoco nelle stesse condizioni economiche, ma lì i cittadini sono 3 milioni e 600mila: il Pil nel 2018 è stato di 3.217 dollari, ma il Ppa è stato di 7.304 dollari. Anche la Moldavia ha il suo Donbass, cioè la striscia di terra abitata dai russofoni e dal nome Transnistria, anche se lì, a differenza che in Ucraina, non sono state soppresse le scuole e i media in lingua russa.
La presidente della Commissione europea ha salutato il voto del Consiglio affermando che “Questo è un grande giorno per l’Europa. Mi congratulo con tutti i presidenti. Queste nazioni sono sempre state parte della famiglia europea, cosa confermata dalla decisione assunta oggi. E’ una speranza per gli ucraini e per i moldavi”.
Stessi toni dalla presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola e dai vari leader europei, ed il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha commentato che “Il nostro futuro è insieme”. Michel ha anche annunciato che “il Consiglio europeo è pronto a prendere in considerazione lo status di Paese candidato della Bosnia ed Erzegovina”, ma dopo che la Commissione europea avrà presentato la sua relazione.
Paesi che costano agli europei, e non poco. E che magari, come ha fatto il ministro delle Finanze ungherese Mihaly Varga sulla tv di Stato, metteranno in progetto di lasciare la Casa comune “quando prevediamo di diventare contributori netti dell’Unione Europea”, ovvero quando si sarà arraffato tutto l’arraffatile.
Tutti dentro quindi, e già si guarda ai paesi extraeuropei com’è avvenuto con Cipro e come sarà con la Georgia, entrambi paesi del continente asiatico. A prescindere dalle economie, dalle tensioni in corso e spesso dalla situazione dei diritti civili: la cosa importante è fagocitare il fagocitabile per un’Europa che si trova ancora a metà del suo percorso, con i paesi riluttanti a cedere pezzi della loro sovranità su temi essenziali, come la politica estera. E con i contribuenti europei che faticano ad arrivare alla fine del mese per il costo della vita e degli idrocarburi, perchè tutto ha un costo, anche allargare l’Ue sfidando gli equilibri geopolitici. E se c’è un costo, qualcuno è per forza di cose chiamato a sostenerlo.