L’uomo, la guerra: perchè siamo arrivati a questo?

di Maurizio Lombardo

Di queste case 
non è rimasto che
qualche brandello di muro 
Di tanti 
che mi corrispondevano 
non è rimasto 
neppure tanto 
Ma nel cuore
nessuna croce manca 
È il mio cuore 
il paese più straziato
“.  

San Martino del Carso è stata scritta da Giuseppe Ungaretti il 27 agosto 1916 quando aveva 28 anni e si trovava soldato semplice arruolato come volontario nel Carso sul fronte di trincea e in pochi versi scarni restituisce tutto l’orrore del conflitto in corso. E’ la prima guerra mondiale. La distruzione di un paese diventa l’emblema del dolore spirituale del poeta. È una lirica scarna senza effusioni sentimentali. Il poeta rivive in essa lo strazio provato in quelle ore cariche di dolore; le case di S. Martino ridotte a brandelli, il cuore del poeta straziato dal dolore e dalle rovine della guerra. 

Guerra. Da quel 27 agosto 1916 si è consumato il dramma della grande guerra che ha visto 16 milioni di morti e più di 20 milioni di feriti e mutilati; ad essa si sono succedute altre guerre dove altri uomini hanno perso la vita fino al secondo conflitto mondiale dove la stima del numero totale di vittime, tra militari e civili, non è determinabile con certezza e varia molto, ma si parla di un totale, compreso tra 60 milioni e più di 68 milioni di morti e fra questi il paese con più morti in valore assoluto fu l’Unione Sovietica. 

Ma l’uomo non si accontenta e alla sua sete di sangue, di potere, corrispondono le guerre di Corea, Vietnam, Afganistan, Iraq, Balcani, Siria, Libia, Yemen, Somalia, Pakistan, e tutti gli altri conflitti che a oggi sono circa 900 nel mondo intero fra guerre e guerriglie.
Fino ad arrivare ad oggi, con la crisi russo-ucraina, uno scontro diplomatico-militare in atto tra Russia ed Ucraina iniziato nel febbraio del 2014. Assistiamo in queste ore all’ennesima guerra che l’uomo ha deciso di fare, il più grande attacco militare in Europa, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una guerra molto importante perché potrebbe essere preludio a un conflitto mondiale.  

Il 24 febbraio la Russia ha accerchiato l’Ucraina e ha invaso il Paese, iniziando dalla regione di confine del Donbass. Tra le cause del conflitto la presenza di USA e l’UE in Europa orientale e il timore dell’ingresso di Kiev nella NATO. L’Ucraina, ex repubblica sovietica, pur essendo diventata indipendente dal 1991 è sempre stata percepita dalla Russia come parte della propria sfera d’influenza. Secondo lo studioso Iulian Chifu riguardo all’Ucraina, la Russia ha deciso di perseguire una versione moderna della dottrina Brežnev per una “sovranità limitata” che si rimanda ancora ai dettami del patto di Varsavia ed alla sfera d’influenza che già era presente all’epoca della repubblica sovietica russa. Il terrore più grande per la Russia era quello che l’Ucraina finisse a divenire parte della NATO, il che avrebbe posto una potenza “controllata” dagli Stati Uniti proprio ai confini nazionali della Russia. 
La dottrina Brežnev si rifà a un discorso tenuto da Brežnev davanti all’assise comunista polacca dove affermò: “Quando le forze che sono ostili al socialismo cercano di portare lo sviluppo di alcuni paesi socialisti verso il capitalismo, questo non diventa solo un problema del paese coinvolto, ma un problema comune e una preoccupazione per tutti i paesi socialisti”. (Leonid Brežnev, 13 novembre 1968).

Con ciò cosa intendeva dire: che la leadership dell’Unione Sovietica si riservava il diritto di definire cosa fossero “socialismo” e “capitalismo”. Ciò significò in pratica che a nessuna nazione era consentito lasciare il Patto di Varsavia, né di turbare gli equilibri dei regimi a partito unico nei paesi appartenenti al Blocco orientale. Il Patto di Varsavia del 1955, detto anche Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza, è stato un’alleanza militare tra gli Stati socialisti del blocco orientale nata come reazione al riarmo e all’entrata nella NATO della Repubblica Federale Tedesca nel maggio dello stesso anno. L’affermazione di Breznev fu interpretata come una minaccia di non interferire negli affari dei paesi appartenenti alla sfera di influenza dell’URSS da parte del Patto Atlantico. La Dottrina Brežnev venne usata per giustificare l’invasione della Cecoslovacchia che pose fine alla Primavera di Praga nel 1968 e l’invasione dell’Afghanistan (non appartenente al Patto di Varsavia) nel 1979. La Dottrina Brežnev venne sostituita nel 1988 da quella che venne scherzosamente definita Dottrina Sinatra da Mikhail Gorbaciov, il quale dichiarò decaduta la sovranità limitata dei paesi alleati e che ogni partito dovesse essere libero di scegliere la propria strada per costruire il socialismo (Questa dottrina venne così chiamata per via della canzone di Frank Sinatra My Way (“A modo mio”), perché permise a queste nazioni di fare a modo loro, in contrasto alla precedente dottrina Brežnev).  

A seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, sia la Russia che l’Ucraina hanno continuato ad avere reciprocamente legami molto forti. Nel contempo, vi erano pure dei punti di frizione, tra cui sicuramente il più importante era l’arsenale nucleare ucraino. L’Ucraina aveva firmato il 5 dicembre 1994 il Memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza in base al quale accettava di smaltire l’enorme scorta di armi nucleari, che aveva ereditato in seguito alla dissoluzione dell’URSS, a patto che la Russia assicurasse di non voler utilizzare la propria forza militare contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’Ucraina. Le testate nucleari (1.900) furono di conseguenza inviate in Russia per lo smantellamento nei successivi due anni. 
Durante la crisi di Crimea del 2014, l’Ucraina ha fatto riferimento a questo trattato per ricordare alla Russia, e agli altri firmatari che ne sono garanti, che si è impegnata a rispettare i confini ucraini. Gli Stati Uniti hanno sostenuto che il coinvolgimento russo viola i suoi obblighi nei confronti dell’Ucraina ai sensi del Memorandum di Budapest e in palese violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina.  

Un secondo punto di divisione tra Russia e Ucraina fu sicuramente la flotta del Mar Nero. L’Ucraina si accordò per concedere il permesso alla Russia dell’uso del porto di Sebastopoli dietro il pagamento di un affitto, così che la flotta russa del Mar Nero potesse continuare ad occupare l’area strategica assieme alla marina ucraina. Successivamente, con la presidenza Juščenko l’Ucraina non rinnovò l’affitto della base navale del porto di Sebastopoli alla marina russa, impedendo così ai Russi di continuare il dominio dell’area e stabilendo che essa dovesse essere completamente sgomberata entro il 2017.
A partire dal 1993 e per tutti gli anni ’90 e 2000, Ucraina e Russia vennero coinvolte in una serie di dispute sul gas. Nel 2001 l’Ucraina, assieme a Georgia, Azerbaijan e Moldova, formò un gruppo chiamato GUAM, che venne visto dalla Russia come una sfida diretta alla Comunità degli Stati Indipendenti (il gruppo commerciale dominato dalla Russia e stabilito in essere dopo il crollo dell’Unione Sovietica).
La Russia venne ulteriormente irritata dalla rivoluzione arancione del 2004, che vide il populista filo-occidentale ucraino Viktor Juščenko eletto presidente al posto del candidato sponsorizzato dalla  Russia, Viktor Janukovyč. Sotto la sua presidenza l’Ucraina continuò ad incrementare la propria cooperazione con la NATO, dispiegando nel 2004 in Iraq un contingente, il terzo impiegato per ampiezza, e prendendo parte ad alcune missioni di pace NATO come l’ISAF in Afghanistan ed il KFOR in Kosovo. 
Le successive elezioni per la presidenza dell’Ucraina del 2010 vedono come candidati Viktor Yushchenko, presidente uscente, il primo ministro Yulia Timoschenko e il leader del Partito delle Regioni Viktor Yanukovich.

Yushchenko, nel 2010, appare un politico senza futuro.  Non è riuscito a concretizzare il consenso popolare in una strategia politica adatta a traghettare il paese nel difficile tragitto del dopo-Kuchma, il presidente noto per gli scandali relativi alla corruzione e alla diminuzione della libertà di stampa (si pensi che chiuse i giornali dell’opposizione e diversi giornalisti morirono in circostanze misteriose), e non è stato capace di armonizzare le differenze con colei che è stata al suo fianco, la pasionaria del 2004 Yulia Timoshenko. 
Al primo turno delle elezioni presidenziali fu sconfitto ricevendo solo 5,45% dei voti
Julija Timoshenko è la leader dell’Unione Pan-Ucraina “Patria” e del Blocco Julija Timoshenko. Ha ricoperto la carica di primo ministro nel 2005 e dal 2007 al 2010. Prima donna in assoluto a ricoprire tale carica in Ucraina. Nel 2005 la rivista Forbes la classifica terza nella lista delle donne più potenti del mondo.
Al ballottaggio delle elezioni presidenziali del 2010 si scontrò con Viktor Janukovyč, contro cui perse con uno scarto del 3.5%.
Nel 2011 ha subito un procedimento penale per utilizzo indebito di fondi pubblici, avendo siglato un contratto per la fornitura di gas naturale con la compagnia russa Gazprom,  giudicato inutilmente oneroso per il paese, per il quale è stata condannata a 7 anni di carcere. Nel 2014 il parlamento ha approvato la legge per la depenalizzazione del reato per il quale la Timoshenko era stata condannata e, successivamente alla violenta rivolta popolare e della ribellione di Kiev che ha deposto Janukovyč, la Timoshenko è potuta uscire di prigione

Il terzo candidato alle presidenziali era il filorusso Viktor Janukovyč. Questi era il leader del Partito delle Regioni, uno dei principali partiti del paese, primo ministro sotto le presidenze Kuchma e Juščenko. In politica estera il governo di Janukovyč fu considerato politicamente vicino alla Russia, anche se dichiarò il sostegno per l’accesso dell’Ucraina nell’Unione europea. Fu sconfitto da Viktor Juščenko alle presidenziali del 2004 e nel 2010 vinse contro Julija Tymošenko. Con Janukovyč la Russia sentì di aver raggiunto il proprio scopo avendo a capo dello stato dell’Ucraina un fedele alleato.
Janukovyč infatti siglò un nuovo contratto di affitto per la base navale del porto di Sebastopoli alla marina russa che espanse ulteriormente la presenza dei militari russi anche nella penisola di Kerk. Molti in Ucraina videro questa estensione come incostituzionale dal momento che la costituzione Ucraina stabilisce chiaramente il divieto assoluto della presenza di truppe straniere per periodi prolungati dopo la fine del trattato di Sebastopoli, su tutto il suolo ucraino. Il 30 marzo 2012 l’Unione Europea e l’Ucraina avviarono un accordo di scambio commerciale. Tuttavia, i leader dell’UE dichiararono che l’accordo non sarebbe stato ratificato se l’Ucraina non avesse affrontato alcune questioni sull’applicazione di una vera democrazia e sullo “Stato di diritto” compresa la detenzione di Julija Timoshenko. Nei mesi precedenti alle proteste scoppiate nella capitale, dopo che il governo ucraino aveva sospeso i preparativi per la firma di un accordo di associazione e di libero scambio con l’Unione europea a favore della ripresa di relazioni economiche più strette con la Russia, il presidente Viktor Janukovyč esortò il Parlamento ucraino ad adottare leggi che rispettassero i criteri fissati dall’UE. Il 25 settembre 2013 il presidente della Rada, il parlamento ucraino, dichiarò di essere certo che il parlamento avrebbe approvato tutte le leggi necessarie per soddisfare i criteri UE al fine della sottoscrizione dell’accordo. 

A metà dell’agosto 2013 la Russia modificò le proprie regole doganali sulle importazioni dall’Ucraina in modo tale che, a partire dal 14 agosto 2013, il Dipartimento delle Dogane russo avrebbe fermato tutte le merci provenienti dall’Ucraina. Tale mossa fu vista, sia dai politici ucraini che da altre e svariate fonti, come l’inizio di una guerra commerciale tra Russia e Ucraina, strategia di pressione tesa ad evitare che quest’ultima firmasse l’accordo commerciale con l’Unione europea. Nel settembre del 2013, la Russia fece presente all’Ucraina che se avesse firmato un accordo di commercio privilegiato con l’Unione Europea avrebbe dovuto affrontare un’enorme catastrofe finanziaria che avrebbe portato l’intero stato al fallimento. Sergej Glazev, consigliere del presidente Vladimir Putin disse che, oltre alle restrizioni già imposte sulle importazioni di alcuni prodotti ucraini, vi sarebbero state ulteriori sanzioni in caso di firma dell’accordo con l’Europa. Glaz’ev sostenne che, contrariamente alla legge internazionale, se l’Ucraina avesse firmato l’accordo, da un punto di vista legale, il governo ucraino avrebbe violato il trattato bilaterale di amicizia e partnership con la Russia, per cui la Russia, dal canto suo, non avrebbe potuto garantire all’Ucraina lo status di stato e sarebbe potuta intervenire se alcune regioni dell’Ucraina particolarmente favorevoli al governo russo ne avessero chiesto l’intervento. 
Il 21 novembre 2013 un decreto del governo ucraino sospese i preparativi per la firma dell’accordo di associazione. Il motivo ufficiale fu che nei mesi precedenti l’Ucraina aveva vissuto “un calo della produzione industriale e delle relazioni con i paesi della Comunità degli Stati Indipendenti, un’organizzazione internazionale composta da nove delle quindici ex repubbliche sovietiche. 
Nel novembre del 2013, Viktor Janukovyč, dopo aver in un primo momento accarezzato l’idea di firmare un accordo con l’Unione Europea, successivamente si rifiutò, favorendo ancora una volta i legami con la Russia.  
Dopo mesi di proteste da parte del movimento Euromaidan (una serie di violente manifestazioni pro-europee iniziate in Ucraina nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013), all’indomani della sospensione da parte del governo dell’accordo di associazione che costituiva una Zona di libero scambio globale e approfondito tra Ucraina e l’Unione Europea, il 22 febbraio 2014 diverse proteste esplosero contro il governo di Viktor Janukovyč. I contestatori presero il controllo degli edifici governativi nella capitale di Kiev, oltre alla città stessa. Il presidente Janukovyč decise di lasciare Kiev e il parlamento ucraino lo destituì dai propri poteri con una disposizione che venne votata dai tre quarti dei membri del parlamento come richiesto dalla costituzione. Janukovyč dal canto suo sostenne che il voto era incostituzionale in quanto vi erano stati dei brogli nei conteggi dei voti necessari per richiedere l’impeachment e si rifiutò di dare le dimissioni. Diversi politici provenienti dalle regioni dell’Ucraina orientale e meridionale, inclusa la Crimea, dichiararono la loro fedeltà alla causa di Janukovyč.

Il 4 marzo 2014 il rappresentante russo presso le Nazioni Unite, Vitalij Čurkin presentò la fotocopia di una lettera firmata da Viktor Janukovyč e datata 1 marzo 2014 nella quale egli chiedeva al presidente russo Vladimir Putin di utilizzare le forze armate russe per “restaurare il governo della legge, la pace, l’ordine e stabilire una protezione sul popolo dell’Ucraina”. Entrambe le camere di governo del parlamento russo votarono per dare al presidente Putin la possibilità di utilizzare l’esercito russo in Crimea, ma Vladimir Putin chiese al parlamento russo di cancellare la risoluzione relativa all’uso delle forze russe in Ucraina. Il giorno successivo, il Consiglio della Federazione votò contro la decisione precedente, rendendo illegale così l’uso di forze militari sotto bandiera russa in Ucraina. 
Alcuni giorni dopo la partenza del presidente ucraino Viktor Janukovyč da Kiev, alcuni uomini armati si opposero al movimento Euromaidan ed iniziarono a prendere il controllo della penisola della Crimea. Alcuni posti di blocco vennero tenuti da soldati di nazionalità russa ma non combattenti sotto bandiera russa, soldati con uniformi grigie ed equipaggiamenti che occuparono l’area di Simferopoli, in Crimea, ed amministrarono indipendentemente la città ed il porto di Sebastopoli. La popolazione locale e i media si riferirono a queste persone come gli “omini verdi”. Dopo l’occupazione del parlamento della Crimea da parte di queste truppe sconosciute, da molti considerate forze speciali russe, il governo della Crimea annunciò di voler tenere un referendum per una secessione dall’Ucraina. Il 16 marzo fu quindi tenuto un referendum sull’autodeterminazione della penisola, criticato e non riconosciuto dall’Ucraina e da gran parte della comunità internazionale, segnato dalla vittoria del “Sì” con il 95,32% dei voti: le autorità della Crimea firmarono il 18 marzo l’adesione formale alla Russia. Il 15 aprile, il parlamento ucraino dichiarò la Crimea un territorio temporaneamente occupato dalla Russia. 

Dall’annessione della Crimea, il governo russo incrementò la propria presenza militare nella regione, in particolare dopo che il presidente Putin predispose l’invio di un contingente stabile. Sempre nell’aprile di quello stesso anno vi furono delle proteste pubbliche pro-Russia nell’area di Donbass dell’Ucraina che sfociarono in una guerra tra governo ucraino e separatisti russi che andarono ad autoproclamarsi in due repubbliche popolari indipendenti, quella di Doneck e quella di Lugansk. Nell’agosto di quell’anno, alcuni veicoli militari russi oltrepassarono il confine nell’oblast di Donetsk, una delle 24 regioni dell’Ucraina e, nel novembre del 2014, i militari ucraini iniziarono una serie di movimenti di truppe verso le parti del paese occupate dai separatisti.
Al 2019 il 7% del territorio dell’Ucraina si trovava ad essere sotto occupazione militare russa.
A febbraio 2022 la tensione risale tra Russia e Ucraina, a causa di vaste e prolungate manovre militari delle forze armate russe e bielorusse lungo buona parte del confine ucraino e per il sostanziale rifiuto da parte della NATO di accordare le garanzie richieste dalla Russia sulla non ulteriore espansione dell’alleanza militare occidentale verso est, ritenuta dai russi minacciosa per la sicurezza nazionale. 

Il 12 febbraio 2022 il presidente ucraino Zelensky ha chiesto che siano esibite le prove dei piani di invasione della Russia. Nella prima mattinata del 24 febbraio 2022 Putin ha annunciato un’operazione militare nel Donbass, dando inizio all’invasione dell’Ucraina.  
Il numero di civili uccisi durante l’invasione russa dell’Ucraina aumenta di giorno in giorno. Lunedì mattina il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha riferito di 16 bimbi morti in quattro giorni e 45 rimasti feriti. Secondo le Nazioni Unite sono almeno 102 i civili, tra cui sette bambini, rimasti uccisi da giovedì, giorno dell’inizio dell’invasione russa. E oltre 5mila soldati russi sono stati uccisi nei primi quattro giorni di combattimenti, come reso noto dal ministero della Difesa di Kiev.

Dice Papa Francesco: “Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Chi fa la guerra non sta con la gente, non si interessa alla vita concreta delle persone, mette davanti a tutto gli interessi di potere, si affida alla logica diabolica e perversa delle armi che è la più lontana dalla volontà di Dio e si distanzia dalla gente comune che vuole la pace e che, in ogni conflitto, è la vera vittima, che paga, sulla propria pelle, le follie della guerra”. 
E lo scenario di guerra è sempre lo stesso, come per tutte le guerre. I carri armati per le strade, le sirene che preannunciano i bombardamenti, i palazzi sventrati dalle granate, la gente che corre per le strade alla ricerca di un rifugio. Immagini terribili provengono dall’Ucraina, dove, in seguito all’assalto delle forze militari russe, migliaia di famiglie sono state costrette a evacuare le città sotto attacco. La gente ha preso trolley e borsoni e si è riversata in metropolitana, in strada e nelle vie d’uscita per salvare i propri figli. Negli occhi dei bambini, in particolare, si legge tutto il terrore della guerra. 
Passa il tempo ma le scene che si ripetono incessantemente sono sempre le stesse. E l’uomo, in ogni guerra, tira fuori il peggio di se e arriva a commettere atti ignobili tralasciando ogni forma di rispetto per la dignità umana. E il pensiero non può non andare ai campi di concentramento, al genocidio che la furia nazista praticò durante il secondo conflitto mondiale.  

“Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, 
voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: 
Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango 
che non conosce pace 
che lotta per mezzo pane 
che muore per un si o per un no. 
Considerate se questa è una donna, 
senza capelli e senza nome 
senza più forza di ricordare 
vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d’inverno. 
Meditate che questo è stato: 
vi comando queste parole. 
Scolpitele nel vostro cuore 
stando in casa
andando per via,  
coricandovi,
alzandovi. 
Ripetetele ai vostri figli. 
O vi si sfaccia la casa, 
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi”.
 

Primo Levi, “Se questo è un uomo”.