Marino, ‘Nessun nuovo ’79 a Teheran’

‘L’Iran? Mi piace definirlo un camaleonte della storia’.

a cura di Gianluca Vivacqua

La storia del Vicino Oriente moderno ci insegna che, salvo alcune eccezioni, è più facile rovesciare un raìs o un despota “occidentalizzante” (ironia della storia: in età classica il dispotismo era per definizione “orientalizzante”) che un regime di stampo confessionale. Ne sa qualcosa l’Afghanistan, dove i talebani, dopo una ventennale parentesi “democratica”, sono tornati al potere forti come prima; e non parleremmo neppure dell’Iran, prima di Khomeini e poi di Khamenei. Tuttavia ci tocca farlo, se non altro perché proprio in questo momento il Paese sciita sta affrontando la più grande stagione di proteste di piazza dal ’79. Tutto è iniziato, alcuni anni fa, col caro-carburante, poi si è aggiunta la questione femminile. Facciamo un rapido focus con Tiziano Marino, analista del Ce.S.I.

– Dott. Marino, qual è la principale differenza tra la rivoluzione popolare iraniana iniziata lo scorso settembre e quella del ’79? Più facile abbattere uno scià o un ayatollah?
Quella del 1979 fu una rivoluzione a tutti gli effetti, le cui radici risalgono indietro negli anni e affondano le radici, per semplificare, negli squilibri interni alla società iraniana creati dal processo di modernizzazione imposto dallo Shah, dalla crisi economica di fine anni ‘70, oltre che dall’assenza di libertà e dalla repressione. La situazione attuale è completamente diversa sotto tutti i punti di vista. Anzitutto qui stiamo parlando di proteste, la cui partecipazione appare inferiore numericamente anche a quelle del 2009 (quando gli iraniani scesero in piazza contro i brogli elettorali, ndr). In secondo luogo, le istanze anti-sistemiche sono scarsamente presenti così come non è emersa alcuna forza o leader in grado di farsene interprete. Inoltre, la partecipazione dei lavoratori è stata piuttosto scarsa finora salvo alcuni scioperi nel petrolchimico e nei bazar. Condizione femminile, assenza di autonomia del mondo universitario e istanze economiche sono al centro delle proteste che non possono essere descritte, tuttavia, come rivoluzionarie almeno per quanto visto fino a oggi. Al di là delle sfumature, scalzare un regime, sia esso monarchico e teocratico, è parimenti complicato e possibile solo con una partecipazione popolare molto ampia o con il supporto delle Forze Armate”.

– Secondo lei la protesta di massa iraniana avrebbe potuto innescare una catena simile alle primavere arabe?
Dal mio punto di vista no. Le rivoluzioni arabe del 2011 hanno riguardato un’ampia regione del mondo che tendiamo, sbagliando, a percepire come simile, compatta o unitaria. In realtà, le condizioni variano molto da contesto a contesto e quanto avviene nella Repubblica Islamica dell’Iran ha poco a che vedere con la situazione dell’Egitto di al-Sisi o la Tunisia di Kais Saied. Per questa ragione tenderei a tenere le cose ben distinte e non sovrapporre ciò che avviene a Teheran con quanto avviene in luoghi distanti migliaia di chilometri, con storia, cultura, composizione etnica, fondamentali economici e politici diversi”.

– La differenza tra Khomeini e Khamenei è la stessa che c’è tra Stalin e Kruscev, o c’è una forte continuità di fondo? 
Possiamo in generale dire che un regime teocratico è restio a introdurre riforme sostanziali, perché basa la sua legittimazione su insegnamenti religiosi e figure divine che sono sostanzialmente immutabili. Tuttavia, un Paese ampio e complesso come l’Iran muta nel tempo anche a seconda dei Governi che di volta in volta si insediano al potere e questo non deve essere dimenticato. Il discorso, chiaramente, è ben diverso per i regimi politici, tra cui quello dell’Unione Sovietica e la storia ce lo ha dimostrato con chiarezza”.