L’Unicef denuncia il dramma dei bambini soldato

di C.Alessandro Mauceri

Il 12 febbraio si celebra la Giornata iternazionale contro l’uso dei bambini soldato. “Il bambino soldato è un giovane sotto i 18 anni di età che fa parte di una qualsiasi forza armata. Sono combattenti, cuochi, facchini, messaggeri ed è una dimensione che comprende anche le ragazze che vengono reclutate per fini sessuali e per matrimoni forzati”, ha dichiarato Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia.
Secondo l’Unicef, uno dei Paesi dove questa piaga è più profonda è il Sud Sudan: qui oltre 19mila minori sono reclutati dai gruppi armati. Di questi, 9.268 sono stati coinvolti in gravi violazioni dallo scoppio della guerra civile nel 2013 ad oggi. Da ottobre 2014 a giugno 2018 il meccanismo di monitoraggio e segnalazione (MRM) delle Nazioni Unite ha registrato 2.894 incidenti e verificato sei tipi di gravi violazioni quali uccisioni o mutilazioni, reclutamento da forze e gruppi armati, stupri o altre forme di violenza sessuale, rapimenti, attacchi su scuole e ospedali e negazione di assistenza umanitaria che hanno colpito 9.268 bambini (7.201 ragazzi e 1.966 ragazze e 101 non riconosciuti).
Per ricordare questa piaga sociale, l’Unicef ha lanciato un nuovo video-animazione che racconta la storia di James, bambino rapito da un gruppo armato in Sud Sudan e costretto a combattere, per essere poi rilasciato nel luglio 2017.
La situazione appare critica anche in altre zone di conflitto: “Ci sono bambini reclutati in Yemen”, ha dichiarato Iacomini, “ci sono bambini reclutati in Sud Sudan, e in Centrafrica dove le cifre sono impressionanti”. “Vengono reclutati in Nigeria del Nord dove l’Unicef è riuscita a liberarne 833”. “Sono bambini soldato quelli che sono stati reclutati e che vengono tuttora arruolati in Afghanistan, in Siria e in tutti quelli che sono i contesti di guerre che noi conosciamo. Ma sono bambini soldato anche quelli nei Paesi di cui non si parla mai come la Costa d ‘Avorio, la Liberia. Basta vedere i numeri di questi Paesi per capire che è un fenomeno che anche per noi agenzie umanitarie è difficile da intercettare”.
Anche il Papa ha sottolineato la gravità della situazione: “Migliaia di bambini, costretti a combattere nei conflitti armati, sono derubati della loro infanzia. Fermiamo questo crimine abominevole”. Il fenomeno, già definito dal Papa una “tragedia” e una “schiavitù”, rimane ancora diffuso nella maggior parte delle guerre nel mondo. E le misure internazionali e gli accordi sottoscritti sono stati poco efficaci. Misure come il Protocollo opzionale sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, firmato da 153 Stati nel 2000, con il quale gli Stati “adottano ogni misura possibile in pratica per vigilare che i membri delle loro forze armate di età inferiore a 18 anni non partecipano direttamente alle ostilità”, mentre “i gruppi armati, distinti dalle forze armate di uno Stato, non dovrebbero in alcuna circostanza arruolare né utilizzare nelle ostilità effettivi aventi un’età inferiore a 18 anni”.
Le misure adottate finora sono state assolutamente insufficienti. Basti pensare che la Corte penale internazionale considera l’arruolamento di bambini al di sotto dei 15 anni un crimine di guerra. Eppure in molti Paesi si continua ad arruolare adolescenti. “Dobbiamo analizzare i motivi sociali che in questi Paesi portano al reclutamento dei bambini: se sono reclutati forzatamente, se si uniscono volontariamente ai gruppi armati, se devono fuggire da situazioni di povertà, di fame o addirittura per sostenere una causa”, ha sottolineato Iacomini. Solo successivamente potremo passare “a quelle attività di prevenzione e di recupero che molti di Paesi sono complesse. C’è quindi bisogno di sostegno da parte della comunità internazionale, di progetti di smobilitazione – che spesso sono inefficaci o di facciata – e di monitoraggio delle situazioni”.
Oltre a monitoraggio, l’aspetto più difficile, probabilmente, è il “recupero di un bambino soldato”, come ha ribadito Giovanni Visone, responsabile della comunicazione di Intersos. “il trauma non si cancella completamente subito, perché forse è impossibile, ma sicuramente il bambino può tornare ad una vita normale e a proseguire la sua vita”.
Dal 2014 l’Unicef ha richiesto il rilascio di oltre 3.000 bambini da forze e gruppi armati. Solo nel 2018, ne sono stati rilasciati 955, fra cui 265 ragazze. I bambini rilasciati nel 2018 da gruppi nelle vicinanze di Juba, Bentiu, Pibor e Western Equatoria, sono stati inseriti in un programma di reintegrazione guidato dall’Unicef che comprendeva cure mediche, supporto psicosociale, istruzione formale e formazione professionale.